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Filmauro, 2011
Terminal Video
104 min
Italiano (Dolby Digital 5.1)
Italiano per non udenti
Wide Screen
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B.B.
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Una risata disperata e piena di malinconia. Secondo episodio della trilogia.

Disperato: dal latino "senza speranza". Perché ho fatto questo piccolo preambolo? Perché questa trilogia cinematografica, a mio parere, è la trilogia per antonomasia di quella che letteralmente si può definire la "disperazione" dell'uomo moderno. In essa è rappresentato l'uomo, ormai in preda all'angoscia, che, per dirla alla Nietzsche, dopo aver "ucciso Dio" ("La gaia scienza", 125) adesso è solo e privo di ogni speranza. Qual è Il rimedio offertoci da Pietro Germi e Mario Monicelli? Prenderla "alla leggera", farsi una risata, rifugiarsi nella "supercazzola" e nelle "zingarate". Perché se la vita viene presa sul serio, l'uomo moderno rischia di impazzire. Non per nulla nel monologo prima di morire il Perozzi dice: "Che sia per questo, per non sentire il peso di tutto questo che continuo a non prendere nulla sul serio". Concordo pienamente con la bella recensione dello psicologo Roberto Marchesini che ritiene filo conduttore della trilogia, non l'amicizia né la leggerezza, ma la morte: "In fondo uomini avviati verso la fine di una vita senza senso, tra miserie e fallimenti, malattia e vecchiaia; ma colti e intelligenti. Sanno benissimo che il tempo si è fatto breve, che il giudizio di avvicina; e ne sono evidentemente angosciati. La "constatazione del nostro niente". Prosegue Marchesini: "La morte fa capolino qua e là, come uno spiffero gelido: nel primo film muore il Perozzi e si scopre che al Necchi è morto un figlio; il Mascetti diventa invalido a causa di una trombosi alla fine del secondo. L'intero film, in effetti, sembra una ridanciana danza macabra verso la morte, la decomposizione, la rovina". Considero questa trilogia un vero e proprio capolavoro cinematografico del genio di Germi e Monicelli - meno riuscito, a mio avviso, il terzo di Nanni Loy - e non la ritengo semplicemente un'opera "comica", ma soprattutto una profonda rappresentazione della drammatica condizione dell'uomo moderno. Da vedere assolutamente. Per ridere e soprattutto riflettere.

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giacomo
Recensioni: 5/5

Anche il secondo atto è diventato un cult indiscusso e memorabile della commedia italiana.

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Margherita Semplici
Recensioni: 5/5

Impareggiabile Renzo Montagnani ad integrare il cast. La scena del "vedovo" vale tutto il film.

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Mario Monicelli

1915, Viareggio, Lucca

Regista italiano. Dopo aver realizzato nel 1935, con il cugino Alberto Mondadori, un mediometraggio (I ragazzi della via Paal) ed essere stato aiuto-regista e sceneggiatore, affronta la regia nel 1949, dirigendo con Steno otto film di prevalente intonazione comica e con un eccellente Totò (tra cui Vita da cani, 1950, e Guardie e ladri, 1951). Dal 1954 lavora da solo (Proibito, melodramma sociale da un romanzo di G. Deledda), alternando film drammatici a film comici, quasi sempre legati a temi di critica sociale. Dopo Totò e Carolina (1955), dirige la coppia A. Sordi-F. Valeri nel satirico Un eroe dei nostri tempi (1955), lancia E. Martinelli nella commedia rosa Donatella (1956) e anticipa la commedia all'italiana, rivelando le doti comiche di V. Gassman con I soliti ignoti (1958). Leone d'oro...

Philippe Noiret

1930, Lille

Attore francese. Formatosi a teatro e nel cabaret, diventa uno dei più richiesti attori d'oltralpe a partire da Zazie nel metrò (1960) di L. Malle, in cui è lo stravagante zio della bambina in giro per Parigi. Faccia anonima, fisico sgraziato, recitazione sobria e precisa, si mostra l'interprete ideale di decine di personaggi «medi», uomini comuni impegnati nei drammi o nelle amenità della vita che caratterizza con grande efficacia senza ricorrere a impeti o a narcisismi. Innumerevoli i suoi ruoli: con il regista B. Tavernier indossa per es. i panni dimessi del padre che scopre all'improvviso l'omicidio compiuto dal figlio in L'orologiaio di Saint-Paul (1974), quelli del giudice in Il giudice e l'assassino (1975), e quelli di Philippe d'Orléans in Che la festa cominci (1975), ma dà il meglio...

Ugo Tognazzi

1922, Cremona

"Attore e regista italiano. Di umili origini, frequenta il teatro in maniera dilettantesca, prima di intraprendere una carriera di successo nella rivista, abilissimo nel cucirsi addosso i panni di macchiette occasionali e di caricature fulminanti. Il sodalizio con R. Vianello gli apre le porte della televisione di stato in Un, due, tre (1954-59), fortunato programma televisivo che raccoglie scenette e parodie incentrate esclusivamente sulla coppia di comici – perfetti nello scambio di battute e complementari nei tipi, azzimato e svagato Vianello, terrigno e fisico T. – destinato a una conclusione anticipata a causa dell'irriverenza di uno sketch sull'allora presidente della repubblica Gronchi. Chiusa all'improvviso l'esperienza televisiva, si può dedicare maggiormente al cinema, dove è attivo...

Gastone Moschin

1929, San Giovanni Lupatoto, Verona

Attore italiano. Studia all'Accademia d'arte drammatica e inizia un intenso percorso teatrale prima e televisivo poi, soprattutto negli sceneggiati Rai, che lo fa conoscere dal grande pubblico. Attore di grande tecnica e di istintiva carica emotiva, non bello ma dal volto particolare, spazia dai toni grotteschi ai tragici, rivelandosi molto utile a ricoprire i molti ruoli di fianco del periodo d'oro della commedia all'italiana. Lavora fra gli altri con L. Zampa in Anni ruggenti (1962), P.?Germi in Signore e signori (1965), F. Vancini in Le stagioni del nostro amore (1966) e L. Comencini in Italian Secret Service (1967). Lo chiama anche F.F. Coppola per fargli interpretare il guappo napoletano ucciso dal giovane Vito Corleone/R. De Niro in Il Padrino - Parte II (1974). L'anno dopo milita nel...

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