L' angelo della finestra d'Occidente

Romanzo prolisso, che eccede nell'enfasi posta sugli stati d'animo dell'io narrante - perlopiù un alternarsi di ansia, stupore, ira e sconforto -, allo scopo di creare suspense o di delineare un'atmosfera fosca e febbrile, finendo in tal modo quasi per corrispondere, da un punto di vista espressivo, a un film muto degli anni '20 e risultando, in tale melodrammaticità, quantomeno datato. La prosa è forbita, è piena di immagini ispirate e si pone come un buon esempio di letteratura fantastica, con una trama vieppiù intricata in cui si confondono volutamente tempo e spazio, sogno e veglia, vita e morte, in cui lo stesso io narrante procede per sdoppiamenti, secondo una logica di trasmutazioni simboliche relativa all'alchimia, arte, peraltro, che delle proiezioni emotive fece in un certo senso il cuore del suo continuo sperimentare. È un libro ambizioso ma forse velleitario, se non pretenzioso, poiché oltre quelle vagamente sapienziali e iniziatiche, la narrazione ha intenzioni anche biografiche - intendendo abbozzare un ritratto della figura poliedrica di John Dee, personaggio rinascimentale, scienziato e occultista alla corte di Elisabetta d'Inghilterra e di Rodolfo d'Asburgo in quel di Praga, una sorta di Giordano Bruno d'oltralpe -, ma a un tale livello di ermetica macchinosità, in particolare nell'ultimo caotico terzo di pagine, che certo non la rende avvincente e anzi pretende un discreto sforzo di concentrazione. Può sicuramente piacere a chi ha apprezzato Il Golem, il romanzo per cui Meyrink è più famoso.

La grandezza di questo romanzo è nella sua potenza evocativa, nella sua capacità di confondere gli spazi e i tempi e di dare vita a immagini sempre sfuggenti, che generano però un'inquietudine tangibile nel lettore. Difficilmente le visioni di John Dee (o del barone Müller) se ne staranno tranquille tra le pagine, specialmente se il lettore avrà cura di documentarsi sui personaggi (reali), sulle dottrine e sulle divinità che hanno ispirato questo romanzo. Lo smarrimento è generato dall'impossibilità di identificare dei punti di riferimento fissi, dal continuo confondersi dei piani del bene e del male, di fatto inconoscibili a causa dei limiti imposti dalla condizione umana.

John Dee, fu un celebre alchimista realmente esistito sotto il regno di Elisabetta I d’Inghilterra, e conosciutissimo presso la corte dell’Imperatore Rodolfo in Boemia. In questo affascinante romanzo, dai tratti prettamente esoterici, Meyrink ne inscena la sua biografia, alternandola a quella del Barone Muller. C’è da dire però, che rispetto alle altre opere dell’autore, la trama di questa storia è molto più lineare, ed è scandita a sua volta dai vari oggetti-simbolo disseminati lungo il racconto. Infatti, tali oggetti costringeranno il Barone a ripercorrere la via Alchemica, irta di insidie e ostacoli da superare, e che lo condurranno verso la conquista della Regina dei Filosofi.