Auto da fé

Capolavoro assoluto della letteratura mondiale. Un testo complesso che ci guida negli abissi della mente di Peter Kien e negli abissi di un mondo grottescamente autentico, in cui l'autore dà risalto ed espande a dismisura tutte le pochezze e le meschinità umane che incontriamo ogni giorno. I flussi di coscienza del superbo, misantropo e misogino Kien, peccatore a causa della sua Hybris, ci guidano in un vortice di elementi che non si staccheranno mai dalla mente del lettore: l'imponente gonna inamidata blu della moglie, il pestaggio subito dalla stessa donna, i pugni villosi e rossi del portinaio Pfaff e infine l'uomo porciforme che al Theresianum, il monte di Pietà, mangia i libri dati in pegno e scrive un libro con 130 ricette su come cucinarli. Una lucida follia scritta negli anni di passaggio dalla prima alla seconda guerra mondiale. Talmente attuale da sembrare scritto domani.

La storia in sé è kafkiana, onirica, tragicomica, in una parola grottesca. Fuori la storia è narrato un mondo, anzi il mondo: storia, filosofia, psicologia, sociologia. Riassumerei tutto come la visione del mondo-manicomio in cui ogni uomo ha la sua pazzia, la sua nevrosi dovuta alla mancata realizzazione. Anche il protagonista, pur conducendo apparentemente una vita per lui ideale, resterà vittima delle sue manie. Il libro viene odiato mentre si legge, apprezzato quando si conclude perché solo alla fine si capisce la sua totalità. Tolgo una stella perché a mio parere un autore non dovrebbe dilungarsi in pensieri che possono essere espressi in modo più semplice e con la metà delle parole. Tolgo una seconda stella perché alcuni aneddoti e regressioni sembrano non avere un nesso, sembra quasi si sia voluto unire parti scollegate in una storia in modo forzato. Non mi pento di averlo letto, ma sicuramente non è tra i miei libri preferiti di questo genere.

Perdono tutto ad Elias, anche la sua poetica totalizzante. Descrivere un mondo in un libro non solo costa alcune non trascurabili fatiche, ma chiede anche una certa dispersione narrativa, per permettere ad ogni personaggio il suo raggio d'azione aumentato. Fischerle, Kien, suo fratello, Therese, sono personaggi indimenticabili, che non potranno scomparire facilmente dalla mia memoria, ma questa impressione risente anche di una certa prolissità e, lasciatemelo dire, di un certo afflato onirico che talvolta attraversa le righe di questo libro. Le divagazioni sulle civiltà asiatiche antiche, così come l'entrata in scena del fratello del Professor Kien, sono strabilianti. Le ultimissime pagine respirano di una tendenza, ah, ah al saggiamo! Si, fratelli miei, occorre essere meno seri nelle recensioni, via questo miserabile abito da ufficio, che giudica, depenna, via, via. Le divagazioni di un sinologo, questo testo lo terrò a mente.. Chi vuole capire, legga il libro.