Il popolo è immortale

Se un detto popolare tipo "solo i somari non cambiano mai opinione" o anche, "la coerenza è l'ultimo rifugio dei falliti" può calzare come esempio di intelligenza e presa di coscienza, Grossman ne rappresenta uno dei più fulgidi. Col suo percorso umano e letterario - che inizia proprio con "Il popolo è immortale" (1942), per poi proseguire con "Stalingrado" fino a palesare in "Vita e destino" e "Tutto scorre" il suo distacco nei confronti dello stalinismo abbracciato fino alla seconda guerra mondiale - quello che salta agli occhi è la sua capacità di tenerli ben aperti, assieme alla mente, laddove invece la cecità obnubilava l'evidenza. 'Il popolo è immortale', è la prima fase dell'Operazione Barbarossa - il principio della fine di Hitler e del Terzo Reich - vissuta dall'interno, sia attraverso l'esperienza dei singoli individui, sia delle distruzioni e le morti di masse indefinite, ma anche con la lotta per la vita e lo spirito di resistenza. «- Come farò a scrollarmi di dosso la vergogna di aver avuto un bisnonno pilota nazista? - esclamerà tra cent'anni un giovane tedesco. [...] Non esiste castigo, no davvero, che possa espiare anche solo la millesima parte della colpa di chi ha scritto quegli ordini, o la decima di chi quegli ordini li ha messi in atto e li ha eseguiti. No, compagni: un tale castigo non esiste, né ora né mai!» La costruzione della narrazione di Grossman mi lascia sempre un senso di caoticità per cui, pur considerando la sua lettura importante come testimonianza storica e umana, nel mio giudizio complessivo mi fermo alle tre stelle e mezzo. (Molto interessanti postfazione e appendici.)

Il libro è scritto e pubblicato nel 1941-1942 e paga inevitabilmente dazio alla retorica della guerra patriotica e alla propaganda di quei tempi difficili. Pur non avendo ancora maturato il distacco e la lucidità che contraddistingueranno i suoi scritti successivi, la grandezza di Grossman è già evidente e il racconto della guerra vissuta sul campo resta impareggiabile.