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I Buoni - Luca Rastello - copertina
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I Buoni

Descrizione


I Buoni lottano per salvare il mondo. Le loro crociate si chiamano "progetti", il loro dio è la legalità. A guidarli c'è don Silvano. Lui è l'uomo santo con il maglione consumato e lo sguardo sofferente che predica sulla strada e nel palazzo, vicino agli ultimi e ai politici, alle rockstar, ai galeotti e ai magistrati. È nel suo tempio che approda Aza, ragazzina dei cunicoli, esile e fortissima, scampata a un passato di fogna e violenza con la forza dell'ambizione: a lei Silvano onnipotente ha concesso una lingua nuova, una casa, una carriera, persino un amore. Le ha dato la vita. Pazienza allora se il tempio è cartongesso, se la lotta è solo nei toni con cui si pronunciano parole di conciliazione: Aza dovrà tenere stretta la corda che la lega a don Silvano fino a scorticarsi le mani. Anche quando, attorno, ogni cosa comincia a precipitare.
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Dettagli

3
2014
27 marzo 2014
224 p., Brossura
9788861905535

Valutazioni e recensioni

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fido
Recensioni: 5/5

Rastello esplora il “cuore di tenebra” di tutto il mondo fatto di persone e associazioni che operano nel sociale, mondo in cui lui stesso vanta una lunga esperienza. Fare il male per fare il bene, pare essere la missione principale. Oppure, per attuare il bene tutto è lecito. Dietro discorsi moralistici e beneficienza si nasconde un sottobosco fatto di finanziamenti poco trasparenti, indottrinamento settario, manipolazione delle menti ed espulsione dei diversamente (o autonomamente) pensanti. Un romanzo che fortunatamente utilizza un registro universalistico, perché se utilizzasse quello del reportage sarebbe poco diverso e finirebbe per attirare attenzioni pericolose, basterebbe cambiare i nomi e qualche personaggio (forse). La sua forza è quella di andare oltre i riferimenti concreti (che, per chi ci è passato, ci sono, e sono precisissimi) e di parlare a tutto l’universo del sociale. E al suo cuore di tenebra. Un romanzo che rileggo sempre con gratitudine.

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cristina
Recensioni: 1/5

Né romanzo né saggio, oppure si potrebbe dire con i difetti di entrambe le forme letterarie. Più che un libro feroce direi proprio cinico, quasi cattivo. Va bene la denuncia (indiretta certo, anche se è stato fin troppo facile capire di chi si trattasse) ma si poteva farla con una buona dose di ironia ed evitando magari quelle volgarità inutile nella parte finale. Più che un finale alla Dostoevskij direi un finale alla Tarantino. E poi non mi è piaciuta la definizione dei personaggi e delle loro azioni/motivazioni: da dove vengono, cosa fanno e perché? Insomma, pessimo libro a mio parere, pur con le buone intenzioni di denuncia.

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Recensioni

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Voce della critica

 
C'è una frase, attribuita a Italo Calvino, che Mauro affigge sulla parete dell'ufficio della Onlus "In punta di piedi" in cui lavora: "Dove si fa violenza al linguaggio è già iniziata la violenza sugli umani". La frase richiama la lezione americana sull'esattezza contro quella peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e livellamento dell'espressione sulle formule generiche e astratte: sarà interpretata come una velata critica al guru della Onlus (poco preciso, nel suo parlare a braccio, con i congiuntivi), e usata come argomento per "accompagnare" Mauro fuori dalla comunità. L'etica del linguaggio viene così pervertita da quello stesso uso delle parole che avrebbe dovuto contrastare. Questo episodio si appoggia sul principale, anche se non unico, piano di significazione di I buoni di Rastello: la costruzione, attraverso l'uso simultaneo di tecniche retoriche e carisma personale, di un mondo allucinatorio ma realissimo, nel quale il discorso della Bontà, attraverso le sue declinazioni, struttura e definisce non solo se stesso, ma anche il campo avverso, quello del Male. La "memoria condivisa", "la frusta dell'oltre", il "bene a regola d'arte", l'impegno, la "costruttività" (“ok, questa è la tua protesta, ma dov'è la proposta?”), il "metterci la faccia", l'insistenza di parole come "noi, nostro, nostra", la "corresponsabilità" usata come un martello per inchiodare l'avversario: la creazione del nemico, “il lorsignori dell'oratore. Chi non è con noi è contro di noi. E quindi con le mafie. Quintessenza dell'esclusività, travestita da inclusione. Il bene assoluto che si erge contro il male assoluto”. Il male, beninteso, esiste: è la città dell'Europa orientale devastata da una miseria che appare irredimibile, dove abita il popolo delle fogne, in un'alternativa tra il male dei sotterranei e il peggio delle strade in superficie. Di quel male è testimone Andrea, il giornalista che abdica al proprio dovere etico; da quel male proviene Aza, che attraversa i porosi confini tra Oriente e Occidente per giungere alla periferia della Città frontale: gli scheletri dei capannoni, carcasse paleontologiche di passate cattedrali industriali, illuminati dai fuochi che scaldano i migranti-fantasma, “un intero popolo alla macchia, come blatte nelle crepe dei muri”. Da questi margini Aza giungerà ai Piedi, metterà a frutto la capacità di cogliere sfumature e dettagli, di afferrare il peggio degli esseri umani e volgerlo a proprio vantaggio, entrerà a far parte della corte ristretta di Silvano, il capo carismatico dei Piedi, fasciata da uno stretto tailleur. Libro feroce, quello di Rastello: che narra di una storia in apparenza localizzabile per farne allegoria di una condizione esistenziale nella quale “abbiamo bisogno di accettare un mondo inaccettabile che ci stritola, e abbiamo bisogno di abitarlo sotto anestesia. Abbiamo bisogno di rimandare la lotta, ma abbiamo bisogno anche di fingere di combattere, e di amare la lotta”. E quindi abbiamo bisogno dei Silvano, i cavalieri del Bene che combattono al nostro posto una battaglia che non abbiamo tempo di combattere: a un popolo di dannunziani, scriveva un altro torinese in altri tempi (ma davvero altri?), non si può chiedere spirito di sacrificio. Per questo compito Rastello ha scelto la forma ibrida del saggio-romanzo; o meglio, con buona pace di chi ha visto "ipocrisia" della forma o "abdicazione" della responsabilità dell'inchiesta, dell'oggetto letterario (secondo la formula del New Italian Epic, a riprova della vitalità di questa individuazione), il cui archetipo è A sangue freddo di Capote.Libro feroce, ma non cinico: piuttosto, parresiastico, mosso dal coraggio della verità.
 
 
Girolamo De Michele

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La recensione di IBS

Un romanzo vero e spietato. Con un finale alla Dostoevskij.

I Buoni lottano per salvare il mondo. Le loro crociate si chiamano «progetti», il loro dio è la legalità. A guidarli c’è don Silvano. Lui è l’uomo santo con il maglione consumato e lo sguardo sofferente che predica sulla strada e nel palazzo, vicino agli ultimi e ai politici, alle rockstar, ai galeotti e ai magistrati. È nel suo tempio che approda Aza, ragazzina dei cunicoli, esile e fortissima, scampata a un passato di fogna e violenza con la forza dell’ambizione: a lei Silvano onnipotente ha concesso una lingua nuova, una casa, una carriera, persino un amore. Le ha dato la vita. Pazienza allora se il tempio è cartongesso, se la lotta è solo nei toni con cui si pronunciano parole di conciliazione: Aza dovrà tenere stretta la corda che la lega a don Silvano fino a scorticarsi le mani. Anche quando, attorno, ogni cosa comincia a precipitare. Luca Rastello ha scritto un romanzo lucidissimo e feroce, capace di mettere a fuoco ciò che è sotto i nostri occhi e che pure – per negligenza o istinto di conservazione–non vogliamo vedere. Ma non c’è retorica che possa reggere alla verità della letteratura. E a sentirci scoperti, alla fine, siamo noi: il nostro bisogno di convivere con il male fingendo di combatterlo, la necessità di accettare un mondo che ci stritola, abitandolo sotto anestesia.

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Conosci l'autore

Luca Rastello

1961, Torino

Laureato in filosofia, è stato direttore di alcune riviste fra le quali citiamo L'indice dei libri del mese e Narcomafie.Inviato per Diario della settimana, è stato in seguito collaboratore de La Repubblica.Negli anni novanta ha preso parte a diverse iniziative nell'ambito della cooperazione internazionale: fra il '93 e il '97 ha lavorato in particolare con il Gruppo Abele e l'Italian Consortium of Solidarity nell'ex-Jugoslavia.Da quell'esperienza è nato il suo primo libro La guerra in casa (Einaudi, 1998), ispirato alla guerra in ex Jugoslavia.Piove all'insù (Bollati Boringhieri editore) è il suo primo romanzo, uscito nel 2006.Seguono altri reportage, Io sono il mercato. Come trasportare cocaina a tonnellate e vivere felici (Chiarelettere),...

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