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Il cinema secondo Orson Welles - Peter Bogdanovich - copertina
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cinema secondo Orson Welles

Descrizione


Orson Welles è stato l'artista più dirompente e decisivo dall'avvento del cinema sonoro. A ventitré anni sconvolse l'America annunciando alla radio l'invasione della Terra da parte di creature venute da Marte. A venticinque, con un'opera cruciale come "Quarto potere", riscrisse la grammatica filmica imponendo tecniche come la profondità di campo, il long-take e il piano sequenza. Da allora la sua carriera fu una lotta incessante tra un talento artistico smisurato e le logiche asfissianti dell'industria cinematografica. Drammaticamente in anticipo sui tempi, visse il resto della sua vita affacciato su un precipizio. Da una parte la vertigine dell'arte, il demone della recitazione, la forza oscura che sprigionava dalle sequenze abbaglianti dei suoi film; dall'altra i mille compromessi, i ruoli svilenti accettati per finanziare l'ennesimo capolavoro, gli spettri della depressione, dell'alcol, del fallimento creativo e umano. E in mezzo a tutto questo, film e opere teatrali che vibrano della potenza dei grandi classici, dall'"Orgoglio degli Amberson" a "Otello", dalla "Signora di Shangai" all'"Infernale Quinlan". Un pomeriggio del 1968, fu proprio Welles a telefonare a Peter Bogdanovich allora giovane regista, poi diventato autore di prima grandezza - per chiedergli di scrivere insieme a lui il libro-intervista a cui avrebbe affidato la sua verità e il suo riscatto.
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Dettagli

2016
29 settembre 2016
620 p., ill. , Brossura
9788842822615

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Damiano
Recensioni: 5/5

Meraviglioso, non solo per amanti del cinema o di Welles. L'incontro di due grandi amici e artisti regala non soltanto riflessioni intelligenti e aneddoti spassosi, ma anche, oltre ad una bella caratterizzazione del personaggio Orson Welles, numerosi spunti di riflessione su che cosa sia il genio e la creatività, e su quanti limiti materiali la passione e la creatività permettano di superare.

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Voce della critica

Orson Welles, le verità del grande falsario

Leggere le lunghe conversazioni tra Peter Bogdanovich e Orson Welles è un’operazione non dissimile da quella tentata dal giornalista Jerry Thompson quando, attraverso le interviste e i colloqui con le persone che più gli furono vicine, tenta di ricostruire la figura e il senso della vita di Charles Foster Kane (e magari di scoprire chi o cosa si nascondesse dietro la parola Rosebud). L’opportunità di definire un uomo e i suoi fantasmi a posteriori, dopo essere passati per lo strappo della sua morte, è al centro di quello straordinario Citizen Kane che in Italia chiamiamo Quarto potere; e una situazione analoga si presenta quando ci troviamo di fronte alle parole di un uomo del passato che, parlando con un amico, mostra un lato intimo di sé e consegna la sua immagine a un giudizio pubblico – nei limiti di quanto possa essere credibile il regista di F for Fake.

L’occasione è offerta dalla ripubblicazione di This is Orson Welles, storico libro-intervista che Bogdanovich ricavò dalle tante chiacchierate fatte con l’amico/maestro. Un progetto dal lentissimo sviluppo, iniziato alla fine degli anni Sessanta e concluso soltanto nel 1992, sette anni dopo la morte di Welles. La prima edizione italiana – ormai sparita dalla circolazione – uscì da Baldini & Castoldi nel 1993, col titolo Io, Orson Welles. Adesso è il Saggiatore a riproporre il libro, ribattezzandolo Il cinema secondo Orson Welles (un modo per avvicinarlo a un altro, fondamentale testo in catalogo: quel Cinema secondo Hitchcock nato dai colloqui tra Hitch e Truffaut). Rispetto all’edizione precedente, quella del Saggiatore si differenzia per l’aggiunta dell’introduzione di Bogdanovich alla seconda edizione statunitense e per l’eliminazione della breve prefazione del curatore, Jonathan Rosenbaum. Restano intatte le altre sezioni: gli otto capitoli, la ricchissima cronologia della vita e delle opere di Welles e soprattutto la gustosa appendice contenente i dialoghi delle sequenze tagliate dall’ Orgoglio degli Amberson (l’opera seconda deturpata che segnò definitivamente il futuro di Welles, da allora in poi perennemente costretto a combattere con le produzioni e fare i salti mortali per poter lavorare a modo suo).

Da un lato gli scontri, talvolta durissimi, con le case di produzione per il controllo del materiale girato, dall’altro la necessità di rincorrere i fondi per finanziare autonomamente i propri progetti (cosa che lo costrinse ad accettare anche ruoli da attore in pellicole mediocri): la carriera di Welles è stata contraddistinta da un perenne senso di precarietà, al punto che lui stesso arrivò a dire, malinconicamente, di aver passato «la maggior parte della mia vita, ormai, a tentare di fare dei film». Il che è abbastanza paradossale, se si pensa che in un periodo rigidamente dominato dalle logiche e dal potere delle majors, come era quello a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, era riuscito a ottenere il contratto più libero che un regista potesse desiderare, quello che gli dava carta bianca su ogni aseptto della realizzazione del film. Il risultato di questa autonomia è Quarto potere, probabilmente l’opera più influente nella storia del cinema dal tempo di Griffith. Da lì in avanti comincia l’incubo.

Dopo un’inattendibile anteprima dell’Orgoglio degli Amberson, organizzata mentre Welles è in Sudamerica a girare It’s all true, la RKO si spaventa per la reazione degli spettatori e decide di mutilare gravemente la pellicola. Uno dei produttori, Schaefer, scrive una lettera a Orson, riportata nel libro, in cui sostiene che «Orson Welles deve fare qualcosa di commerciale. Dobbiamo abbandonare i film “d’arte” e tornare con i piedi per terra. Educare il pubblico è costoso, e il tuo prossimo film dovrà essere pensato per il botteghino». In realtà Welles non si preoccuperà mai del pubblico e della sua risposta («Quando fai un film, lo fai per te») e cercherà sempre di fare di testa sua, pagando pesantemente le conseguenze: molti film non vengono portati a termine (tra cui The other side of the wind, che vede nel cast anche Bogdanovich), altri hanno tempi eccessivamente lunghi o dispongono di pochi strumenti a causa del budget limitato e altri ancora subiscono rimaneggiamenti. È il caso di quello che, probabilmente, assieme a Quarto potere è il capolavoro di Welles: L’infernale Quinlan(A touch of evil). La Universal tagliò circa venti minuti e bisognerà aspettare il restauro del 1998 per poter vedere il vero montaggio voluto dal regista.

A proposito di Quinlan, Bogdanovich quasi di sfuggita gli domanda se per caso non provi una specie di simpatia nei confronti del poliziotto corrotto. Non è un’osservazione di poco conto, perché una delle costanti della filmografia di Welles è proprio questa ambigua attrazione per i personaggi tirannici (di solito interpretati da lui). Quinlan abusa del suo ruolo, eppure, agli occhi di Orson, «ha amato Marlene Dietrich e ha salvato il suo amico da una pallottola». Nella stessa maniera Kane approfitta del potere della stampa. «Tutte queste persone, ciascuna a suo modo, esprimono cose che io detesto, ma provo umana simpatia per quei personaggi. [Kane] Ha una sua umanità, anche se gli manca una morale». Al gruppo bisogna aggiungere anche Harry Lime, l’antagonista del Terzo uomo di Carol Reed, su cui Welles lavorò molto anche a livello di scrittura. È strana questa apertura verso personaggi tanto radicali, ma in fondo non è stata la sua unica contraddizione, e forse ogni risposta sull’argomento risulta insufficiente. Welles è stato un maestro della finzione, dell’illusione e dell’arte della mistificazione. Il che non intacca il fascino delle sue parole; anzi se possibile lo amplifica.

Recensione di Massimo Castiglioni.

Leggi la recensione completa su Alfabeta2.it

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Conosci l'autore

Peter Bogdanovich

1939, Kingston, NewYork, USA

Peter Bogdanovich è un regista, produttore, attore, storico del cinema e scrittore americano.Nato a New York da una famiglia europea (il padre era serbo e la madre austriaca) in fuga dal nazismo, Bogdanovich ha cominciato a studiare recitazione sotto la guida di Stella Adler, dell'Actor Studio, per ottenere di lì a poco un incarico come programmatore dei film in proiezione al MoMA di New York. Successivamente è diventato regista, e ad oggi il suo più grande successo è il film del 1971 L'ultimo spettacolo, con Cloris Leachman, Ben Johnson e Cybill Shepherd.Da sempre spettatore attento e coltissimo, ha scritto diversi libri sul cinema, spesso tratti da interviste con registi. Celebre è il suo "Il cinema di Orson Welles", torrenziale conversazione con...

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