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Ritenuto uno dei capolavori del genere gotico, il romanzo di Maturin spicca per la prolissità del suo autore che ama dilungarsi non solo in descrizioni ma anche in eventi, spesso al limite della sopportazione del lettore. Inoltre l'evidente fine morale del racconto pesa come un macigno togliendo freschezza alla storia, per non parlare della stessa figura di Melmoth alla fine risulta ben lungi dall'essere terrificante, ed anzi si è portati a provare simpatia per questo povero diavolo, così "sfigato" che in 150 anni non riesce a trovare nessuno disposto a condividere il suo destino. Tolto questi non marginali difetti il libro ha certamente dei pregi, su tutto un finale conciso ma d'effetto, anche se prevedibile.
Indiscusso capolavoro della letteratura dell'orrore! Maturin riesce a narrare l'inenarrabile, a immaginare l'inimmaginabile. Alcune pagine, nerissime, lasciano atterriti, sgomenti. Il Poe irlandese non si ferma davanti a nulla, esagera perfino un po'. Le storie si intrecciano, le digressioni si susseguono, e il finale, perturbante quanto quello del Monaco lewisiano, è il più visionario ed emozionante cui mi sia mai imbattuto. Lettori che se siete giunti fino a qui, ognuno seguendo un proprio sentiero: non lasciatevi intimorire dalla difficile reperibilità del volume, né dal numero delle sue pagine. E soprattutto: quando nel pieno della notte, immersi nella lettura, soli nel silenzio della vostra dimora, col battito insistente della pioggia alla finestra, vi sentirete come intrappolati in una poesia di Edgar Allan Poe, badate di non farvi contagiare dalla disperazione di Stanton, Moncada o della cristiana Isidora. L'uomo errante, scoprendovi sofferenti, potrebbe decidere di farvi visita per mettere alla prova la vostra fede con le sue malvagie, inconfessabili tentazioni...
Recensioni
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Dopo anni di silenziosa assenza, torna sugli scaffali delle librerie italiane Melmoth l'Errante dell'irlandese Charles Robert Maturin, tradotto ora per la prima volta in forma integrale da Flavio Santi per la collana Utet diretta da Luca Terzolo, accompagnato in appendice dal racconto Melmoth riconciliato, che Honoré de Balzac scrisse nel 1835 per completare e forse dimenticare l'ingombrante predecessore pubblicato quindici anni prima.
Con Melmoth, il reverendo protestante Maturin guadagnò una celebrità effimera, dato che poté goderne solo per i quattro anni che separarono l'uscita del libro fortemente voluta dall'amico Walter Scott e la morte dello scrittore. Il romanzo, subito tradotto in francese, venne letto da Balzac, Pukin (che se ne ricordò, secondo Nabokov, scrivendo la prima strofa dell'Onegin) e di lì a poco da Beaudelaire. Tra gli ammiratori del reverendo già si contavano Scott, Byron e Wilde, che in onore del prozio assunse il nome d'arte di Leopold Melmoth.
Assolutamente meritoria l'iniziativa di pubblicare l'opera di Maturin sotto la scorta e gli auspici di Balzac, per due ragioni: il lettore volenteroso che avrà il piacere di continuare il lavoro dell'editore, seguendo le tracce del vagabondo irlandese nella letteratura a venire, scoprirà un parente stretto dell'Ebreo errante, di Faust, Manfred e Peter Schlemil, nascosto sin nell'auto della Lolita di Nabokov; gusterà poi pregi e difetti del romanzo anche al di fuori del genere "nero", liberandolo così dal titolo non per forza lusinghiero di grande e sfortunato capolavoro della letteratura del terrore. Melmoth l'Errante è certo un romanzo essenzialmente e capillarmente "gotico", ma è anche un libro che oggi si può leggere con qualche profitto che non sia solo svago o piacere dell'orrido.
Abbiamo tra le mani la storia di due uomini, entrambi chiamati John Melmoth, che si incontrano nel 1816 nel loro castello di famiglia; il primo ha ceduto l'anima al demonio in cambio del sapere e del dominio sulla natura, mentre il secondo scopre la storia dell'omonimo avo prima leggendo i lacerti di un manoscritto del Seicento, poi dalla viva voce di Alonzo Monçada, uno spagnolo naufragato vicino al castello dei Melmoth mentre era sulle tracce del triste demonio. Melmoth è dunque anzitutto un racconto di racconti, incastrati l'uno nell'altro come scatole cinesi, una scelta degli infiniti romanzi possibili che il malinconico John Melmoth ha attraversato nella sua lunga e triste esistenza. L'erranza di Melmoth non è quindi soltanto la desolante ricerca di una vittima così disperata da dannarsi l'anima al posto suo, ma un viaggio nella letteratura, intrapreso per saggiarne il valore. Verso la fine del romanzo, Melmoth in persona narra due storie al ricco padre di Isidora Aliaga, la giovane che di lì a poco darà una figlia a Satana; il mercante è decisamente annoiato dai racconti gotici dello straniero e non si accorge che parlano di lui e lo avvertono del pericolo imminente. Aliaga, scegliendo di ascoltare la propria avidità e non il saggio consiglio della letteratura, causa il proprio male e giustamente piangerà sé stesso per il resto dei suoi giorni.
La forza della parola traluce anche in tutte le altre esistenze che Melmoth incontra, di fatto redente nel momento stesso in cui vengono raccontate, al di là dei confini del tempo e dello spazio: ogni vicenda appartiene a un periodo storico e a un genere letterario preciso, tra i quali il "gotico", in tutte le sue varianti e stili, è certo il più frequente, ma non il solo, cui i vari narratori fanno ricorso. "Gotica" è senz'altro l'ossessione religiosa e il risvolto corporale, purulento e patologico di un mondo colpevole e vizioso, come tipiche del romanzo gotico, dal Caleb Williams di Godwin alle Confessions of a justified sinner di Hogg, sono la denuncia del fanatismo calvinista e del "bigottismo ateo" delle gerarchie cattoliche. Anche l'atmosfera notturna, cimiteriale che fa da cornice alle storie di Melmoth è in fondo una scenografia fra le tante che Maturin cala sul palcoscenico del suo romanzo, così come il convento di Madrid, l'isola indiana e il manicomio di Londra. Questi luoghi coercitivi appaiono in Maturin per inscenare il paradossale dramma dell'umanità, che come una cellula cancerogena è costretta a devastare l'organismo in cui è imprigionata.
Altri scenari, comici, realisti, esotici o visionari si alterneranno in Melmoth a quelli delle desolazioni demoniache; ciò che tiene assieme questi cambi di scena talvolta macchinosi è proprio il paradosso, lo stile allucinato e rovente, l'"eterodossia del cuore" che colpiva Giorgio Manganelli, appassionato lettore di Maturin, e che mette in bocca all'errante, servo di Satana, la definizione più alta del cristianesimo, religione umile e amorevole. Così Melmoth, "arlecchino degli inferi", è al tempo stesso Faust e Mefistofele, poiché anch'egli è "una parte di quella forza che sempre vuole il male e sempre produce il bene": cercando un sostituto tra i più sfortunati della terra riceve solo dinieghi, riportando al bene le coscienze dei dubbiosi.
È qui che Balzac raccoglie il testimone, sicuro che Melmoth non avrebbe avuto la stessa risposta se solo fosse andato alla Borsa di Parigi, "dove (
) Dio stesso presta e dà in garanzia le sue entrate d'anime, perché il papa ha lì il suo conto corrente". Nel racconto di Balzac la condizione che nessuno in due secoli aveva accettato verrà prontamente sottoscritta da un bancario disonesto, Rodolphe Castanier, da uno speculatore in rovina, e via via da mezza Parigi. La moderna città che venera solo il dio denaro è la patria ideale del mercante spagnolo che in Maturin si annoiava ai racconti, tutto preso dalla smania di guadagno. Il disprezzo della vitalità romanzesca, che permette di vedere la realtà in trasparenza e che, secondo Giovanni Macchia, Balzac aveva imparato proprio da Maturin, porta alla rovina. Esito quanto mai attuale, in tempi di grandi rivolgimenti bancari e scarse attenzioni letterarie, pensare che il diavolo stia di casa a Wall Street.
Stefano A. Moretti
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