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Docente alla Sapienza, prolifico storico del fascismo, fra i rari accademici italiani in grado di accattivarsi l'attenzione del lettore grazie al notevole piglio narrativo, in questo saggio Emilio Gentile si ripropone di illustrare il controverso rapporto fra l'antimodernismo di molti intellettuali "apocalittici" attivi in Europa e negli Stati Uniti fra Otto e Novecento, il loro atteggiamento verso la guerra e le tragiche rivelazioni che quest'ultima, rivelandosi apocalittica in senso etimologico, portò in evidenza, invece dell'auspicato avvento di un "uomo nuovo", quale Nietzsche aveva predetto. Arricchendo l'analisi con citazioni mai scontate (come il profetico studio sulle guerre di Jean de Bloch, stilato a fine Ottocento), l'autore tratteggia le origini e l'attuarsi del crollo più rapido di ogni tempo, quello venuto a prendere forma tra la Belle Époque, intrisa di slancio innovatore, e la Grande guerra. Con felice intuizione narrativa, Gentile ricorda che all'Esposizione universale tenutasi a Parigi nel 1900 alcuni padiglioni non erano vicini, come quelli del Giappone e della Cina da un lato, della Spagna e degli Stati Uniti dall'altro, per le tensioni che già si andavano annidando o si erano annidate tra queste nazioni, cui si aggiungeva il crescente militarismo tedesco. Nel 1914 la guerra, che intellettuali come Weber, Musil o Majakovskij avevano immaginato come un antidoto alle presunte mollezze del progresso, fu da molti salutata con gioia. Da quel che emerge grazie alle numerose impressionanti testimonianze illustri qui raccolte, finì tuttavia per risultare non solo un terribile massacro, ma anche un'epopea deludente e l'avvio di una fase ancor più critica per il mondo intero.
Daniele Rocca
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