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Tutte le prose - Umberto Saba - copertina

Descrizione


"La produzione in prosa di Saba è relativamente scarna (se paragonata a quella di molti altri poeti del Novecento da Ungaretti a Montale, a Sereni, a Caproni). Si possono individuare tre nuclei cronologici in cui sembra concentrarsi la gran parte del lavoro in prosa di Saba: il primo da collocare tra il 1910 e il 1915, il secondo tra il 1944 e il 1948, il terzo infine tra il 1952 e il 1953. " (Dall'introduzione di Mario Lavagetto).
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Dettagli

2001
23 ottobre 2001
1530 p.
9788804489368

Voce della critica

Saba non amava Croce, di cui diede un famoso ritratto nelle Scorciatoie e contro il quale polemizzò in un saggio qui raccolto (Poesia, filosofia e psicoanalisi) che è come il manifesto della psicoanalisi in Italia. Rimane però il fatto che la prosa del triestino Saba, con quella del filosofo napoletano, è fra le espressioni più alte della scrittura novecentesca. Di qualunque cosa scrivessero, nelle forme più eleganti come nelle semplici occasioni epistolari, l'uno e l'altro ci offrono sempre la possibilità di misurare le ricche potenzialità della prosa letteraria italiana.

Nel caso specifico di Saba, questo imponente "Meridiano" consente di rileggere, con un ricco apparato di varianti e appendici, l'origine della scrittura e il suo articolato procedere attraverso le opere più famose, le Scorciatoie e i raccontini, Storia e cronistoria del Canzoniere, Ernesto. Tuttavia il sapiente lavoro di regia condotto da Arrigo Stara ci dimostra in modo molto convincente come il perno attorno al quale ruota l'opera di Saba prosatore siano i Ricordi-Racconti, ovvero, per adoperare la definizione data da Saba a Scipio Slataper ai tempi della "Voce", le sue "novelle semitiche". L'idea di scrivere i ricordi del mondo ebraico nel quale era nato e cresciuto venne a Saba nel 1910 e non lo abbandonò più fino a quando, nel secondo dopoguerra, non raccoglierà in volume quei racconti scritti circa mezzo secolo prima.

Curioso destino accomuna la fortuna postuma di Saba e del suo maggior critico Giacomo Debenedetti. Per molti anni, in clima di guerra fredda, e di non episodiche forzature ideologiche destinate a modificare il volto delle singole individualità, il profondo legame che univa i due amici alle loro rispettive radici ebraiche, piemontesi e triestine, è stato taciuto, quando non negato, dagli stessi interessati. Oggi sappiamo che le cose stavano in modo alquanto diverso (e forse si eccede addirittura nel senso opposto, accentuando un aspetto, quello ebraico, enfatizzandolo, come ieri era stato troppo ambiguamente nascosto). Abbiamo potuto leggere, perché pubblicate in un bel volume mondadoriano, le conferenze di Debenedetti sui Profeti. Questo "Meridiano" di Saba ci restituisce adesso un'immagine del poeta triestino e del suo mondo di affetti che sospettavamo esistesse e immaginavamo avesse quelle caratteristiche, ma senza disporre delle adeguate pezze di appoggio che questo splendido volume ci fornisce. Nel caso di Saba le difficoltà erano, e sono, rese maggiori dall'estrema dispersione del carteggio, ciò che rende impervio per chiunque il lavoro, non solo per il bravissimo Stara.

Navigare nell'epistolario di Saba è, purtroppo, fatica improba e anche il curatore del presente "Meridiano", nonostante tutto, incrementa il nostro stato di ansia, e il conseguente senso di frustrazione, fornendoci, nelle note ai testi, soltanto spezzoni di lettere e brani delle più diverse provenienze, fra l'altro gustosissimi, e ci regala limitati assaggi - un piccolo tesoro per i linguisti - delle cartoline in dialetto della leggendaria zia Regina, la quale, apprendiamo, era tutt'altro che soddisfatta di questa passione per l'ebraismo del nipote ("ti dicco [sic] la verità che tanto a me come alla tua mamma ci dispiace che sempre hai da fare coi juif ").

L'interesse per l'ebraismo aveva avuto origine dalla lettura, sconvolgente per la sua generazione, del libro di Otto Weininger, Sesso e carattere, che Saba lesse sull'onda della campagna lanciata da Prezzolini nel 1910. Servendosi dell'inedito diario di Aldo Fortuna, conservato presso il Fondo manoscritti di autori contemporanei di Pavia, Stara arriva a datare con precisione il momento del primo incontro con la filosofia dei sessi del viennese. Si potrebbe solo aggiungere, per mera pedanteria, ci perdoni il lettore, che un'altra, più significativa testimonianza sul carattere devastante che ebbe la lettura di Weininger su Saba nel periodo del suo soggiorno bolognese e del fidanzamento con la Lina, è in un articolo di Riccardo Bacchelli, sfuggito a Stara (Il berretto di Saba, "Corriere della Sera", 24 gennaio 1979; ne ho riportato alcune parti nel capitolo su Saba del mio libro sulla fortuna italiana di Weininger, La filosofia del pressappoco, L'Ancora del Mediterraneo, 2001). Bacchelli era stato uno dei primi recensori e l'incontro di Bologna con lui fu molto importante nella maturazione di Saba.

Dalla definizione idealtipica di "ebreo" data dal filosofo viennese presto l'autore dei Ricordi-Racconti si distaccò, forse in nascosta e diuturna polemica con Debenedetti, che invece, in funzione anti-sveviana, rimase sempre molto affezionato al concetto di "apologia a rovescio", fino a esserne travolto negli anni trenta, cioè nel periodo della sua massima adesione al fascismo. Proprio questo prendere le distanze dall'antisemitismo psicologico-spirituale alla Weininger ha reso possibile in Saba la nascita dei grandi affreschi triestini, e la diversa trasformazione, con il trascorrere dei decenni, soprattutto di certi personaggi femminili del ghetto, descritti nella loro rotondità e quasi nella loro carnalità, in un modo insomma per definizione antiweiningeriano.

Non per caso, anche questo "Meridiano" contribuisce a dimostrare ciò che sta venendo a galla negli ultimi anni sempre con maggiore chiarezza, intensità e da diverse parti. Si tratta della curiosa ricezione che ebbero i Ricordi-Racconti, come per effetto di partenogenesi, nell'evolversi della scrittura narrativa di autori come Elsa Morante e, soprattutto, Natalia Ginzburg o Primo Levi. Del debito non soltanto di gratitudine verso i racconti di Saba da parte dell'autrice di Lessico famigliare ha già scritto con finezza e competenza Domenico Scarpa, nella nota di accompagnamento alla più recente riedizione einaudiana del capolavoro della Ginzburg.

Per quanto riguarda la sottile linea genealogica che unisce il microcosmo di "Argon" (Il sistema periodico) agli affreschi ebraico-triestini di Saba valgano come prova i frammenti di una esile, ma riteniamo fondamentale, corrispondenza epistolare, di cui, al solito, anche a lettura ultimata del "Meridiano", dobbiamo lamentare la frammentarietà. Il carteggio Primo Levi - Saba è esile, ma di quelli che lasciano un'impronta indelebile. Conoscevamo, in modo al solito episodico e insoddisfacente, per le anticipazioni giornalistiche che ne erano state date, il brano di una lettera dell'autore di Se questo è un uomo scritta il 10 gennaio 1949, dopo la lettura di Scorciatoie ("L'ho letto con grande rapidità, mi è parso subito finito, e vi ho ritrovato molto del mio mondo. Non del Lager, voglio dire; meglio, non solo del Lager. Mi pare che si tratti press'a poco di questo, vi ho trovato tutti o quasi i temi nuovi che attendono svolgimento, e i problemi nuovi che attendono soluzione"). Stara adesso ci regala, in una sua notizia ai testi, non la versione integrale, ma soltanto un rapido passaggio di quanto Saba aveva scritto a Levi il 3 novembre 1948, subito dopo aver terminato la lettura di Se questo è un uomo: "È più che un libro, è un libro fatale. Qualcuno doveva ben scriverlo: il destino ha voluto che questo qualcuno fosse lei (...). Fosse nelle mie possibilità, lo imporrei come testo scolastico. Ma i responsabili (se gli uomini possono essere responsabili di qualcosa) dei campi di annientamento, se ne guarderanno bene dal farlo. Purtroppo l'immensa crisi di cattiveria e di stupidità che ha avuto inizio nel 1914 ha bisogno, per esaurirsi, di alcuni secoli. Ho l'impressione che il suo libro possa vivere anche al di là della crisi. Perché molti altri hanno descritto quegli orrori, ma tutti lo hanno fatto dall'esterno; nessuno - che io sappia - dall'interno".

Si trattava, oggi lo possiamo dire con assoluta sicurezza, della prima, vera, e per lungo tempo unica, recensione critica al grande libro di Levi esordiente. Spiace soltanto che, per apprenderlo, abbiamo dovuto attendere così tanto tempo e per farlo, oggi, si debba ricorrere alla noticina in fondo a un testo di più di mille pagine. Chissà quanti anni ancora, alcuni secoli, direbbe l'interessato, dovremo aspettare prima di poter disporre dell'epistolario completo di Umberto Saba.

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Conosci l'autore

Umberto Saba

1883, Trieste

Umberto Saba è stato un poeta italiano. La madre, ebrea, fu abbandonata dal marito prima della nascita del figlio: S. conobbe il padre solo da adulto ma ne rifiutò il cognome, Poli, assumendone uno che suonasse omaggio alla razza materna («saba» significa «pane» in ebraico). Senza aver terminato gli studi, lavorò come praticante in una casa di commercio triestina e anche come mozzo su un mercantile. Fu militare durante la grande guerra, ma non andò mai al fronte. L’esordio poetico di S. era avvenuto già nel 1903 con l’edizione privata de Il mio primo libro di poesia, ma la sua prima vera uscita pubblica è del 1911, con Poesie, introdotte da S. Benco. Seguiranno nel ’12 le liriche di Coi miei occhi e il saggio...

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