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Bella la prima parte del libro, dove dominano la scena "le scenate" tra Marco e Matej; è qui che il testo sviluppa la sua parte più interessante, le accuse di Matej al pittore Razmilo di essere un borghese annoiato e viziato(objenost) a differenza sua "onnivoro di sapere". Poi quando a farla da protagonista sono i ricordi(i bombardamenti, l'allontanamenta da Tasja e Matej ed il maestro Perty) il racconto perde un pò d'interesse. Comunque ben strutturato ed accattivante
sembra di leggere il miglior Marai,iteressante
Recensioni
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ConIl libro perduto Enzo Bettiza firma una delle sue opere più ambiziose nel solco della ricerca di quel "romanzo totale" che l'autore persegue almeno dai tempi delFantasma di Trieste. Romanzo importante e portante, quindi, che conferma Bettiza, se mai ce ne fosse bisogno, uno dei migliori interpreti, assieme a quella schiera di autori che vanno da Matvejevic' a Magris, della realtà - del passato e del presente - di quella faglia instabile che è la dorsale balcanica, linea d'incontro e di scontro fra Occidente e Oriente, terra inquieta dalle lacerazioni insanabili, straordinario laboratorio di umanità e quindi di arte. Bettiza ci ha abituati, con le oltre duemila pagine deiFantasmi di Mosca, alle narrazioni fluviali, ramificate intorno alle tragedie della storia, con un'attitudine alla misura dilatata che si conferma anche in questo libro. È una prosa avvolgente, dal passo lento e maestoso, che disegna un affresco composito, caleidoscopico di una terra e delle sue genti, delle sue molteplici, incompatibili anime.
Il racconto parte dal settembre 1943, in una città dagli scenari cupi, dove fra i bombardamenti, le macerie, l'occupazione nazista, il senso della fine prossima si muovono due adolescenti: Marco Razmilo, aspirante pittore, rampollo di una famiglia italiana altoborghese vista - come nelFantasma di Trieste - nel momento del suo declino economico, e il croato Matej Rebdic', il "famulo" bello e ribelle. Siamo in terra d'Illiria, termine geografico-letterario che Bettiza usa con scelta felice per indicare la sua mai nominata Spalato. Di fronte al patibolo dove è stato impiccato un partigiano, Marco e Matej si imbattono nel maestro Perty, un pittore fallito "mezzo slavo e mezzo parigino vestito con la proprietà solenne d'un ambasciatore d'altri tempi", chiamato a impersonare un'Europa decadente e disillusa, piegata dal peso della sua storia. Fra i tre si inserisce la bella e misteriosa Tasja Nachtigal, modella del pittore, insegnante di inglese, interprete al comando degli occupatori nazisti e - si scoprirà - spia per conto delle milizie del maresciallo Tito. Una Salomè dai mille volti, insomma, spirito del Levante che intesse una sottile e inestricabile trama erotica fra Marco e Matej, suo amante.
L'arte - pittura, musica, letteratura - è il campo di confronto comune tra i personaggi, e mentre intorno tutto precipita nel vortice della guerra in un turbinio di vicende collaterali che mettono in scena ustascia e domobranci, disertori austriaci ed emigranti russi, serbi e morlacchi, si consuma la parabola dei protagonisti: Matej, tradito da Tasja (costretta dai partigiani), finirà in un campo di concentramento nazista; il maestro Perty, condannato da un tribunale popolare per collaborazionismo, rimarrà invalido su una sedia a rotelle, fino a essere gettato da una rupe come un sacco d'immondizia dalla sua assistente. E infine Marco, come tanti, tantissimi altri italiani sceglierà la via dell'esilio.
MaIl libro perduto non finisce qui, anzi appena comincia. L'autore ribalta la clessidra del tempo, e nel settembre del 1973 ritroviamo Marco Razmilo a Parigi. Ormai è un artista ricco e famoso, il suo nome d'arte è Mark Razmil, ed è in quella fase della vita in cui si tirano le somme: alla vigilia di una sua mostra a Londra "si sente distaccato, indifferente alla lunga fatica che l'ha tenuto sprofondato (...) su quelle tele che non gli appartengono più". Decide di tornare a visitare la sua Illiria, adesso non più Italia ma Jugoslavia. Appena giunto nella città natale Marco viene convocato, anzi "prelevato", da un nuovo personaggio. È un colonnello della polizia jugoslava, si chiama Vinko Razmilovic' e, scoprirà Marco, è un suo cugino di secondo grado, discendente diretto del ramo "maledetto" della famiglia Razmilo, nipote di Lorenzo Razmilo, detto "il povero Lolez" (lole, nel dialetto triestino significa sciocco), anarchico, trasgressore e rivoltoso, morto suicida dopo essere stato emarginato dalla famiglia.
Ecco la catarsi illirica: proprio dal seno dell'italica e borghese famiglia Razmilo nasce Vinko, il combattente socialista e rivoluzionario che "slavizzerà" il suo cognome di Razmilovic' prima di entrare nell'esercito del maresciallo Tito. C'era lui, verrà a sapere Marco, dietro il tradimento di Tasja, dietro il processo al maestro Perty, dietro l'arresto di Matej. Era a lui muovere i fili della trama. Ma la storia non si ferma, la faglia balcanica è in perenne movimento, e presto il colonnello Razmilovic' finirà nel "gulag" jugoslavo di Goli Otok, l'isola Calva, per aver tramato contro Tito e il suo regime. A Marco Razmilo non resterà che tornare a Parigi, e forse a Londra dove vive ancora la bella Tasja, il suo antico amore adesso vedova di un agente segreto britannico. Ma non prima di aver incontrato per caso Matej, ridotto ormai l'ombra di se stesso, divorato dalla follia. Durante il viaggio di ritorno, passando con la nave davanti a Goli Otok, Marco getterà via i suoi pennelli, perché nemmeno l'arte ha più senso di fronte alla rivelazione cui la storia ci mette di fronte: "Non siamo altro che ossame del nulla".
"Scrittore dalmata di lingua italiana", come ama definirsi, Bettiza offre un'opera portante per come riesce a farsi carico degli inganni, delle identità sovrapposte, dei ricordi obliqui o falsati che dalla terra d'Illiria si allargano a coprire tutta l'Europa e le sue vicende. C'è una cifra universale nel disegno che unisce e contrappone l'anima slava e quella italiana, connesse da una "semisomiglianza ostica e monca", in un travaso continuo che è sofferenza, lotta, rinascita e passione. Ieri come oggi. Dopo tanto ciarpame revisionista il romanzo di Bettiza ci conforta, dimostrando come ci sia ancora una letteratura in grado di scendere nei labirinti di queste terre di frontiera alla ricerca di una verità sfuggente e complessa che appartiene a tutti noi.
Pietro Spirito
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