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in questo libro Oliva analizza la diffusione dell'antifascismo , rispetto al quale la massa degli italiani rimase sostanzialmente indifferente basti dire che solo 12 insegnanti universitari rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime mentre 1836 professori giurarono... l'8 settembre emersero 3 ma oserei dire 4 italie: 1) i filo-fascisti-repubblichini che agirono per difendere l'onore dei patti e delle alleanze dell'italia fascista e dei morti in guerra contro gli alleati, è tipico dei repubblichini considerare la coerenza un valore assoluto, dimenticando che la coerenza nell'errore non è una virtù. 2) i partigiani comunisti che ispiravano la loro azione al totalitarismo sovietico , 3) i bianchi ma fra loro vi erano i monarchici , e i democratici repubblicani, chi voleva salvare l'istituto monarchico come Sogno, e chi un modello repubblicano, Oliva tralascia un pò questa componente 4) infine vi era la grande massa degli "inerti", essi nel dopoguerra ebbero bisogno di una rappresentazione assolutoria delle loro complicità con il regime , e trovarono questa opportunità in una singolare convergenza nella rappresentazione comunista della resistenza, rappresentata come grande movimento rivoluzionario di massa che insorse a liberare le città... una rappresentazione assolutoria che poteva mettere il cuore in pace alla gran parte degli italiani da un lato, ed elevare il PCI a guida di questo supposto grande movimento cooptando le masse inerti offrendo loro in cambio una rappresentazione comoda e assolutoria; una rappresentazione che però si discosta molto dalla realtà della resistenza al fascismo.
Recensioni
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Con questo libro Oliva prosegue quella riflessione intrapresa in L'alibi della Resistenza (cfr. "L'Indice", 2003, n. 12). Coerentemente con quel desiderio di autoassoluzione da ogni responsabilità e compromissione con il fascismo proprio della stragrande maggioranza degli italiani al termine della guerra e avvallato, per motivi diversi, dalle principali forze politiche dell'Italia repubblicana, nella memoria nazionale e nella storiografia si è sedimentata un'immagine "manichea" del biennio '43-'45, in cui erano cioè presenti due sole Italie, quella partigiana, largamente maggioritaria, e quella fascista. Da questa rappresentazione fu cioè esclusa quell'ampia "zona grigia", costituita da quegli italiani, la maggior parte, che durante l'occupazione tedesca cercarono innanzitutto di sottrarsi alle conseguenze dello scontro. Da quanti, cioè, pur in larga misura simpatizzando per la causa della Resistenza e degli Alleati, preoccupati della propria salvezza personale, scelsero di non scegliere fra le due diverse opzioni in campo. Nel loro rifugiarsi nell'individualismo si esprimeva la continuità con quella passiva accettazione del fascismo che aveva in realtà contraddistinto l'atteggiamento degli italiani negli anni del regime. In esso si celava la più pericolosa ipoteca rappresentata da vent'anni di dittatura per il futuro democratico dell'Italia: il tentativo fascista di trasformare l'antropologia degli italiani si era infatti risolto in una loro ulteriore deresponsabilizzazione politica. In questo senso la scelta resistenziale si caricò di un ulteriore significato: non solo rottura nei confronti della realtà esistente, ovvero delle pretesa di obbedienza avanzata dalla Repubblica di Salò, ma anche, e forse soprattutto, nei confronti dell'acquiescenza con cui il paese aveva attraversato il fascismo e ora si apprestava a vivere gli anni della rinascita democratica.
Cesare Panizza
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