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Ho letto l'edizione a cura di Laurana Editrice, che ha qualche raccontino in più. Esilarante, ma mai demenziale. Anzi Mozzi dimostra di essere un vero artigiano della narrativa. Se letto tutto di un fiato - e il formato dei racconti spinge a farlo - si corre il rischio di avvertire un filino di ripetività. Bisogna gustarselo con calma.
Pessimo libro, non mi è piaciuto per niente. Pare fatto con un programma automatico che "copia e incolla" frammenti di parole sputate a caso.
L'ho trovato spesso esilarante e mi ha molto consolato in tre giorni da malato. Da regalare a Natale anche a lettori pigri.
Recensioni
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Dal proprio diario personale, scritto tra il 2003 e il 2008 e reso pubblico in rete, sono tratti i racconti, brevi o brevissimi, di vita ordinaria qui raccolti: un'epopea del quotidiano. Il protagonista in tutto sembra corrispondere all'autore: ha nome Giulio Mozzi, è scrittore e consulente editoriale e perennemente viaggia in treno. Ma nell'avvertenza lo stesso autore si preoccupa di precisare che nessuna delle storie qui raccolte, con l'eccezione di una, è vera "nel senso ordinario della parola": in un modo che tra storie reali e inventate, differenza non si possa cogliere. Avrebbe del resto qualche importanza per noi lettori?
Lo stile è quello di una scrittura minimalista, intessuta di dialoghi scanditi dagli imperterriti "dico io", "dice lui", cuciti addosso alla piatta linearità di queste "storie credibili", eccentriche nella loro insana, banale quotidianità, la stessa che sempre può riservare il colpo di coda, del genere "una cosa così sarebbe da scrivere", e Mozzi diligentemente, quasi ogni giorno, ha preso nota. Con involontario umorismo, del genere caustico, ma senza ira, in calembour che ricordano Achille Campanile.
Nelle sue peregrinazioni, questo moderno picaro della letteratura, legge, riceve telefonate da pretenziosi aspiranti scrittori, incontra e si scontra con occasionali compagni di viaggio, cade vittima, lungo il cammino, di continui fraintendimenti, qui pro quo. Spesso al telefono, di preferenza sul treno. Si dimostra così quanto difficile sia, nella relazione con gli altri, capirsi; ma in fondo l'autore, senza troppo soffrire, sembra farsene una ragione: "Per tre volte, ieri, sono stato scambiato per un'altra persona", e più avanti, a chiudere il breve racconto o frammento: "Decisamente, ieri ero poco io. O sembravo molti altri. Ma appena si scopriva che ero io, non interessavo più. Mah". L'incontro con l'altro è quasi sempre sgradevole. I compagni di viaggio sono spesso importuni, ci sono quelli che occupano i posti già prenotati, quelli che urlano privatissime comunicazioni al telefonino: l'altro appare generalmente inopportuno, petulante, maleducato. Per esempio il controllore, sul treno, con il male al collo, che chiede di potersi sedere di fianco al protagonista, e poi, quando si parla, inopinatamente dice: "Ma fatti i cazzi tuoi".
"L'inferno sono gli altri", diceva Jean-Paul Sartre. Può accadere anche, da un estemporaneo interlocutore, di sentirsi dire: "Signor Mozzi, lei è uno stronzo", quasi senza colpo ferire. Il Giulio Mozzi di queste parabole del quotidiano, infatti, nonché sfuggirle, sembra consegnarsi docile a queste condanne, come a una pena inevitabile cui immolarsi, quasi una forma di espiazione: amara e lieve, con la sola forza, dalla sua, del disincanto. La resistenza che oppone, l'unica, è una distanza tutta cerebrale, quando cerca di opporre al delirio collettivo la logica ferrea delle argomentazioni, nel modo più stringente: una forma, come l'autore dichiara nella nota conclusiva, di "sadismo reciproco".
Tra i tanti, troppi che ammorbano l'aria della loro invadente presenza, l'assenza di alcuni, nominati appena, il vuoto che hanno lasciato, è come l'eco lontana di una taciuta nostalgia. Le sole presenze che confortano, forse, potrebbero essere quelle dei trapassati: la moglie cui una volta, nel ricordare che non c'è più, si accenna; un caro amico di cui viene a sapere, dopo lunga malattia, della morte.
Marcello D'Alessandra
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