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Comprai questo libro alla stazione di Lambrate, in un momento di noia. Non vi fu scelta migliore. # I due racconti non sono immuni da occasionali difetti e appaiono molto slegati tra loro per via dei differenti stili narrativi. A unirli, tuttavia, non c'è solo il tema, bensì una condivisione nei concetti e nell'approccio: entrambi i "tagli di regia" hanno il beneficio di alternare vicende private a momenti collettivi di grande respiro. Allo stesso tempo, si riesce a mantenere uno sguardo disincantato sugli eventi, facendo così della letteratura non solo una narrazione storica, ma una critica, spesso promossa per bocca dei protagonisti. Nonostante il taglio critico, la focalizzazione regge, anche se temo alcuni lettori possano trovare difficile collocare la carrellata di visioni del Moresco. # In particolare, Evangelisti mi è piaciuto perché ha saputo indicare le contraddizioni di un periodo, senza schierarsi. Le persone che gridavano "libertà" erano le stesse che massacravano i frati; ognuno aveva le sue ragioni e agli idealisti si univano gli avventurieri. Il tutto mi ha rammentato i migliori passaggi disillusi di Q (che lessi solo più tardi) e il tono deluso che ritrovo in Underground di Kusturica: vi sono figure che si muovono in mondi diversi e incarnano, per così dire, gli aspetti funzionali del conflitto (ad esempio, sono gli esecutori materiali dei massacri, indifferentemente dalla bandiera sotto la quale avvengono). # Di Moresco, mi han colpito le immagini evocate, che ricordo ancora vivide, dopo 7 anni dalla mia lettura sbrigativa, in treno. Ricordo quel giovane che si muove tra gli edifici vuoti, accompagnando in parallelo i moti sulla strada, en plein air. Rammento con chiarezza l'aspetto, così come Moresco me lo fece immaginare, quella goccia di sangue sulle labbra, etc. Ho trovato il tutto inusuale e particolarmente carnale, con scene incluse solo allo scopo di suscitare nel lettore una reazione emotiva -- anziché cognitiva. Letteratura a tutto tondo.
Come sappiamo, in campo artistico non sempre alle buone intenzioni si accompagnano buoni risultati. E questo libro a quattro mani, scritto da due dei più importanti scrittori del panorama italiano attuale, conferma, purtroppo, la regola. Si tratta di due "pezzi" di argomento risorgimentale, un racconto di Valerio Evangelisti, ambientato alla fine dell'esperienza della Repubblica Romana, quando anche Garibaldi decide di abbandonare il campo. Il contributo di Moresco è invece una sorta di racconto cinematografico che ruota intorno alla spedizione di Carlo Pisacane a Ponza e Sapri, con il contorno della presenza di Giacomo Leopardi, che compone i "Paralipomeni alla Batracomiomachia". Il risultato sono due testi di sconcertante banalità, che hanno l'unico merito, di partenza, di focalizzare l'attenzione del lettore su un periodo cruciale della storia italiana, una delle nostre rivoluzioni mancate o tradite. L'unità d'Italia è passata attraverso la monarchia sabauda, che in niente era diversa dalle altre monarchie europee dell'epoca, se non che era, interessatamente, antiasburgica, al contrario, ad esempio, dei Borboni del Regno delle Due Sicilie. E' comunque dal punto di vista prettamente letterario che l'operazione delude: l'Evangelisti della "Controinsurrezione" è lontanissimo parente del fantasioso autore di un piccolo gioiello come "Cherudek", mentre il Moresco dell'"Insurrezione" non giustifica la stima di autore totale di cui gode attualmente. Nonostante il titolo collettivo che, rispecchiando l'assunto dell'operazione - le insurrezioni non funzionano mai, solo le controinsurrezioni riescono -, doveva essere di buon auspicio, il libercolo non vale, a mio parere, il prezzo della carta su cui è stampato. E me ne dispiaccio.
Controinsurrezioni è un piccolo gioiello, nel quale un Evangelisti profondamente realistico, e un Moresco visionario, dissolvendo i confini di ogni classificazione, riescono mirabilmente a sbrinare il Risorgimento da secoli di retorica, riscoprendolo materia vivente. Evangelisti riesce così perfettamente ad evocare sia lo stordimento della guerra, che la malinconia della sconfitta e della restaurazione, da trasmetterli anche fisicamente, fino a mettere i brividi. La lontananza e la sostanziale incomunicabilità fra Garibaldi e il protagonista sono inoltre una perfetta allegoria della distanza che c'è tra la tradizionale rappresentazione iconografica del Risorgimento, e la sua reale sostanza. Roma, epocale campo di battaglia, ricorda poi non a caso anche l'Iraq: la distruzione quotidiana che si alterna alla straniata finzione di normalità dei cittadini; la confusione di milizie improvvisate ed eterogenee; i ragazzini che, a rischio della vita, raccolgono i frammenti dei proiettili di cannone per venderli; le feroci rivalse personali che si mescolano alla resistenza contro l'esercito straniero...uno scenario di guerra in fondo comune a tutti i secoli. Il sincopato mosaico di frammenti temporali del racconto-sceneggiatura di Moresco, che mescola struggenti e pulsanti schegge di vita e di morte, con incedere musicale ed echi quasi steampunk, esplicita poi definitivamente questa intuizione. E' sempre tempo di controinsurrezioni.
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