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Desideravo leggere questo libro da tempo, ma il tempo spesso non basta mai, quindi, grazie al Bookcrossing, sono finalmente riuscita a recuperare La solitudine dei numeri primi di cui avevo visto il film anni fa al cinema, ma ad oggi non ricordo assolutamente nulla. La mia curiosità era così alle stelle che ho messo da parte molti libri che amo e che non vedo l’ora di rileggere in mezzo a pile infinite di storie ancora da scoprire. Ebbene. Posso iniziare dicendo che non mi piace scrivere recensioni negative, per me non è piacevole mettermi a parlare male di un libro che non mi è piaciuto, anche perché non ci trovo nessuno stimolo. Mi dispiace tantissimo se questa storia o buona parte di essa si sia ispirata in qualche modo a qualcosa di personale da parte dell’autore, davvero mi dispiace tantissimo, ma io penso di avere appena finito uno dei libri peggiori che abbia letto nella mia breve vita di lettrice. Non voglio entrare nei dettagli per non fare spoiler, ma sul serio mai, mai mi era ancora capitato di leggere un libro così pieno di catastrofi, una dietro l’altra, senza alcun approfondimento, senza un minimo spazio di speranza, coerenza, o di resilienza. In fondo, la letteratura non dovrebbe fare proprio questo? Offrire spunti di riflessione per i lettori, e incoraggiarli a credere sempre in un futuro migliore, sempre e comunque? In questa storia non c’è assolutamente niente, niente che faccia anche solo pensare a qualcosa di vagamente positivo, o sano, o normale. È tutto un perenne precipitare nel vuoto, o nel nulla completo. Ma siccome non mi piace lasciare le cose a metà, appena riesco recupero anche il film, voglio vedere se magari è stato cambiato qualcosa… in meglio, perché peggio di così…
Un libretto di poco conto. A volte mi chiedo come sia possibile che libri del genere abbiano così tanto successo! Una storia che non porta a niente…inconcludente. Un’accozzaglia di temi importanti trattati con così tanta banalità. Veramente una storia banale, noiosa e deludente.
Bello
Recensioni
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Succede, una volta ogni tanto, che un libro incontri insieme il consenso della critica e quello del pubblico. Trionfa allora, specie su quotidiani e rotocalchi, la sociologia della letteratura da bar; impazzano le valutazioni pensose sul giovane ricercatore di fisica (l'autore del libro) che, dal nulla, trae fuori un potenziale romanzo generazionale.
Prima difficoltà socioletteraria: che generazione racconta il Giordano di questa Solitudine dei numeri primi? Risposta da lettore comune: nessuna. Paolo Giordano, ventotto anni, mette in questo libro d'esordio il materiale tipico di ogni debutto. Tutta la sua vita finora, la sua idea del mondo e delle cose, una dose che non pare studiata d'ingenuità nella costruzione della storia. Perché qui c'è un autore dilettante e l'accezione è sempre quella: scrittore che, per vivere, fa dell'altro consapevole della necessità di una storia, di una fabula che attragga.
I personaggi in scena all'inizio sono tre bambini: Alice, Mattia e la sorella di lui, Michela. Michela è, avverte senza problemi il risvolto di copertina, una "ritardata mentale". Mattia, al contrario, è di precoce intelligenza e, in quanto tale, un po' inviso ai suoi compagni di scuola. Il giorno che uno l'invita a una festa porta con sé la sorella minorata, ma l'abbandona nel parco. Alice, dal canto suo, è un esempio piuttosto tipico di bambina costretta dai genitori (il babbo) a far cosa che detesta: nel caso di specie, sciare. Una mattina, dietro le insistenze del genitore insensibile, si butta sulla pista con l'obbligo di "far vedere chi è"e si rompe una gamba, procurandosi una zoppia che l'accompagnerà tutta la vita.
È chiaro a questo punto, perché Giordano predilige il gioco a carte scoperte, uno dei temi del libro: l'inadeguatezza. Alice è zoppa, Mattia troppo intelligente, Michela (destinata a uscire di scena e insieme a restarci sempre, sullo sfondo) inadatta al mondo e basta. Se non che, i bambini si fanno adolescenti e poi adulti e devono rispondere alle domande che il mondo rivolge loro. Sono aiutati dal caso, che in questo libro ha un rilievo non indifferente. Alice e Mattia s'incontrano e, in un modo che sfugge naturalmente a ogni convenzione, proverebbero pure ad amarsi. Tanto non è consentito da una serie di fatti ordinari (la malattia e la morte della madre di Alice, per esempio, il trasferimento all'estero di Mattia dopo la laurea) che, in questo libro, hanno però sempre un'aura di eccezione, di davvero fuori dall'ordinario.
Il risultato è dovuto alla lingua, su cui Giordano esercita un controllo ferreo e invisibile, Il paragrafo tipo della Solitudine ha i verbi reggenti concordati al passato remoto o all'imperfetto, tende a rifiutare le subordinate, impiega frequente il discorso diretto, impiega un lessico di registro medio. Sono queste caratteristiche a stridere con la costruzione dei personaggi che sono tutti, chi più chi meno, persone a disagio con la vita. Tanto Mattia quanto Alice, crescendo, fanno incontri: ma, come recita la frase in quarta di copertina, "Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l'aveva mai detto".
I numeri primi, cui l'editoria non solo italiana ha dato tanto spazio in questi anni, sono allegoria di questo particolare tipo di solitudine. Spiega il matematico Mattia che, con più crescono le cifre, con più il numero primo successivo si allontana: laddove, come naturale, i più bassi sono abbastanza vicini. Ma il punto è ancora un altro: "A lei non l'aveva mai detto". In questo libro, il non detto supera di gran lunga l'espresso, il dichiarato. Sembra un ennesimo accenno all'indicibilità di se stessi, che è uno dei sensi di questo romanzo per tanti versi inquietante (c'è un accenno all'autolesionismo di Mattia ragazzo che merita approfondimento; e anche il legame con la sorella minorata non è di facile decrittazione). La tensione del romanzo tende a scemare un po' verso il finale, ma questo sembra il primo romanzo italiano del 2008 destinato a lasciare dubbi, a creare problema. Che se poi ha anche successo, non essendo ancora rubricato in codice penale come delitto o contravvenzione, ben venga. Giovanni Choukhadarian
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