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Libro interessante che analizza piu' approfonditamente l'ambiente in cui e' cresciuto Marchionne ed il suo background culturale unito ad una descrizione della sua figura che nel libro rasenta la mitizzazione. Marchionne e' un bravo manager (non certo un visionario come Jobs o Gates) con una ottima conoscenza della fiscalita' e contrattualistica internazionale (che lo ha aiutato nel caso GM), ma la cosa piu' importante e' che non ha radici a Torino ed in Italia e non ha caste interne alla Fiat da difendere come hanno fatto tutti i suoi predecessori (come richiamato dal torinese Domenico Siniscalco). La novita' piu' che nella figura e nel metodo manageriale (per lui si richiamano spesso Iacocca e Ghosn) sta nel fatto che in una societa' feudale come quella italiana venga scelto come CEO della prima azienda del Paese (da sola Fiat vale il 5% del PIL) una persona esterna ai giochi di potere italiano. Forse questa e' la novita piu' importante importata da Marchionne, una prima apertura delle multinazionali italiane al management internazionale sperando che non sia un unicum del genere perche' se vogliamo che le nostre aziende diventino competitive sul mercato globale abbiamo bisogno di manager abituati a competere in ambienti internazionali. ps l'autore dimentica di citare i 17.000 licenziamenti fatti da Marchionne nei primi 3 anni per snellire la struttura decisionale (credo sia un dato importante) ed il progressivo trasferimento degli stabilimenti produttivi dall'Italia alla Polonia ma non dimentica di dare stoccate ogni tanto al PD giusto per non dimenticare chi, dall'altro lato, e' il suo principale datore di lavoro
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