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Mi dispiace ma condivido la recensione precedente...Avrebbe potuto essere un po' più coinvolgente, in particolare la storia tra la Laportere e l'americano...Apprezzabile il modesto tentativo di descrivere i retroscena organizzativi del festival con obbligato compiacimento dei vertici televisivi e il richiamo ad alcune canzoni nei titoli e figure di comparse che poco valgono...Grazie al cielo il festival è molto migliorato dal 2009...
Infinita notte non ha lasciato il segno. Non è un brutto libro. E' scritto bene, tranquillo, regolare, ma rispetto alla luce che mi è balenata mentre lo sceglievo dallo scaffale, il giudizio a pag 272 è altrettanto luminoso. Una storia ben raccontata, per un libro che avrei anche potuto non leggere.
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Guarnito di sovraccoperta editoriale con ballerine in paillette sullo sfondo di un fantasioso palco del Festival di San Remo, Infinita notte dichiara in paratesto le sue intenzioni pop. Niente di sorprendente. Non è forse questo il tempo delle narrazioni superleggere? Delle continue collisioni fra realtà minime vissute e loro riduzione a fenomeno, evento e quanti altri sostantivi del genere possano venire a mente? La sorpresa è che un'operazione del genere tenti Alessandro Zaccuri, reduce da un romanzo dotto come Il signor figlio (Mondadori, 2007; cfr. "L'Indice", 2008).
Nato a La Spezia, ma da anni residente a Milano, di mestiere giornalista e conduttore televisivo, Zaccuri è in verità fra i più titolati a parlare di una manifestazione che, per molti anni, è stata l'evento più guardato dagli italiani in televisione: il Festival della canzone italiana di San Remo. Come racconta lui stesso nella breve nota conclusiva, nel 2005 il quotidiano per cui scrive ("L'Avvenire",organo d'informazione della Conferenza episcopale italiana) lo spedì come inviato. Da un'esperienza di cronista nasce quindi questo affrescone dedicato alla prossima edizione del Festival, quella del 2010, sessantesima del conto. I brevi capitoli sono, con l'eccezione di un proemio e della nota in clausola, intitolati a canzoni del Festival; ma la musica non è l'argomento del Festival, come neppure di questo libro.
Qui va in scena un'umanità in buona parte sconosciuta. Per esempio quella della sala stampa, ai piani superiori del teatro Ariston. Un autentico universo concentrazionario di quelli raccontati da Michel Foucault, in buona parte inconsapevole della funzione allegorica che Zaccuri è capace di attribuirgli. Giornalisti di qualche notorietà extraprofessionale diventano, per una settimana all'anno, depositari di ruoli e funzioni quasi sacerdotali: il Festival nasce come gara di canzoni, e quindi come gioco. Se è gioco ha, con Huizinga e Caillois, anche del rito; e Zaccuri, che ha studi solidi alle spalle, conosce riti e liturgie. Può quindi permettersi di prenderli sommessamente a gabbo, levando dall'ombra le miserie del microcosmo televisivo, che del Festival è il motore mobile. La figura più significativa è quella dell'alto dirigente Ricasoli, in un contrasto ammirato con Gabo, il figlio intelligente e scapestrato, in qualche modo negativo del positivo che, agli occhi di molti, egli rappresenta. Assieme ai ministri, non mancano i concelebranti, che per lo scrittore Zaccuri non hanno minore importanza. Fra questi, il manager Miles De Michele, perduto fra un'improbabile mafia russa e la seduzione di una giovane donna nigra sed formosa: qui la narrazione ha derive sensuali non sostenute da scrittura adeguata. Altrettanto succede in una microstoria, peraltro bene inserita nella struttura generale, quella di Gabo con Francy e Vanessa.
Chi frequenta il Festival conosce questo genere di pre e postadolescenti, oggi certo in decremento e tuttavia non ancora scomparse; quelle che passano ore e a volte giorni nella speranza dichiarata di incontrare il cantante del cuore, in quella ovviamente taciuta di vivere una storia amorosa da mandare a memoria per gli anni avvenire. Zaccuri prospetta qui addirittura un avventura a tre, cita la canzone Pensiero stupendo (musica ispirata di Oscar Prudente, testo di Ivano Fossati, canta Patty Pravo) come colonna sonora acconcia ma poi gli manca il coraggio per raccontare i fatti e le azioni conseguenti.
Fatte queste doverose precisazioni, c'è voluto un giornalista di talento per scrivere il primo romanzo su uno tra i fatti di costume più notevoli del secondo Novecento. Si tratta certo di un romanzo particolare, indeciso per scelta se abbandonarsi del tutto a un estetica tardo-pop o invece seguire una personale deriva ipercolta e intertestuale. In questo senso, allora, Infinita notte è non solo il titolo di un celebre giallo di Agatha Christie, ma anche un emistichio da Auguries of innocence, testo letteralmente saccheggiato dalla musica pop inglese e americana. Tutto questo sta insieme, nel gran calderone di Infinita notte: le scatole cinesi delle storie si intrecciano con buona disinvoltura, offrendo al lettore il divertimento genuino di uno scrittore in vacanza. Il pregiato italianista Alessandro Zaccuri si dà quindi alle canzonette e, con sapienza invero ecumenica, confeziona un prodotto destinato al grande pubblico non meno che ai suoi lettori più esigenti.
Giovanni Choukhadarian
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