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Anno edizione: 2010
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L'argomento di grande attualità, la cultura dell'autore e i molti spunti di riflessione ne fanno una lettura avvincente che sicuramente consiglio. La traduzione però è cattiva e a volte si è infastiditi da errori grammaticali e di ortografia.
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Abbiamo imparato a conoscere la natura attraverso il lavoro manuale: è questo il presupposto del libro di Matthew Crawford, abbastanza radicale. Presupposto che lo porta a un'apologia del lavoro manuale, in un racconto ragionato della propria vita lavorativa e con un linguaggio lontano dall'accademia e vicino al discorso colloquiale colto.
Il lavoro viene prima, la mano spinge il cervello, eppure l'uno e l'altra hanno subito uno svilimento costante nella storia, con apice nell'epoca tayloristica, mentre l'intero sistema scolastico occidentale è del tutto compreso della presunta preminenza del lavoro di concetto. E questo è naturalmente un male per Crawford, che discute con calore, offrendo motivazioni proprie, ma anche di altri. Come la distinzione fra il lavoro "faccia a faccia" e quello delle professioni impersonali, a grande rischio quest'ultimo per la crescita della conoscenza globalizzata, che permette le stesse conoscenze e competenze dappertutto, o per le pratiche di delocalizzazione. L'autore fa sua l'affermazione di un economista che sull'argomento lancia l'allarme: "Non è possibile usare un martello via Internet".
La vita reale è diversa dagli esercizi di un manuale di algebra, manuale che con le sue regole e procedure è il contesto, già predeterminato, di quegli esercizi. Essa invece chiede un salto valutativo e di astrazione, una lettura complessa e la costruzione del suo manuale, che va estratto dall'esperienza e dai suoi giudizi.
In ogni capitolo Crawford insiste sulla superiorità del lavoro manuale, costruttore dell'anima, discutendo a volte frettolosamente una messe di argomenti che richiederebbero più agio di discussione. È lo stile del pamphlet contemporaneo che perde il fascino del racconto metafora di Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig, uno degli ascendenti del libro, e si accosta al linguaggio giornalistico, alla testimonianza concitata. Il lavoro manuale di cui parla l'autore non è però quello generico, bensì quello libero, autonomo, che fa perno sull'intuizione e non sulla conclusione, che è la regola del sapere formale. Quando Crawford dice "intuizione" intende il sapere tacito di cui ha scritto Richard Sennett in L'uomo artigiano, allo stesso modo quando dice "sapere formale" intende spesso sapere computerizzato.
Il libro biasima la società odierna nei suoi aspetti commerciali (l'ontologia del consumismo), nella sua tecnologia intellettuale, nelle sue illusioni manageriali e di culture aziendali. In questa critica un posto di rilievo occupa la scuola e l'università. Tuttavia lo scuotere della testa di Crawford non arriva a negare del tutto la validità e la necessità della scuola e dell'università, come non rifiuta il valore dell'astrazione, suggerendo una modalità di compromesso: all'università con lo spirito dell'artigiano. Accettabile, poiché entrambi i lavori, quello intellettuale puro e quello dell'artigiano, percorrono una stessa strada di ostinazione, di scacchi infelici, di sofferenza e di attesa intellettuale. L'artigiano, dunque, altro non è che un modello dell'intelligenza, e questa è infine la vera e vecchia questione: come aumentare l'intelligenza degli individui, soprattutto ora, nell'epoca dell'ingannevole divertimento permanente.
Fausto Marcone
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