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Storia d'amore cyberpunk ambientata tra l'Italia e l'est Europa. Consigliato
Gli incendiati è un romanzo onirico e allucinato in cui i generi si mescolano alla grande spiazzando più volte il lettore. Le prime 140 pagine fra toni esistenziali e onirici e tempi dilatati e ovattati dimostrano che Moresco sa scrivere divinamente, meno incisive le scene d'azione e l' "apocalisse" nel finale. Ah quasi dimenticavo, questa è una grande storia d'amore.
C'è un posto dove ti senti totalmente impotente perché hai l'impressione che le cose, tutte le cose, accadano lontano da te. E non noti la differenza, tra il tuo essere vivo e il tuo essere morto. Poi c'è un altro posto. Un posto che è più un passaggio, che ti rimette in connessione con le cose. Questo passaggio, questo buco nero, si chiama scrittura e Antonio Moresco lo percorre e lo fa percorrere, superando gli ostacoli della materia oscura e tornando all'esistenza incandescente come una stella sul punto di esplodere - e di morire per dare vita a nuovi pianeti dove la vita possa accadere di nuovo per la prima volta. Questi sono toni entusiastici, lo so. Però Moresco usa la scrittura come fosse un mitra, un bazooka, una limousine lanciata contro una drogheria, uno spropositato atto di amore. La sua scrittura fa succedere le cose.
Recensioni
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Negli ultimi anni, ogni volta che leggo un libro di Antonio Moresco non posso fare a meno di pormi alcune domande. La prima è di ordine, diciamo così, autobiografico, benché la biografia sia quella condivisa da chi poco più di una decina d'anni fa, su per giù allo scollinar del secolo, si accingeva, come diceva Leopardi, "a vivere alle lettere": cosa ha rappresentato Moresco anzi, meglio, la "funzione Moresco" nel campo letterario italiano? Sospetto che all'epoca abbia rappresentato, per quelli che Bourdieu definirebbe i nuovi entranti, l'esistenza stessa di un campo letterario: mettendolo in discussione, polemizzando, trasfigurando se stesso nella figura "sepolto vivo" come nelle Lettere a nessuno, ne sanciva un'esistenza altrimenti solo spettrale. In altre parole, incarnava, per chi allora iniziava, l'assolutezza di quel gioco serio che è la letteratura (la scrittura, lo stile). Una scommessa folle e malinconica in un contesto fin troppo ricettivo verso operine e romanzetti che non sopravverranno alla prossima rentrée (un contesto mercantile, ma che alla lunga fiacca coscienze e volontà, abbassa spaventosamente le attese). Non è un caso allora che una delle figure più tipiche del repertorio dell'autore mantovano sia quella dell'incendiato.
Allegoria che torna fin dal titolo di quest'ultimo romanzo, Gli incendiati appunto, in cui un protagonista e narratore si aggira, anche qui molto moreschianamente, "solo e completamente infelice", in un mondo di totale "aridità, asservimento, vuoto, vita che sembra morte". Moresco non è mai stato scrittore di sfumature, d'accordo, di ragionate strutture che si svelano lentamente nel procedere delle pagine, erano altri i suoi interessi. Ma qui è come se la tavolozza fosse composta solo di colori primari, anzi solo di bianco e nero, rosso e oro: non c'è praticamente capoverso, riga, che non evochi qualche concetto supremo. E se già si parte a cento all'ora, ogni pagina sarà un ulteriore accelerazione: in una località turistica assediata da misteriosi e infernali incendi, il protagonista incontra una donna che brucia letteralmente in una sublime fiamma. È l'inizio di un'ossessione amorosa, erotica e mistica che accompagnerà i due in un crescendo vertiginoso. Lui si scopre essere una specie di agente segreto, lei è in fuga da un traffico internazionale di schiavi, e i due ne passeranno di cotte e di crude finché non moriranno uccisi dai cattivi del caso. Ma neanche questo li ferma, al contrario: da morti si uniranno agli altri morti in un armageddon cosmico, nella guerra mondiale dei morti contro i vivi, fino all'esoterica fiammata finale.
La seconda, delle domande a cui accennavo all'inizio, si potrebbe sintetizzare così: dove sta andando, oggi, Antonio Moresco? Non sarà negli Incendiati che troveremo una risposta, o almeno non una risposta che siamo pronti a controfirmare. Un testo ascensionale, verticale (come sempre in Moresco non c'è movimento che non sia verticale): anche qui, dove pure gioca con i generi e con la loro "orizzontalità", c'è un costante, convulso rilancio che si conclude (provvisoriamente viene da pensare) nel finale apocalittico, in quest'improbabile punto d'incontro tra videogame di bassa lega e testo sapienziale, pacchianata e mistero, dove i morti bombardano i vivi. Ma, soprattutto, lo fa usando una lingua scomposta, a tratti volutamente brutta; eppure non è la parola necessariamente scomposta di chi sta "sfondando", dell'"invasore" (parole d'ordine moreschiane). Moresco sembra proseguire in un itinerario estremamente personale, senz'altro impervio, di difficile decifrazione, ma un tale avvitamento nel proprio idioletto rischia di apparire più la chiusura di fronte a un accerchiamento che l'apertura (a cosa, verso dove?) che annuncia. Mentre lo osserviamo allontanarsi viene il dubbio che siamo noi a non comprenderlo più, o forse non siamo ancora pronti.
Francesco Guglieri
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