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Chi scende ai Murazzi di Torino, sul lato destro rispetto all'ingresso da Piazza Vittorio, da qualche mese può trovare una lapide che recita così: "Qui il 17 marzo 1922 un giovanissimo Mario Soldati (
) trasse in salvo un coetaneo in pericolo di vita meritando la medaglia d'argento al merito civile". A quindici anni e mezzo, il futuro scrittore andava già diffondendo i primi segni di quella che più tardi sarebbe stata la sua leggenda di artista impulsivo e generoso, capace di agire, e di scrivere, sull'onda di un inesauribile desiderio di vita. Narratore, sceneggiatore, critico d'arte, Soldati ha saputo negli anni seguenti inventare se stesso proprio in forza di quel desiderio, così come un secolo prima Henri Beyle aveva inventato Stendhal.
America e altri amori è il terzo "Meridiano" delle opere di Soldati, dopo i Romanzi (2006) e i Romanzi brevi e racconti (2009; cfr. "L'Indice", 2009, n. 4). Nel multiforme universo di diari e testi di viaggio compresi nel volume, a cura di Bruno Falcetto, il caleidoscopio del mondo diventa lo spazio su cui l'autore proietta la sua irrefrenabile brama di vedere, conoscere, sperimentare. Maestro nel dissipare la consistenza dell'io nell'attimo dell'immediato presente, Soldati traccia un'originale anatomia dell'irrequietezza: l'emigrazione interrotta di America primo amore (1935); il distacco dalla religione di Un viaggio a Lourdes (1943); la concitata traversata in bicicletta di Fuga in Italia (1947); le vacanze in barca a vela di Fuori (1968); le accorate e divaganti note enologiche di Vino al vino (1969-1976); il soffuso disincanto di Addio diletta Amelia (1979); il commiato definitivo dai viaggi di L'avventura in Valtellina (1985). Il movimento come arte di rinnovarsi costantemente, di mutare visuali, di ricominciare daccapo: un'esigenza per Soldati così intima ed essenziale da dare ai suoi ricordi sostanza concreta, quasi fisica, e portarlo a sentire i luoghi visitati "come il monco sente l'arto amputato".
Roland Barthes era convinto che i libri di viaggio andassero distinti in tre categorie: quelli di chi, come un turista, si reca in un luogo per pochi giorni; quelli di chi, come un emigrato, ci vive ormai da anni; e quelli di chi, a mezzo tra queste due condizioni, ci risiede per un tempo troppo lungo per sentirsi ancora forestiero e troppo breve perché il paese straniero diventi la sua nuova patria. La forza narrativa e la finezza morale di questi scritti dipendono almeno in parte dal fatto che Soldati amava raccontare esperienze di quest'ultimo tipo, durante le quali la lontananza ha il tempo di concedersi allo sguardo del viaggiatore in piena naturalezza. "Per conoscere una città non bisogna mai visitarla, ma soltanto viverci perlustrandola con un altro scopo", scriveva in questo senso, poiché solo così "tutto ci appare come per caso e conosciamo di colpo senza cercare di conoscere, parte viva della stessa vita".
È quanto accade in quel libro giovanile e definitivo che è America primo amore. Nel novembre del 1929, vinta una borsa di studio per la Columbia University, Soldati si imbarcò per gli Stati Uniti, scommettendo con se stesso che sarebbe diventato americano. Dissapori con gli italianisti d'oltreoceano gli impedirono di consolidare la sua posizione universitaria; le sconfinate differenze tra la vita negli Stati Uniti e quella in Italia contribuirono tuttavia a rendere unica la sua esperienza: "Il primo grande viaggio lascia nei giovani, di qualunque levatura e sensibilità, un dissidio che le abitudini non possono comporre; precisa l'idea degli oceani, dei porti, dei distacchi; crea quasi, nella mente, una nuova forma, una nuova categoria: la categoria della lontananza; la considerazione ormai di tutte le terre lontane". Un viaggio iniziatico, un lungo inseguimento di sé, che si rivelò, come ogni primo amore, tanto fallimentare quanto formativo. Nel pigia-pigia del subway, tra le miserie del Bronx, alle luci di Times Square, la scrittura di Soldati si muove infatti in una dimensione che, sperdendo a migliaia di chilometri da casa, sposta le misure della distanza geografica sul piano immateriale dei rivolgimenti interiori: "La lontananza è in noi, vera condizione umana".
Soldati tornò nei luoghi del suo primo viaggio soltanto nel 1973, quando venne invitato in California per tenere un ciclo di lezioni. Il racconto di quel ritorno, in Addio diletta Amelia,svela al lettore come con gli anni i viaggi divennero per lui l'occasione di movimenti anche e soprattutto nel tempo, fatui pretesti per rovistare tra i segreti più riposti della memoria. Da allora, il piacere di ricordare e quello di ripartire finirono per risolversi, nella mente del viaggiatore, in identica cosa: "Viaggiare, varcare gli oceani e i confini era un tempo tra le gioie più forti della nostra vita. Ricchi di questi esili, noi impariamo oggi il più difficile e il più lungo viaggio: quello del ritorno".
Luigi Marfè
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