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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2013
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Libro bello che tratta un tema veramente forte e un mondo inimmaginabile
nell'insieme non soddisfacente pur se intenso
Michela Marzano ha avuto senza dubbio un'esperienza particolare e una vita molto difficile, piena di delusioni, sofferenze e incomprensioni; io non giudico lei, ma il suo libro. In questa testimonianza io non ho trovato nessun percorso definito, l'autrice non ha seguito nessun filo conduttore e lo ammette pure lei: "Quando leggo un romanzo, io salto le descrizioni perché mi annoiano, non ho bisogno di sapere ogni particolare. In questo libro salto di palo in frasca". Il libro ha una grammatica semplice: assente di virgole, piena invece di punti e paragrafi non sempre collegati tra loro. Non è lineare, non c'è né testa, né coda, solo una quantità di riflessioni scritte alla rinfusa, una dopo l'altra. Questo dovrebbe essere un libro in merito a un disturbo alimentare, ma la parola "anoressia" verrà scritta solo cinque volte. La testimonianza tratta invece del rapporto tra l'ambiziosa autrice e l'esigente padre, dolore ripetuto fino allo sfinimento. L'autrice ha un dottorato in psicologia e nel libro sono contenuti molti pensieri, tutti trattati superficialmente e, in ogni caso, quel genere di riflessioni non sono consone a un libro del genere. Non sono riuscita a connettermi con l'autrice. Detto in modo brutale, non sono riuscita a provare pietà per lei, anche perché, verso la fine, la Marzano scrive "Io non ero anoressica, io avevo fame, sono molto golosa". La frase è molto contraddittoria, quindi avrei voluto leggere il perché a quel punto non mangiava, sebbene il suo stomaco brontolasse, cosa la frenava, cosa temeva. Invece no, non c'è scritto nulla di tutto questo, non c'è scritto nulla a proposito di quello che un libro su un disturbo alimentare dovrebbe trattare. Ci sono molte sfumature dell'anoressia e ci sono molti sintomi a lei collegati, non soltanto il peso scarso dell'affetta, in questo libro non viene trattata nemmeno la malattia della Marzano! Vi consiglio "Alla fine di lungo inverno" di Emma Woolf, è con quella testimonianza che ho aperto gli occhi.
Recensioni
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“Peso”, “pesante”, “pesare”
Per anni, ho fatto di tutto per diventare leggera come una farfalla. E ci sono quasi riuscita. In termini di chili, s’intende. Perché per il resto, la vita è stata spesso “troppo pesante”. È stato pesante dover essere la più brava. È stato pesante cercare sempre di adattarmi alle aspettative altrui.
Michela Marzano, affermata filosofa, sceglie in questo testo di abbandonare saggi e scritti per raccontarci la storia della sua vita. Giovane donna appena quarantenne, affermata docente all’università di Parigi, decide in queste pagine di narrare l’esperienza che ha più profondamente segnato la sua vita, il passaggio attraverso una malattia: l’anoressia. Michela racconta della sua infanzia, delle promesse di una mamma che troppo presto si è allontanata, delle assenze. Descrive i tempi della scuola media e le prime attenzioni. Poco importa se sono quelle di un uomo di quarant’anni, di uno dei suoi professori. Non fa niente, purché facciano sentire importanti. Perché “Vuol dire che esisto. Che non sono trasparente”.
A questi seguono gli anni del liceo, i pianti per i compiti di latino non perfetti, della sua continua ricerca della perfezione, degli studi per vincere il concorso alla Normale di Pisa.
L’impegno per andare via di casa, a tutti i costi, unico modo per sfuggire al fallimento, per dimostrare di essere la più brava, per costringersi e sforzarsi di essere la migliore, per essere la persona perfetta che suo padre voleva che fosse e per soddisfare le aspettative degli altri.
“Peccato che, nel frattempo, avessi cominciato a sentirmi in colpa quando mangiavo.
E peccato che nel giorno della sua laurea il suo peso fosse di appena 35 chili: “Le ossa appuntite. I capelli corti corti.” perché aveva iniziato a perderli.
Nel suo impegno esclusivo per raggiungere la perfezione e ottenere successi, ci racconta anche delle punizioni per ogni cibo ingerito, del calcolo ossessivo delle calorie assunte a ogni porzione di torta e il conteggio delle vasche in piscina per poi smaltirle tutte.
Michela riesce a offrire una testimonianza sincera delle fragilità di una giovane donna, del desiderio di attenzioni, della sua silenziosa richiesta di aiuto. E ci mostra anche il coraggioso cammino per affrontarle, quello che ha percorso lei, nel corso degli anni, per sconfiggere la malattia e il senso di disperazione e inadeguatezza: le sedute dall’analista, i gruppi di mutuo aiuto, le difficoltà. Fino al giorno in cui ha detto basta. Basta “onnipotenza”, basta perfezione.
Il giorno in cui ha iniziato ad acquisire consapevolezza di ciò che davvero l’avrebbe aiutata nel suo percorso: riconoscere i propri limiti, le proprie paure, le proprie sofferenze. Guardarle e accettarle, perché non tutto può essere controllato, perché le sconfitte, “gli imprevisti, le delusioni, i tradimenti… fanno tutti parte della vita. Capita. Succede”.
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