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Molto bello.Impostazione moderna che riesce a coprire 900 anni senza annoiare ed evidenziando i tratti salienti di una civiltà della quale dovremmo essere più orgogliosi tenendo conto del periodo nel quale si è sviluppata.
Assolutamente da leggere per capire qualcosa di quello che ci hanno fatto studiare sulla storia di Roma antica. L'autrice è una storica molto nota, anche per le sue trasmissioni sulla TV britannica, femminista, anticonformista ma non per questo meno seria coma studiosa. Dunque possiamo permetterci di divertirci con questa lettura e insieme fidarci di ciò che impariamo
Il vademecum della conoscenza di Roma antiqua. Il libro molto interessante.
Recensioni
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Il dialogo continuo e fruttuoso con gli antichi romani rimane un punto di riferimento imprescindibile per il modo in cui giudichiamo noi stessi.
"Roma ci aiuta ancora a definire il modo in cui comprendiamo il nostro mondo e pensiamo noi stessi." - Mary Beard
"SPQR svela i segreti del successo dell'antica Roma con straordinaria chiarezza" - The New York Times Book Review
"Una ricostruzione magistrale" - The Economist
“La storia dell’antica Roma è importante. Ignorare i romani non significa semplicemente chiudere gli occhi di fronte a un passato remoto. Roma ci aiuta a definire il modo in cui comprendiamo il nostro mondo e pensiamo a noi stessi, dai massimi sistemi fino alle commedie umoristiche. Dopo duemila anni, costituisce ancora il fondamento della cultura e della politica occidentale, di ciò che scriviamo e del modo in cui vediamo il mondo e il posto che in esso occupiamo.”
“Un altro maledetto libro grosso e quadrato! Sempre scarabocchi, scarabocchi! Eh, mister Gibbon?”. Questa è la famosa battuta, a metà fra l’amabilità e l’ironia, con cui il duca di Gloucester apostrofò il secondo tomo della memorabile Storia della decadenza e caduta dell’Impero Romano di Edward Gibbon, una pioneristica ricerca che diede avvio allo studio moderno della storia romana nel mondo anglosassone.
SPQR di Mary Beard, accademica di fama mondiale, è soltanto l’ultimo tassello di questa prestigiosa tradizione storiografica. Ma gli intenti non sono certo quelli eruditi e monumentali del suo illustre predecessore. L’opera della Beard non si rivolge agli accademici e non ha alcuna pretesa di essere portavoce di nuove scoperte o teorie rivoluzionarie. Il suo tentativo è quello di accostarsi ad un tema classico (il più classico di tutti probabilmente) come quello della storia dell’Urbe, ma con un linguaggio nuovo e con priorità ed obiettivi differenti.
Quest’opera dunque è il suo contributo a ciò che ritiene più importante dello studio di Roma, quel continuo work in progress che l’ha tenuta impegnata sul campo per oltre cinquant’anni. Il linguaggio però è fresco, dinamico, semplificato. L’autrice esamina lo sviluppo e l’ascesa della Città eterna, nonché i fattori che le hanno permesso di mantenere a lungo una posizione di egemonia su tre continenti. Tutto questo però senza divagare in mere leziosità manualistiche e senza addentrarsi nelle dispute tecniche. Si ha la sensazione per questo che l’opera sia più il frutto della sua volontà di confrontarsi con un pubblico generalista sulle sue impressioni personali ed intime con il suo campo di studi, abbandonandosi ad una interpretazione strettamente personale.
Ciò giustificherebbe la scelta originale ed unica di voler terminare la propria “storia romana” con la Constitutio Antoniana di Caracalla nel 212 d.C., la quale garantì piena cittadinanza ad ogni libero abitante dell’Impero, portando a compimento per la Beard quel processo di estensione di diritti e di privilegi cominciato mille anni prima. C’è una sorta di rifiuto e di negazione del basso impero e a quel declino tanto caro a Gibbon. Questa impostazione è certamente innovativa ma è scarsamente giustificabile, soprattutto dal punto di vista puramente storico perché non rappresenta una cesura epocale. L’Impero, a dirla tutta, non basandosi su una costituzione vera e propria ma su strutture istituzionali consuetudinarie è vittima in questo caso della passione filo repubblicana che emerge tiepidamente nelle pagine dell’opera. Apprezzabile è invece l’altra scelta coraggiosa di iniziare l’analisi storica 600 anni dopo la fondazione dell’Urbe, ai tempi della congiura di Catilina e della massima esaltazione di ciò che intendiamo per SPQR, ovvero il “Senato ed il Popolo romano”, le due fonti principali dell’autorità politica e del legittimo potere dello Stato. Non solo. I fatti del 63 a.C. rappresentano anche la massima retorica politica su cui i cittadini romani non hanno mai smesso di discutere, ma anche su cui il mondo occidentale odierno si interroga ancora. Questo rappresenta il vero cuore dell’opera della Beard: le parole pronunciate da Cicerone esprimono questioni che ci preoccupano ancora oggi.
È legittimo uccidere dei “terroristi” violando le procedure ordinarie? Fino a che punto si possono sacrificare i diritti civili in nome della sicurezza nazionale? Questa comparazione tra passato e presente, questa linea di modernità delle tematiche costante è il pregio più grande di SPQR e gli permette di raggiungere con successo l’obiettivo iniziale, con buona pace di Gibbon e dei suoi scarabocchi.
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