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Descrizione


Un romanzo corale, sentimentale, incalzante, una commedia spassosa e disincantata, un viaggio in un'Italia il cui volto più vero si rivela a volte non nel celebrare la propria festa, ma nel veder rovinata quella degli altri.

«Piccolo di statura, Gino Matera era incassato come un pistillo nella corolla compatta di telecamere che lo circondava.
Da persona garbata qual era, non si sottraeva alla pioggia di quesiti a cui rispondeva schiarendosi in continuazione la gola per tirar fuori quel filo di voce che la timidezza continuava ad abbassargli.
«Come ha accolto la notizia del ballottaggio?»
«Serenamente. Siamo pronti.»
«I punti salienti del programma?»
«Quale programma?»
«Il programma della sua candidatura.»
«Ah, scusate. Niente. Non è che avevamo pensato a un programma. Noi siamo di Paludazzo e loro sono di Montesole.»
«Tutto qua?»
«Tutto qua. Non le basta? Si vede che lei non li conosce, quelli di Montesole! E le loro donne!»
«Ci spieghi meglio.»
«Non mi faccia dire altro. Ha già capito.»


Gli abitanti di Paludazzo e Montesole si odiano da sempre. Dimenticati dalla storia con la S maiuscola, abbandonati tra le grinze di un Meridione inaccessibile, avrebbero potuto continuare a covare il loro rancore all'infinito se nei palazzi del potere romano qualcuno non avesse deciso di dare uno scossone alle loro vite. Accorpati nel neonato municipio di Fiumesecco, i due paesi confinanti sono chiamati a eleggere il primo sindaco unificato. La vigilia del voto è agitata da un atavico terrore che serpeggia identico da entrambe le parti: finire sotto il giogo dell'odiato nemico, governati dal candidato dell'altro campanile. Le elezioni preoccupano anche l'ambizioso e opportunista presidente del consiglio, autore di un'epocale riforma elettorale che dovrà sancire inequivocabilmente vincitori e vinti, rendendo finalmente governabile il paese. Ma il granello di polvere capace di inceppare l'ingranaggio in apparenza infallibile uscirà proprio dalle urne di Fiumesecco, portando i riflettori della nazione intera ad accendersi sulle vite, i sogni e le disillusioni dei suoi abitanti. E se nessuno deve osare "unire ciò che Dio ha diviso", come dice il parroco di Paludazzo, solo l'amore testardo e inarrestabile porterà un vento nuovo in quei luoghi. Cronache della discordia è un romanzo corale, sentimentale, incalzante, una commedia spassosa e disincantata, un viaggio in un'Italia il cui volto più vero si rivela a volte non nel celebrare la propria festa, ma nel veder rovinata quella degli altri.
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Dettagli

2017
14 febbraio 2017
282 p., Brossura
9788804673224
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Indice

Le prime pagine del romanzo

«Mi piace una» disse Riccio, prima di scodellare la pallina bianca nel biliardino.
È esattamente così: le cose non esistono finché non le nomini.
Un attimo prima tutto è fermo e tu sei ancora tutto intero. Un secondo dopo riconosci quello che provi, gli dai un nome, lo butti al centro del campo ed è l’inferno.
Un fragore di legno e metallo investì l’interno del bar con l’allegria di una banda scapestrata in cui tutti gli strumenti attaccano all’improvviso a suonare a pieno fiato.
Enrico il barista, che conviveva con quel rumore ogni giorno da trent’anni e che mai, neanche per una volta, aveva preso in considerazione l’ipotesi di rimuovere il calciobalilla, rivolse ai due ragazzi lo stesso sguardo infastidito che sempre destinava a chi iniziava una nuova partita.
Riccio aveva i rossi, il suo compagno di banco Spaccapietra i blu.
La pallina si fermò per un attimo, irraggiungibile per tutti gli omini. Spaccapietra la recuperò con le dita facendo ripartire l’azione dall’angolo in pendenza vicino alla propria difesa.
«Mi piace una!» ripeté Riccio, approfittando della pausa.
Invece di concentrarsi sull’attacco, pareva stregato dal caos dei rimbalzi. Finalmente l’aveva capito. L’aveva ammesso. L’aveva appena detto: mi piace una. Mi piace una e la palla guizza velocissima tra le figurine in plastica, mi piace una e senti che gran casino, mi piace una e sono a pezzi e soffro da cani ma è bellissimo, mi piace una e adesso lo so che cos’ho finalmente, ed è tutto uno sbattere del cuore tra le sponde, una biglia di purezza su un biliardino unto di grasso, un siluro che attraversa il campo e sfonda la rete.
«Uno a zero.» Spaccapietra sorrise.
Il rumore di latta dentro la piccola nicchia della porta di Riccio appena percossa dalla pallina pose fine al frastuono. Spaccapietra allungò una mano verso il segnapunti azzurro facendo scivolare uno dei dadi.
Riccio lo guardò con sospetto. Piegato in avanti, le maniche della maglietta nera su cui un demone imbracciava una chitarra elettrica arrotolate sulle spalle, le braccia esili e pallide, l’amico sembrava galleggiare sul calciobalilla con la fluidità di un polpo. Non si sarebbe stupito se gli avesse visto spuntare e muovere in maniera coordinatissima quattro braccia insieme, una per ogni barra. Cinque, se contava anche quella necessaria per segnare i punti.
Riccio si chinò a prendere la seconda pallina dalla pancia del biliardino.
«È bionda» disse rovesciandola tra le due file di centrocampisti. E giù di nuovo a dar battaglia, come se la prima volta che la descriveva lei stesse nascendo proprio lì di fronte a lui e una sorta di glorioso dolore si impadronisse del suo povero cuore, lo schianto metallico di un oggetto caduto dall’alto.
«Due a zero» fece Spaccapietra, sorrisino malizioso e gesto furtivo a snocciolare un altro dado sul segnapunti.
Senza guardare in basso, Riccio infilò la mano nelle viscere del calciobalilla e prese la terza palla, gettandola in campo con risentimento.
«È bellissima, sarà alta più o meno uno e sessantacinque, forse sessantotto, è elegantissima, non nel senso degli abiti, è come se avesse un certo suo stile, ha un sorriso pazzesco…»
«Tre a zero.»
Riccio tirò fortissimo le stecche verso di sé. Un boato di metallo risuonò nel bar. Da dietro il bancone Enrico emise un ruggito. Spaccapietra spostò il terzo dado sul segnapunti. Sorrise di nuovo, concentratissimo nell’attesa che la pallina tornasse in gioco.
«Vorrei che capissi che questa cosa che ti sto dicendo per me è importante. È come se finalmente adesso ci vedessi chiaro e…»
«Quattro a zero.»
Riccio restò pietrificato, raccolse la quinta palla, la serrò tra indice e pollice e si mise a fissare Spaccapietra che non poteva fare a meno di ridere sotto i baffi.
«Sei il mio compagno di banco. Accidentalmente, visto che viviamo in un paese di circa duemilacinquecento anime e che non c’era un granché da scegliere, sei anche il mio migliore amico. Ti sto confessando un segreto di cui mi sono appena reso conto. E dimmi qualcosa, cazzo!»
Spaccapietra rimase imperturbabile, piegato sulle ginocchia a fluttuare con i tentacoli sulle stecche.
«E che cosa ti devo dire, amico mio! Hai un centrocampo che fa veramente schifo!»
Riccio scrollò il capo, rassegnato a rimettere la sfera in gioco.
«Muoviti, tira che ho il braccio caldo. Ti ricordo che a cinque si vince.»
Riccio fece scivolare in campo la palla, che rimbalzò sulle due sponde lunghe e si diresse verso i centrocampisti azzurri. Riccio la seguì distrattamente muovendo la fila dei suoi omini finché perse la marcatura, lasciando sguarnita la difesa per un attimo appena.
Concentrato come un cecchino, Spaccapietra se ne accorse e battezzò con certezza lo spiraglio che aveva appena intravisto e che gli avrebbe permesso di mettere a segno il punto partita.
Mentre l’amico caricava il tiro, Riccio aggiunse con un bisbiglio: «È di Montesole».
Spaccapietra svirgolò il colpo, la stecca gli scivolò tra le mani e finì con l’impattare la palla in direzione opposta, mandandola dritta come una rasoiata a insaccarsi nella propria porta.
Osservò l’amico con occhi increduli «Di Montesole?» ripeté a voce talmente alta che tutti nel bar si fermarono improvvisamente. Enrico si accigliò sporgendosi sul bancone.
Riccio non ebbe paura. Mentre il suo compagno di banco sbraitava contro i montesolani dando fuoco a un’intera santabarbara di bestemmie e istigando gli altri avventori del bar a condannare quel sentimento appena sbocciato, lui sgranò il primo dado rosso sul suo segnapunti, si chinò a prendere una nuova pallina e la rimise in gioco.
«Mi piace una» ripeté tra i denti. E certo era bellissimo essersene reso conto. Ma d’improvviso gli parve assai più bella l’idea, ancora tutta confusa, che la questione non fosse finita lì. Accanto alla meraviglia della consapevolezza, si affacciò la vertiginosa possibilità che adesso toccasse a lui fare qualcosa. Cosa, lo ignorava completamente.
Tutto quello che sapeva era che adesso era in gioco, che la partita era difficile ma appena iniziata e che stava a lui cercare di far seguire a quella piccola palla bianchissima che sbatteva in una scatola di legno e metallo la direzione che il suo cuore suggeriva palpitando.

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Bellissimo

Bello l'intreccio narrativo, ironico nel raccontare l'ordinario... una storia scritta bene e con una bella morale.

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Claudia
Recensioni: 5/5

Un ritratto dell'Italia e dei suoi conflitti in un romanzo corale, sentimentale e comico. Francesco Marocco crea un bellissimo intreccio di personaggi che rappresentano brillantemente la realtà italiana. Storie d'amore, di biciclette in salita, di baci davanti al mare e di seggi elettorali ci fanno viaggiare verso una promessa, una speranza, un istante di felicità e un orizzonte dove tutto è possibile.

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Voce della critica

Per secoli i due piccoli paesini della Basilicata, Paludazzo e Montesole, si sono cortesemente odiati. L’origine di questa ancestrale e duratura faida si sono perse nelle nebbie del tempo, tanto che nessuno più ricorda come o perchè sia iniziata e non sembrano esserci buone ragioni per porre fine al problema.

Un giorno, tuttavia, il governo italiano presieduto dallo scaltro Mirko Bazzi, decide di approvare la nuova riforma elettorale che dovrebbe dare nuova e duratura stabilità al governo del paese.

I comuni di Paludazzo e Montesole vengono uniti in un nuovo centro urbano chiamato Fiumesecco. Al neonato comune occorre dare un primo cittadino, così gli abitanti dei due centri vengono chiamati a votare per decidere quale candidato verrà premiato e quale schieramento politico lo sosterrà. All’apparenza l’elezione del sindaco di un centro urbano così giovane, piccolo e lontano dai grandi palazzi del potere, sembra essere ininfluente per la vita della Repubblica italiana. Ma quando si scopre che nell’esito di quell’elezione sono riposte le sorti dell’intera nazione, tutto cambia per il comune di Fiumesecco.

Al centro della formazione della squadra di governo, Mirko Bazzi aveva reagito ai colpi di scena con il palpitare del leader, invitando la squadra all’ottimismo quando le cose sembravano mettersi male, e assumendo il comando dei festeggiamenti con un entusiasmo accorto ogni volta che era arrivata una buona notizia. Senza darlo a vedere, però, Bazzi si sentiva tradito: non già dai sondaggisti che avevano toppato le previsioni, ma da quello stesso popolo che sentiva di aver servito con dedizione lavorando alacremente alla riforma elettorale, quel popolo che non gli tributava un plebiscito come da più parti ci si aspettava e come lui, in cuor suo, sentiva di meritare. (pag 91)

Sono molte le ragioni che mi hanno portato ad apprezzare sinceramente il libro di Francesco Marocco. Come prima cosa potrei dire, a te che stai leggendo questa recensione, che l’autore di questo esilarante romanzo, racconta una storia con uno stile narrativo incalzante e molto originale. Sembra una cosa da poco conto, ma leggere un libro e desiderare di andare avanti, vedere cosa ci sia nella pagina successiva, come si evolveranno gli eventi, se quella cosa che tanto sospetti accadrà per davvero, non è una dote che hanno in molti. Quindi, complimenti Francesco, ottimo lavoro.

La seconda cosa che mi è saltata all’occhio è stata la trama molto originale di questo libro. Non ti tedierò, caro lettore, con sofisticate digressioni sull’origine del linguaggio satirico, sulla storia di questo genere letterario, come e quando è stata usata cercando di impressionarti con ragionamenti sofisticati che mettano in mostra una mia pseudo cultura. Ti dirò che l’autore, nel suo slancio creativo, ha provato a mostrare cosa sarebbe successo se la famosa riforma elettorale, bocciata dal referendum dello scorso gennaio, fosse stata approvata. L’idea che due piccoli, litigiosi comuni di un angolo sperduto del nostro paese possano decidere il destino di una intera nazione mi ha intrigato davvero molto, specie se si tiene conto delle motivazioni che stanno alla base di questo litigio, pare, insanabile.

Riuscire a parlare di alcuni argomenti, facendo ridere e mostrando il lato buffo della nostra quotidianità, non è una cosa da tutti e il signor Marocco ci è riuscito in modo davvero magistrale. Sarebbe bello se ci fossero più autori dotati della capacità di far ridere e far riflettere nello stesso tempo.

Consigliatissimo.

Recensione di Gabriele Scandolaro

 

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Conosci l'autore

Francesco Marocco

1976, Bari

Architetto paesaggista, insegna Progettazione dei giardini all'Università Politecnica di Valencia. Ha esordito con una raccolta di racconti L'estate in cui Bari comprò João Paulo (La meridiana, 2006). Fandango Libri ha pubblicato, nel 2012, il suo primo romanzo Mai innamorarsi ad agosto. Nel 2017, per Mondadori esce Cronache della discordia.

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