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Un quadro vivace e complesso del Medioevo e un autoritratto eccezionale della mentalità settecentesca. (Tre volumi in cofanetto)
Che cosa c’è di nuovo in Gibbon? Di nuovo c’è evidentemente la History of the Decline and Fall of the Roman Empire . Le idee fondamentali di Gibbon, politiche, morali e religiose, sono quelle di Voltaire. Ma Gibbon era ben conscio che a scrivere storia occorrono i fatti. Qui i fatti sono raccolti, vagliati, rianimati, da un uomo che non aveva dubbi su che cosa amare e che cosa odiare, ma sapeva anche descrivere, misurare gli effetti, tracciare una linea di separazione tra le testimonianze buone e le cattive. L’orizzonte intellettuale del secolo XVIII era davvero ampio. L’Europa era troppo piccola per contenerlo. La curiosità e le simpatie andavano alle nazioni e alle religioni extra europee, compreso l’Islam. Lo studio della religione e del diritto assumevano un nuovo significato. La scoperta della nuova città celeste dei filosofi, per usare la terminologia di CarI Becker, dava un criterio secondo cui giudicare la città terrestre dei preti, dei monaci, dei filosofi scolastici e dei signori feudali. In potenza questa nuova storia era già esistente prima di Gibbon. Ma solo Gibbon ebbe la scienza e la fantasia per metterla insieme e farla vivere. Cosí il suo Decline and Fall è insieme un quadro vivace e complesso del Medioevo secondo un dato punto di vista e un autoritratto eccezionale della mentalità settecentesca. Dal saggio di Arnaldo Momigliano
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Il libro è molto bello, la prosa è super, mi piace come scrive Gibbon con il suo stile elegante e raffinato, per la sua ironia, a volte alcune sue frasi mi hanno fatto ridere molto, altre invece mi hanno fatto piangere per la commozione, è quindi una lettura consigliatissima a tutti per la straordinarietà della sua prosa! Veniamo ora ai difetti. Alcune considerazioni di Gibbon sono superate. Non solo: facendo dei controlli ho scovato anche degli errori, esempio nel capitolo su Aureliano e in quello sui Vandali (in entrambi inverte degli avvenimenti), altre volte si basa su fonti non attendibili (esempio in quello dei Vandali usa Procopio che per il V secolo non è attendibile). Commette errori anche nel capitolo 40 (paragrafo rivolta di Nika). Consiglio quindi di non prendere tutto per oro colato e di controllare sempre su fonti più recenti. Inoltre purtroppo Gibbon odiava i Bizantini, per questo a parte il volume IV (da Giustiniano a Eraclio) in cui tratta abbastanza "bene" i Bizantini la sua trattazione è insufficiente. Il volume V inizia con un invettiva contro i Bizantini che vengono diffamati e con la decisione di trattare i nemici dei Bizantini al posto degli "schiavi Greci". Gli imperatori dal 641 al 1204 vengono quindi relegati nel capitolo 48 mentre nei capitoli successivi si parla di Franchi, Arabi, popoli nei Balcani (questi ultimi pure in modo insufficiente), Normanni, Turchi e Crociati e solo indirettamente dei Bizantini. Dal capitolo 62 per fortuna migliora e la storia degli ultimi due secoli dell'Impero viene trattata decentemente. Da leggere soprattutto per i primi quattro volumi mentre soprattutto il volume 5 è insufficiente perché un periodo importante viene liquidato in "poco" spazio e perché pieno di pregiudizi errati. Anche nel volume 5 comunque la prosa resta eccezionale (anche se talvolta il contenuto lascia a desiderare) e per fortuna in qualche punto loda almeno un pò qualche bizantino in mezzo a tante critiche (a volte ingiuste). Voto 5/5.
Un'opera eccellente, la capacità espositiva di Gibbon è straordinaria e insuperata. Si potrebbe parlare di lui come dello Shakespeare della storiografia. Sebbene la sua metodologia risulti superata, non lo sono alcune conclusioni cui giunge, né lo è la completezza ed il dettaglio del suo lavoro, svolto peraltro alla maniera antica nell'otium di una tranquilla solitudine. Un classico che non può mancare nella libreria dell'appassionato come dello studioso, anche se colui che non condivide talune scelte ed espressioni gibboniane.
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