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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2022
Straordinario reperto di una sotterranea frequentazione del genere diaristico, il testo inedito della Morante che qui si pubblica ne costituisce l’espressione più ampia e significativa.Nel ristretto spazio di tempo (dal 19 gennaio al 30 luglio 1938) in cui viene redatto, si registrano gli alti e bassi della relazione tormentata e lacerante con Moravia, la cui discontinuità sembra trovare il suo placato compimento in un probabile preannuncio di ‘lieto fine’.Un diario del e dal profondo. Un libro di sogni, senza più distinzione tra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio.
scheda di Albano, C., L'Indice 1990, n. 1
In "Diario 1938" - dal 19 gennaio al 30 luglio - (titolo originale "Lettere ad Antonio") Elsa Morante affida una parola inedita, a una scrittura sospesa tra sonno e veglia, l'annotazione dei propri sogni, l'iconografia del rimosso, di una fantasmagoria interiore dove frammenti minimi della realtà riportano con intelligente causalità immagini profonde della memoria. La citazione del reale diviene così labile tessuto di un collage subliminale, di uno spazio ignoto nel quale si proiettano, giustapposte secondo una logica intuitiva, sequenze successive: sono visioni di cattedrali e teatrini vuoti, tratti e colori che definiscono volti noti, personaggi sconosciuti. Sulla scia di un rapporto tormentato ritorna la figura "cupa e chiusa in sé" di A. (Alberto Moravia) e con essa la pressante "domanda d'amore" dell'autrice, un bisogno istintivo dei sensi rivelato con consapevolezza pudica, l'esigenza di un riconoscimento alluso e interdetto dalla pagina stessa. Tra le tante presenze, però, emerge soprattutto quella della madre, connotata dal pallore del viso, da un'essenzialità corporea segnata dall'età, che ripropone all'interno di un universo femminile il desiderio d'affetto, la tensione verso un senso confortante di calore e vita, capace di tacitare la disarmante paura dell'abbandono, l'incubo della solitudine: maternità, quindi, come nostalgia, ma anche vagheggiamento di dolcezza e struggimento, di finale compiutezza. A tutto ciò fa riscontro un presagio di morte, l'inoltrarsi verso il confine estremo della conoscenza, dell'Altro assoluto "preparato con cura artistica", tanto che la nascita e la morte, l'universo letterario e l'arte quale evento creativo, tentativo di ricordo, opera a un tempo nostra e altrui, si fondono nello spazio onirico, trovando il proprio significante nella figura di Kafka, "quell'uomo grande e vestito che esce dalla culla per andare alla morte", che diviene ancora simbolo dell'attesa sottesa e continuamente riprodotta della realtà più segreta dell'io.
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