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Vincitore del Premio Strega del 1991, si tratta in realtà di una storia scritta negli anni Sessanta che racconta le speranze, le preoccupazioni e le ansie di Guido, il protagonista, e dei suoi coetanei. Avvenimenti quotidiani, discussioni politiche e storie d'amore, nel contesto della provincia italiana (in questo caso Urbino nei primi anni del dopoguerra) che guarda alla capitale con un atteggiamento misto di incertezza e di speranze, di dubbio e di utopia. Un libro che rivela la fatica di ricostruire e il disincanto di un periodo storico che fino ad allora era vissuto solo di grandi ideali. Non suscita particolare trasporto emotivo né si legge con molto entusiasmo.
Mi aspettavo molto da questo libro e sinceramente mi ha deluso. La scrittura non è sempre facile e alcuni periodi risultano, a mio modo, di difficile comprensione. Su quel particolare momento della storia d'Italia ho letto e sto leggendo Fenoglio e lo preferisco. Vabbè la presenza di Urbino ma ritengo lo scrittore abbia indugiato un po' troppo nella descrizione di essa. Mio padre ammirava Volponi come uno dei grandi scrittori italiani, proverò con un altro libro.
Che dire di questo capolavoro, che, noto con disappunto, non è più in commercio? Non è solo un libro, è un' educazione sentimentale........ Per me, indimenticabile.
Recensioni
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recensione di Corti, M., L'Indice 1991, n. 4
Può capitare che uno scrittore tenga nel cassetto un romanzo inedito per una trentina d'anni e poi, per motivi pertinenti al suo cammino interiore e quindi non soggetti ad altrui decifrazione, decida di stamparlo. Dove le vie divergono, fra scrittore e scrittore, è nel rapporto che viene a crearsi fra l'antica opera c chi l'ha scritta: per esempio, dai manoscritti di Romano Bilenchi viene a galla tutto un travaglio di intervento, che può rispettare la fabula del testo originario ma dare insieme origine a una nuova stesura stilistica o addirittura a una nuova redazione. Paolo Volponi non ha preso questa via. In una premessa alla stampa di "La strada per Roma" egli ci informa non solo che questo romanzo è il suo primo, progettato anteriormente al "Memoriale" e steso intorno all'autunno del 1961, ma che l'autore non ha "cambiato niente del testo originale" salvo qualche ripulitura. Ne deduciamo che Volponi avrà, come tutti, le sue nevrosi, ma evidentemente non di tipo stilistico.
Il motivo della stampa odierna è ben esplicitato: consegnare alla memoria storica le speranze e le illusioni, certe deviazioni e passioni civili dei giovani alla nascita della Repubblica nei primi anni cinquanta, descritte in questo romanzo giovanile ma presto messe a tacere in un cassetto dallo scrittore per l'urgere di qualcosa di più drammatico, sfociato in "La macchina mondiale". Tali notizie d'autore sono in realtà più ricche e connotative di quello che sembrano a prima vista: da scrittore che per passione civile è profondamente e drasticamente impegnato nei riguardi del reale, egli si è sempre mosso all'interno di una sfida triangolare: la sua immaginazione di artista, il testo letterario, la realtà sociopolitica incombente. Al potere immaginativo si devono i personaggi visionari, nevrotici che divengono dentro il testo congegni deformanti nei riguardi della realtà direttamente attaccata e quindi una sfida (si pensi all'Anteo Crocioni della "Macchina mondiale"). Negli anni sessanta a Volponi "La strada per Roma", allora intitolato Repubb1ica borghese, parve non funzionare più come sfida e sollecitazione di fronte a una realtà che l'aveva ormai sorpassato. Ora, a distanza di tanti anni e dopo tanti crolli di fiducia, l'autore sente di nuovo possibile una funzione sociale di queste speranze antiche; daccapo la sfida triangolare funziona.
Dal nostro punto di vista di lettori il discorso è un po' diverso: affiorano anche altri valori per cui il libro si impone. Prima di tutto la sottile, originalissima forma di liricità che investe le cose di tutti i giorni: alle proprie origini cioè il narratore Volponi e il poeta vivono ancora in simbiosi, direi con grande vantaggio per la narrativa. A parte la splendida presenza di Urbino, il posto degli edifici immersi nella notte e nel vento al passeggiare intenso dei giovani che, irrequieti, sentono l'angustia della loro vita, c'è un suggestivo riflettersi degli stati d'animo del protagonista Guido dentro gli eventi della natura: "Si scaldavano davvero le cose intorno a lui; s'ammalava il tempo; si corrompeva il sole; le cose non avevano più profondità e si mettevano l'una vicino all'altra, senza proporzione, troppo grosse, come in un disegno infantile. E un gran colore giallo colava dappertutto, si spandeva, assorbiva ogni aria, chiudendo lo spazio e le strade". O al contrario ecco la luce del sole che cala dalle finestre, monta sulle ringhiere e cambia per gli uomini il senso delle cose. Ma l'incontro più efficace dello sguardo del poeta e del narratore si ha nei tanti minuscoli episodi che una volta letti non si dimenticano: per esempio, quello del cappotto del padre di Guido, che Ettore e Guido non sanno dove lasciare e in che positura perché un lattarolo, che viene dalle colline, capisca che è un dono per lui: su un muretto, su un albero, verso est, verso nord? C'è una grazia umoristica nel dialogo fra i due amici. O si ricordi la domanda prima del maestro Ettore agli scolari: "Che cosa pensate di Urbino? - Gli alunni non risposero e si misero a ridere". Quel silenzio e quel riso sono nel contesto abbastanza ineffabili.
Nel racconto della vita italiana di quegli anni, che precedono il miracolo economico, e della democrazia nascente vista dalla specola urbinate si individuano almeno due filoni: quello del romanzo di formazione, ma in un senso corale; come dire di un gruppo di giovani in pieno conflitto interiore, insoddisfatti dei modelli e codici sociali, desiderosi di crescere in un ideale non chiaro di libertà, fedeli e trasgressori insieme; in questo universo inquieto si inseriscono i primi amori, il fascino struggente del sesso. E così nasce il sogno ambiguo di Roma. Questa parte, in cui lo scrittore rideclina il linguaggio della giovinezza volto a disturbare le logiche dei vari poteri, è molto bella, anche per il suo versante utopico.
Meno riuscita e persino un po' ovvia mi sembra invece quella sezione del libro in cui prendono quota, con vago sapore neorealistico, i problemi diretti del lavoro, dell'emigrazione, la lettera del compagno più povero Alberto dalla miniera belga, i dialoghi intessuti di frasi dialettali marchigiane. Ci sarà sfida etico-politica, ma il lettore ha in qualche attimo il senso del 'déjà vu'. Insomma, in questo romanzo si sente davvero che lo scrittore si star formando e, quindi non è sempre abbastanza selettivo nei riguardi del proprio materiale; ma il colpo d'ala dello spettacolo dello scrittore vero, quello sì, c'è quasi sempre. Si leggano le deliziose pagine sul laboratorio dell'artigiano Scul e il suo cavallo mummia o sul bordello di via degli Avignonesi, chiamato ancora casino, dove si reca Guido, e in genere sulla solitudine del protagonista nelle piazze della capitale ("Chissà dove discuteranno di politica e dove troveranno moglie"). Vorrei chiudere sull'intricante idea del personaggio Barnaba che nel sud c'è sempre nei posti più impensati un cadavere. "Disse che la confusione del Sud è che la morte vi è vitale, gremita di famiglie carnivore che vi vivono dentro, come in una carogna: che al margine stanno molti bei fiori e per fortuna un mare limpido, lingua di morte che riesce a salare". Poi al sud ci sono le grandi lezioni di morte, a Pompei, a Ercolano, dove la trasparente polvere dei secoli si deposita su tutto.
Qui Volponi ha dato pagine di grande felicità visionaria e persino profetica, insidiate non dalla sfida al presente sociopolitico, ma da quella di un irresistibile senso demonico, che in qualche modo inerisce a tutti i destini umani. Volponi ha dedicato la sua ricca produzione alla prima sfida, ma qualcosa in lui artista ha sempre inclinato alla seconda. Si legga l'episodio della morte del padre di Guido, dove il potere demonico dell'ignoto si mescola alla congrega di mostri dell'inconscio. Come tutti i grandi episodi di un'opera di narrativa. questo si regge su una sottile ambiguità, è uno specchio dove ogni lettore può scorgere qualche tratto di sé. Siamo di fronte a un libro vivo, molto valido, che ci parla oltre i confini del tempo.
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