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Descrizione


Un poema medioevale irlandese, per la prima volta tradotto in una lingua moderna. Un "divertimento" irridente e sfrenato, che sembra anticipare il riso beffardo e i giochi linguistici di Rabelais. Opera di un anonimo irlandese dell'VIII secolo, di evidente formazione ecclesiastica, il poemetto risale a un'epoca di declino del monachesimo irlandese, e a un primo approccio può sembrare un bell'esempio di letteratura satirico-goliardica.
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Dettagli

1997
1 gennaio 1997
144 p.
9788806131241

Voce della critica


scheda di Meliga, W., L'Indice 1997, n.10

Dalle brume celtiche non arrivano con questa Visione storie di fate e creature fantastiche - "must" celto-bretone di provata fortuna nella letteratura e nell'immaginario occidentali - ma una sugosa satira sui costumi monastici e insieme una fantasia di Cuccagna piena di cose da mangiare. Scritto all'inizio del XII secolo, probabilmente da un chierico colto e poeticamente dotato come il protagonista, il testo fonda la propria riuscita sull'antica e ricca tradizione culturale del monachesimo irlandese. Come si sa, l'Irlanda fu una delle "periferie dell'impero" dove la letteratura classica trovò rifugio nei secoli cruciali tra la fine del mondo antico e l'inizio del medioevo. Accanto alla cultura che proveniva da Roma, nell'isola permanevano però anche miti e credenze di origine autoctona: dalla loro compenetrazione nasce il genere della "visione" (e anche del "viaggio", come il celebre "Viaggio di san Brandano"), dove il protagonista è ancora un monaco o un chierico, come il nostro Mac Conglinne. Soltanto che qui, piuttosto che la mistica sete di conoscenza, è la satira ad animare il racconto, proprio contro la decadenza di quell'antica civiltà monastica originaria (con altre tracce parodiche nei confronti dell'epica e della letteratura sapienziale tradizionali). Che la satira si realizzi attraverso il motivo del cibo - vero oggetto della visione ed elemento dominante di uomini e vicende, metafora dell'abbondanza e strumento di salvezza per il protagonista e per tutta l'Irlanda - rientra poi nella tecnica tipicamente medievale del rovesciamento carnevalesco e della celebrazione degli aspetti più bassi dell'esistenza.


scheda di Meliga, W., L'Indice 1997, n.10

Dalle brume celtiche non arrivano con questa Visione storie di fate e creature fantastiche - "must" celto-bretone di provata fortuna nella letteratura e nell'immaginario occidentali - ma una sugosa satira sui costumi monastici e insieme una fantasia di Cuccagna piena di cose da mangiare. Scritto all'inizio del XII secolo, probabilmente da un chierico colto e poeticamente dotato come il protagonista, il testo fonda la propria riuscita sull'antica e ricca tradizione culturale del monachesimo irlandese. Come si sa, l'Irlanda fu una delle "periferie dell'impero" dove la letteratura classica trovò rifugio nei secoli cruciali tra la fine del mondo antico e l'inizio del medioevo. Accanto alla cultura che proveniva da Roma, nell'isola permanevano però anche miti e credenze di origine autoctona: dalla loro compenetrazione nasce il genere della "visione" (e anche del "viaggio", come il celebre "Viaggio di san Brandano"), dove il protagonista è ancora un monaco o un chierico, come il nostro Mac Conglinne. Soltanto che qui, piuttosto che la mistica sete di conoscenza, è la satira ad animare il racconto, proprio contro la decadenza di quell'antica civiltà monastica originaria (con altre tracce parodiche nei confronti dell'epica e della letteratura sapienziale tradizionali). Che la satira si realizzi attraverso il motivo del cibo - vero oggetto della visione ed elemento dominante di uomini e vicende, metafora dell'abbondanza e strumento di salvezza per il protagonista e per tutta l'Irlanda - rientra poi nella tecnica tipicamente medievale del rovesciamento carnevalesco e della celebrazione degli aspetti più bassi dell'esistenza.

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