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recensione di Bongiovanni, C., L'Indice 1997, n.10
Alla voce "palinsesto" un buon dizionario offre la seguente definizione: "Codice pergamenaceo in cui lo scritto originale è stato raschiato via per poter scrivere una seconda volta". Si tratta dunque di un termine che Genette - che è forse, con Roland Barthes, il critico francese più noto e tradotto in Italia - prende a prestito dalla filologia. Ma il significato che Genette attribuisce a questo termine non è quello letterale. Nel suo testo non si tratta né di raschiature né di pergamene. Ciò che lo interessa è piuttosto l'ultima parte della definizione, il "poter scrivere una seconda volta". La parodia, il "pastiche", la continuazione, ogni sorta di riscrittura, modificazione o ripresa di un testo originario, è questo che Genette intende per "letteratura di secondo grado". Ognuna di queste pratiche di scrittura viene analizzata singolarmente a partire dalle sue origini e seguita nel tempo attraverso un buon numero di esempi. Abbiamo così un'opera critica che non solo è importante per la pregnanza del discorso teorico sulle varie forme possibili di "ipertesto", ma che ci offre anche una ricchissima messe di analisi testuali delle opere più disparate, dai romanzi di Marivaux - incompiuti e quindi passibili di continuazione - al "Don Chisciotte" - "antiromanzo ipertestuale" rispetto alle gesta cavalleresche di Amadigi di Gaula - fino alla critica in azione dei celebri "pastiches" proustiani, cui Genette dedica alcuni paragrafi che, se pubblicati isolatamente, potrebbero formare un saggio illuminante e approfondito sullo stile dell'autore della "Recherche" in relazione ai suoi modelli, o antimodelli, letterari.
Chi si sia già avventurato nelle altre opere di Genette - di cui le più note sono le raccolte di saggi che compongono la trilogia "Figure" - sa che in lui la ferrea coerenza a un lessico di estrema precisione, e spesso coniato per l'occasione, non va a scapito della chiarezza e della leggibilità del testo. Ogni termine, infatti, viene spiegato e giustificato sulla base del contesto in cui trova applicazione. In una nota sui possibili significati da attribuire al termine ipotesto, Genette giustifica la sua preferenza per un gergo solo in apparenza più arduo del linguaggio comune: "È decisamente impossibile mettere ordine in campo terminologico. Alcuni concluderanno: 'non le resta che parlare come parlano tutti'. Cattivo consiglio: su quel versante la situazione è ancora peggiore perché l'uso corrente è lastricato di parole così familiari che spesso le si utilizza senza neppure chiedersi di che cosa si stia parlando. Il vantaggio del 'gergo' tecnico sta quanto meno nel fatto che gli utilizzatori sanno e indicano generalmente quale senso dare a ciascuno dei termini". Non si deve tuttavia credere che l'uso di un lessico tecnico impedisca all'autore di forgiare una scrittura godibile; Genette, districandosi tra le migliori definizioni da utilizzare per caratterizzare in modo più preciso la parodia, la censura, la traduzione o il riassunto, trova anche il modo per giocare lui stesso con le parole e con gli stili di cui tratta tanto dottamente.
Non rinuncia inoltre in più punti a dar prova di un ottimo senso dell'umorismo e di una capacità affabulatoria che si vedrebbe volentieri alle prese con un'opera narrativa, come quando ci confessa uno dei suoi sogni nel cassetto: "Sogno talvolta di dedicare un anno sabbatico alla stesura di un nuovo antiromanzo, che sarebbe un anti-Nouveau Roman: la storia di un individuo qualunque che, fortemente squilibrato dalla lettura di Robbe-Grillet, pretenderebbe di vivere secondo questo modello (ripetizioni, varianti, percorsi circolari, ecc.) in un mondo refrattario al suo delirio. Vivrebbe probabilmente delle avventure tanto divertenti quanto quelle del cavaliere immaginario alle prese con i mulini a vento della realtà - e altrettanto spiacevoli, perché se c'è qualcosa di più angosciante dell'esser chiusi in un labirinto, è forse il credersi dentro quando
se ne è fuori: si rischia in effetti, cercando l'uscita, di trovare l'entrata".
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