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Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni - Bruno Schulz - copertina
Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni - Bruno Schulz - copertina
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Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni
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Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni - Bruno Schulz - copertina
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Descrizione


Questa edizione de "Le botteghe color cannella" riunifica la figura del pittore e dello scrittore, proponendo i disegni originali che Schulz aveva realizzato per illustrare le sue narrazioni. Metamorfosi, travestimenti, viaggi nello spazio e nel tempo si accavallano con l'ausilio di un lingua poetica schioppettante di metafore. Con un saggio di Francesco Cataluccio.
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Dettagli

2001
11 settembre 2001
460 p., ill.
9788806146054

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Sebastiano
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Visionario ed onirico nella sua lontananza temporale. Metafisico nella magistrale interpretazione dei ricordi. L'infanzia colorata da miti perduti. Leggendo questo libro per un momento ho creduto che l'autore raccontasse di me, di tutti noi, di ognuno di noi. Immenso!!!

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luca bidoli
Recensioni: 5/5

Da leggere, assolutamente, da sognarci la sera: un libro con uno stile che è semplemente strepitoso, gioia pura della tua fantasia, che si arricchisce di immagini, di odori, di suoni, di figure così straordinariamente vere da apparire irreali. Una bellezza ed una forza stra-lunata che si evidenzia già dai titoli dei vari racconti: Sanatorio della clessidra, Le botteghe color cannella...Come fare, dopo, a risvegliarsi nella quotidianità? Meglio rileggerlo e spalancare ancora gli occhi. Collirio puro.

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Della Cioppa Marino
Recensioni: 5/5

Se amate i quadri di Chagall, con i violinisti sui tetti, persone che volano ed immagini metafisiche, non potete sottrarvi alla lettura di questi racconti, capolavori di uno scrittore ebreo morto in circostanze grottesche nella Polonia occupata dai nazisti. Nella sua vita pochissimi viaggi, poche amicizie e altrettante poche donne. Ed una (strana) famiglia sulle spalle, ma tutto ciò, tutta questa tristezza non traspare nella sua scrittura, nei suoi racconti, che anzi sono pieni di immagini fantastiche che nulla hanno a che vedere con tutto ciò che Schulz vedeva intorno a sè. Tra i migliori scrittori del novecento.Straconsigliato a tutti gli amanti della letteratura alta.

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Voce della critica

Dopo molti anni di attesa (la seconda e ultima ristampa era del 1991), i racconti dello scrittore polacco Bruno Schulz (1892-1942) vengono ripubblicati da Einaudi in un'ampia edizione che comprende anche un'antologia di scritti critici e il ciclo di incisioni Il libro idolatrico. Insieme alle due raccolte Le botteghe color cannella e Il sanatorio all'insegna della clessidra , rispettivamente del 1933 e del 1936, il volume ripropone anche i principali testi critici già editi da Feltrinelli nel 1980 (nell'ormai introvabile Lettere perdute e racconti ), accostandoli a una decina di recensioni apparse sulla stampa periodica polacca nella seconda metà degli anni trenta.

È senza dubbio un'iniziativa di grande rilievo, dato lo spessore di questo scrittore e artista sempre più universalmente considerato come uno dei grandi della letteratura del Novecento. Non si tratta di megalomania polacca: Schulz, acclamato da Calvino come "uno dei maestri della letteratura europea", ha affascinato i suoi contemporanei da Witold Gombrowicz a Stanis["l" con la barra a metà]aw I. Witkiewicz, da Joseph Roth (che nel 1939 cercò di farne tradurre l'opera in tedesco) a Isaac B. Singer, lasciando un segno tangibile anche nel "Teatro della Morte" del suo compatriota Tadeusz Kantor. Anche Philiph Roth, Daniel Grossman, Bohumil Hrabal, Danilo Kiš e Cynthia Ozick hanno variamente tratto ispirazione dalla sua vita o dai suoi racconti. In Italia è stato fin dal suo apparire un autore cult per una schiera di appassionati: basti pensare alle entusiastiche dichiarazioni di Giuliano Gramigna, Pietro Citati e Oreste Del Buono (che ha genialmente accostato l'ossessione metamorfica del padre Jakub a quella del bracchetto Snoopy). Più recentemente la sua vita tragica e tormentata ha ispirato due testi di Marco Ercolani e Ugo Riccarelli. Dopo un periodo di relativo disinteresse della critica e dopo che il centenario della nascita è passato sotto un quasi totale silenzio, due anni fa a Trieste si sono svolti un convegno, una mostra (replicata a Genova) e una rassegna di film ispirati alla sua figura (gli atti sono ancora alla ricerca di un editore, mentre è disponibile il pregevole catalogo Bruno Schulz, il profeta sommerso , a cura di Pietro Marchesani, Scheiwiller, 2000, con un'ampia antologia di saggi e scritti critici). I lettori invece non gli sono mai mancati: il successo che l'edizione Einaudi sta avendo (quattromila copie in un solo mese e mezzo) ne è un'evidente conferma.

La pubblicazione affida al lettore italiano tutta la produzione narrativa pubblicata in vita dallo scrittore ebreo polacco, barbaramente trucidato nel novembre 1942 da un funzionario della Gestapo durante un'azione di sterminio nel ghetto di Drohobycz (Drohobytsch): i testi successivi, quali il suo unico romanzo Il messia (di cui i racconti L'epoca geniale e Il Libro sono un'anticipazione) e il racconto in tedesco Die Heimkehr, andarono drammaticamente perduti nella bufera della guerra. L'antologia degli scritti critici comprende, tra gli altri, saggi fondamentali come La mitizzazione della realtà , la geniale interpretazione di Ferdydurke e l'intervista rilasciata a Witkiewicz nel 1935: la scelta delle recensioni, scritte per la prestigiosa rivista letteraria "Wiadomości literackie" (scelta, perché - nonostante ciò che promette il sottotitolo - Schulz ne scrisse anche altre), è interessante: tra i libri analizzati vi sono l' Opera da tre soldi e i racconti di Ivo Andrić. Questa proposta di una lettura parallela di testi letterari e critici è assai importante per uno scrittore in cui dichiarazioni teoriche e narrativa si compenetrano così intensamente (si pensi al significato delle enunciazioni di Jakub nel Trattato dei manichini ). Essa potrà contribuire a promuovere anche in Italia un dibattito sul suo pensiero, permettendo di liberarci da quei cliché che per tanto tempo ne hanno impastoiato la figura, trasformandola ora in un genio provinciale estraniato dalla cultura del proprio tempo, ora in un tragico clown dalla personalità patologica e sregolata.

Pur trascorrendo tutta la vita in un ambiente appena lambito dalle innovazioni della modernità (ma era la stessa sonnacchiosa Galizia ebraico-asburgica di cui erano originari Joseph Roth e la famiglia di Freud), Schulz è stato un pensatore curioso e onnivoro. Come ricorda giustamente Francesco Cataluccio nella sua bella postfazione, tra le sue letture si annoverano Hölderlin e Rilke, Nietsche e Max Scheler, Husserl e Bergson. Certo, per molti versi egli prendeva le mosse da temi diffusi nella poetica di ispirazione romantico-simbolista, in particolare di lingua tedesca, come il motivo del fanciullo divino che vede oltre i confini del mondo sensibile e che è per sua natura prossimo alle radici della poesia, o quello della donna demoniaca, di cui le sue ninfette olimpicamente sadiche erano indiscutibili discendenti (ma tuttavia ancora vicine alle ossessioni della nostra contemporaneità, come testimonia il catalogo della splendida mostra veneziana del suo quasi conterraneo Balthus, dove i suoi disegni sono citati e riprodotti). Al pari di Witkiewicz - con cui ebbe più di un punto di contatto - e di altri giovani esponenti dell'avanguardia attivi nei centri urbani della Polonia, Schulz attuava comunque una rivisitazione che si apriva al nuovo dei motivi modernisti, rivolgendo la sua attenzione alla psicoanalisi o alle teorie etnografiche e filosofiche del mito. Un'altra cifra costante e pienamente europea della sua opera è la visione grottesca e inquietante del rapporto tra l'uomo e il suo doppio-manichino (visione che tanto ha affascinato Angelo Maria Ripellino nella sua introduzione alle Botteghe color cannella del 1970 e che ha perfino lasciato un segno nel suo "capriccio" Manichinia ).

Come è noto, l'orizzonte narrativo dei racconti è rappresentato dalla città natale, dalla grande casa familiare e dal negozio di stoffe che il padre dello scrittore aveva gestito a Drohobycz fino ai primi anni dieci. La cittadina ebraico-polacca non richiama tuttavia le pittoresche scene della letteratura yiddish, dei quasi coetanei Scholem Asch e Isaac Singer: è piuttosto, come è stato notato, un mondo visto attraverso un caleidoscopio, in cui storie apparentemente banali (un agosto assolato in città, una gita in campagna, la visita consueta dei parenti, l'apertura serale del negozio, la passione ornitologica del padre) sterzano verso evoluzioni inaspettate. La percezione degli eventi e dello spazio narrativo è inoltre fortemente condizionata dalla sensibilità fantastica di Józef, proteiforme alter ego dell'autore, le cui avventure non coincidono tuttavia con una maturazione: in alcuni racconti lo intuiamo bambino, in altri pensionato tornato sui banchi di scuola, poi adolescente preda di fantasie avventurose e sensuali o giovane immerso in una dimensione onirica e surreale, in cui baluginano frammenti di realtà.

Lo scrittore ricorre spesso alla digressione, indugiando nelle descrizioni come in angoli oscuri di un labirinto che ci aiuta a esplorare, frenando volutamente lo svolgimento dinamico del tempo narrativo e avvicinando la scrittura all'arte figurativa. Conduce i lettori nelle secche del tempo, dove la diegesi non si sviluppa tanto su un susseguirsi di eventi, ma di una successione di immagini e associazioni visive. Qualcuno ha efficacemente scritto che nella sua opera "la metafora si traduce in metamorfosi" e diviene un'originalissima azione narrativa (fenomeno che Daniel Grossman ha definito una prosa "in cui tutto trabocca" e le cose non sono in grado "di contenere il proprio significato"). Si forma così una sorta di panopticum di elementi compositi, in cui uomini, cose, macchie di umidità del muro si fondono alla pari, creando richiami, risonanze "pittoriche" su cui si dipana la comunicazione narratore-lettore. Vale la pena di ricordare che il racconto citato, Gli uccelli , fu ispirato originariamente a Schulz da reminiscenze visive, come il "baluginare della tappezzeria che pulsava nel buio", mentre altri rocamboleschi episodi nacquero dalla contemplazione infantile di un album di francobolli con l'effigie di Francesco Giuseppe.

Altro elemento ricorrente della scrittura schulziana è l'ossessione metamorfica: lo spalancarsi dell'orizzonte quotidiano al favoloso e al magico: uno spolverino di piume si trasforma in uccelli esotici, un cannocchiale pieghevole in auto antiquata, il negozio di stoffe spalanca le sue pareti sul paesaggio biblico della terra di Canaan ( La notte della Grande Stagione) , le stradine della shtetl si dipanano in un inaspettato labirinto notturno, i mobili della stanza di un direttore scolastico invadono direttamente la piazza cittadina, si intravedono varchi inattesi là dove si ergevano invalicabili muri, gli oggetti si comportano come organismi pulsanti, il padre Jakub, tragicomico demiurgo, si trasforma in avvoltoio, in condor, addirittura in un gambero che verrà servito a tavola ai suoi congiunti. È naturale che fin dall'inizio sia stato fatto il nome di Franz Kafka, con cui lo scrittore ebreo polacco aveva in comune anche l'ambiente d'estrazione e un rapporto non tradizionale con le proprie radici (Schulz contribuì del resto alla diffusione delle sue opere, patrocinando una traduzione in polacco del Processo nel 1936): tuttavia - come ha evidenziato la critica e come ricorda Cataluccio - sarebbe fuorviante attenderci qui le cupe atmosfere dello scrittore praghese. Nelle Botteghe color cannella le trasformazioni sono dovute piuttosto a una generatio aequivoca della materia, che si presenta duttilmente in sempre nuove e reversibili fermentazioni. Questo gioco creativo e trasgressivo lo rende inconsapevolmente affine con l'inventiva di certa iconografia surrealista che pur gli era stata ignota quasi fino alla metà degli anni trenta.

Nella sua postfazione Cataluccio insiste giustamente sul fatto che i racconti sono una gioiosa occasione di ritorno all'infanzia, un'infanzia strettamente intrecciata con il mito e perciò ben diversa dal bamboleggiamento infantile, stritolato da forme e convenzioni, di Ferdydurke . Lo scrittore polacco, cui forse erano giunti echi della psicologia del profondo di Jung, e che comunque si era formato in un'area culturale che si interrogava sui rapporti tra cultura e mito (si pensi a Nietzsche, al biograficamente più vicino Rilke e al Mann di Giuseppe e i suoi fratelli e delle Storie di Giacobbe , da lui considerati un modello fondamentale), ha elaborato infatti una riflessione assai interessante e originale sul rapporto tra mito e letteratura, che emerge sia dall'aura dionisiaca di certi suoi passi narrativi, sia dagli scritti critici (la celebre Mitizzazione della realtà , cui oggi si aggiungono gli spunti delle tre recensioni di testi letterari ispirati al mito polacco del maresciallo Piłsudski). Il ritorno alla "patria oscura" e alle "sorgenti" del mito, indispensabile per la conoscenza del mondo e per la rielaborazione dei fantasmi dell'io, presuppone infatti un recupero della primigenia purezza percettiva tipica dell'infanzia e di un linguaggio autentico, caratteristici infatti del protagonista Józef. Questo aspetto su cui Cataluccio si sofferma ampiamente e che ricollega alla Scienza nuova di Vico, andrebbe forse ricondotto anche ad altri pensatori, appartenenti a un'area culturale più prossima a Schulz, come lo Schelling della alla Filosofia della mitologia e il Cassirer della Filosofia delle forme simboliche.

Due ultime brevi osservazioni. La prima: Schulz è un autore dalla lingua flamboyante, diabolicamente difficile da tradurre. Le traduzioni di Anna Vivanti Salmon e di Vera Verdiani sono quindi tanto più pregevoli: sarebbe invece valsa la pena di rivedere alcuni passi della citata edizione Feltrinelli del 1980. Mi riferisco soprattutto alle dichiarazioni programmatiche della Mitizzazione della realtà , in cui lo scrittore eleva a dignità poetica una terminologia specialistica (in questo caso elettrotecnica: Schulz era insegnante di applicazioni tecniche) che nella traduzione va perduta. Il lettore potrà del resto confrontarla con una diversa traduzione uscita sul catalogo Schulz, il profeta sommerso . Come seconda osservazione, accanto al minuzioso apparato di note sui vari scrittori recensiti, non avrebbe nuociuto anche qualche ulteriore informazione sugli autori polacchi citati (il gesuita Piotr Skarga e il drammaturgo e pittore Stanisław Wyspiański) e sull'importante raccolta poetica di Kazimierz Wierzyński, Primavera e vino (1919), anch'essa imbevuta di atmosfere dionisiache.

L'edizione è comunque bella e interessante. A quando una pubblicazione dell'importante e poetica corrispondenza di Schulz, di cui esistono in polacco vari volumi, in gran parte inediti in Italia?

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Bruno Schulz

1892, Drohobycz (Galizia)

Nato da una famiglia di commercianti ebrei a Drohobycz il 12 luglio 1892, allora cittadina della Galizia asburgica, poi città polacca e ora ucraina, Schulz visse come insegnante di disegno - dopo aver fatto studi di architettura a Lwów e di arte a Vienna -, mantenendo rapporti con le avanguardie polacche ed esponendo i propri disegni, sintesi di un mondo nel quale il sogno si mescola con la realtà e dominati da una sensualità particolare. Tra il 1920 e il 1922 realizza una cartella di incisioni che intitola Il libro idolatrico. Nel corso degli anni Trenta, Schulz comincia a raccontare questo mondo fantastico anche attraverso la scrittura, facendosi subito notare negli ambienti letterari. Nel 1933 (ma con la data del 1934) pubblica la prima raccolta di racconti:...

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