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Il primo giorno
Uno.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Io l'ho trovato bellissimo, l'ho letto due volte e la seconda volta l'ho apprezzato ancor più della prima. Molto diverso dagli altri libri di Lucarelli.
Io penso che "l'isola dell'angelo caduto" sia il migliore tra quanto ho letto di Lucarelli. L'autore ci offre un romanzo che è, in parte storico ed in parte "noir"...forse l'unico realmente noir scritto dall'autore e, comunque, il più originale.
Il miglior libro di Lucarelli.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Chi ha apprezzato la serie storica dei polizieschi di Lucarelli e la figura ambigua del commissario De Luca, poliziotto in crisi alla fine del fascismo, sarà subito attratto da un nuovo caso di "indagine non autorizzata" (vecchio titolo dello stesso Lucarelli) e da una nuova figura di poliziotto tormentato dallo zelo; un commissario triste e senza nome, che fa il suo mestiere in un'isola, immaginaria e senza nome, nel gennaio 1925, proprio mentre Mussolini a Roma perfeziona la presa del potere. Ma, se quel che cerca sono le colpe della politica, avrà una delusione. Lucarelli infatti ha spostato via via il suo interesse dal giallo verso il nero, dal corso ingegnoso dell'indagine alla scena fissa dell'orrore, dal delitto come compendio e metafora storico-sociale alla morte come irrimediabile evento osceno. Qui, nell'
recensioni di De Federicis, L. L'Indice del 1999, n. 07
Quel che trova il lettore, qui non è la ragion di Stato del delitto Matteotti, ma sette delitti sragionati che con straordinarie modalità in breve tempo, cinque giorni soltanto, imprimono sull'isola il sigillo di cupo emblema dell'umana e malata natura. Inoltre può apprezzare, se ne ha il gusto, una riconoscibile intertestualità, una costellazione di stereotipi a cui Lucarelli attinge variandone gli incroci. E incominciando dalla situazione fondamentale, l'isola, luogo canonico di memorabili esperimenti e spaventi, luogo comune del romanzo d'avventura, anche visionaria e mentale.
A tale copiosa tradizione, suggerita dal titolo, Lucarelli associa però la diversa e più familiare tradizione memorialistica dei veri confinati politici, facendoci venire in mente ora Dante e Umberto Eco, ora Amendola e Spinelli. Dagli attriti ricava effetti speciali e con cresciute ambizioni letterarie. Sono evidenti, queste, soprattutto nelle tecniche di scrittura. Quando si tratta di cielo mare vento, la scrittura è dilatata e rallentata e, a forza di aggettivi e paragoni, crea un'innaturale e irrealistica (diabolica? o, peggio, poetica?) animazione della natura. Ma quando il vento, che nella colonia penale dappertutto soffia e fischia, cessa almeno sulla pagina e cede spazio alla rappresentazione dei corpi, allora anche la scrittura cambia e appare mirata a gesti e posture (e peli, umori), a una fisicità esatta e greve che esclude il lirismo. La scrittura di Lucarelli è violenta sui corpi, perché il suo tema è l'uso violento dei corpi. Ecco il fondo del libro. Dentro il citazionismo e dentro gli schemi convenzionali del genere (delitti a catena in una specie di "camera chiusa") Lucarelli lascia scorrere il nastro della paura, traendolo direttamente da uno strato dell'immaginario attuale, là dove stanno sgozzamenti e mutilazioni, trapianti ed espianti.
Qui, nell'isola immaginaria e primigenia, in un paese rupestre di pastori e pescatori, l'apertura dei corpi avviene con la terribile spinta del coltello o a mani nude. La più raccapricciante è nell'autopsia di un assassinato (e il commissario infatti vomita); la più esposta è nell'agonia di un mulo squarciato dalle zanne del cinghiale: ne vediamo le budella che tremano e, chinandoci bene (così fa Mazzarino), il cuore che pulsa affannato finché si ferma. Nel far provare al lettore il dispiacere d'essere un corpo, Lucarelli è bravo e temibile.
Lidia De Federicis
"... attraversò il giardino e poi giù lungo la strada che portava al paese, dove non c'era vento e quella canzone, saltellante, assurda e isterica, non si poteva sentire più."
Gennaio 1925: muore un miliziano fascista, una camicia nera. Apparentemente si tratta di un incidente: l'uomo è scivolato su una roccia ed è precipitato, morendo sul colpo per la caduta. Ma le cose non sono così semplici come potrebbero apparire: innanzitutto proprio perché si tratta di un fascista, poi perché il fatto è accaduto su un'isola, non ultimo, infine, per la professione svolta dall'uomo, il camerata Miranda, in forza alla Colonia penale che ha sede sull'isola. Non può essere morto di notte, perché l'alta marea l'avrebbe portato con sé, e come può essere scivolato di giorno, quando il precipizio è ben visibile e quindi facilmente evitabile?
La Colonia penale dell'isola ha un nome "poco adatto, Capo d'Angelo, uno scherzo di nome, perché era nata come carcere per i ribelli. In realtà, in origine il luogo si chiamava diversamente, Capo dell'Angelo caduto, per via di una leggenda che voleva che uno degli angeli ribelli fosse precipitato proprio lì, su quella parte di isola, cadendo dal cielo."
Tra confinati e miliziani, abitanti dell'isola e personaggi di passaggio, iniziano le indagini di un commissario intelligente e preparato che immediatamente capisce che l'incidente non è tale e che dietro questa morte apparentemente accidentale forse si nasconde un omicidio e chissà cos'altro. E quando si trova un altro morto, Zecchino, un informatore molto conosciuto...
Confino politico e valutazioni sul regime si confondono con la quotidianità, la difficoltà di superare i piccoli e grandi problemi del vivere, che per il commissario sono costituiti da una moglie esaurita e depressa, chiusa in se stessa, in volontario isolamento, e dalla possibilità e dal desiderio di un trasferimento visto come l'unica possibilità di salvezza. Ma gli eventi incalzano e la vita, in fondo, prosegue nella direzione di sempre.
Come suo solito, anche questa volta Lucarelli ha ricreato un ambiente anche attraverso una colonna sonora di riferimento, legata al tempo in cui si svolge la vicenda (anzi, come lui stesso scrive, leggermente successiva, 1931, ma non è importante...). È una canzoncina che diviene ossessionate per il protagonista, la celebre Ludovico (ricordate? Ludovico, sei dolce come un fico / più vero amico / di te non ho...), un motivetto che inevitabilmente cantiamo in sottofondo ogni volta che viene nominata (e avviene sovente) nelle pagine del romanzo. Ludovico è la traccia della storia, è il binario in cui si incanala, è la parte surreale della vicenda, ed è anche il finale.
Lucarelli è ormai un grande esperto nel narrare storie "gialle", misteri complicati. Ha "fatto scuola" con molti suoi lavori precedenti ed ora con la sua trasmissione televisiva, Blu notte, dedicata appunto a omicidi irrisolti, misteriosi, difficili da decifrare e ancor più nebulosi nel momento in cui si vuole dare un volto ai colpevoli. Avevamo già parlato di lui in occasione dell'uscita del suo precedente romanzo, Almost Blue. Era il 1997. Nel frattempo ha abbandonato quel tanto di "genere" che lo legava di più a quella corrente che superficialmente veniva definita di scrittori cannibali, ha deviato il suo percorso verso una narrativa più completa, più raffinata e ancor più interessante. Nel 1998 abbiamo ancora presentato due suoi lavori, Compagni di sangue (cronaca delle vicende del Mostro di Firenze, scritto a due mani con Michele Giuttari) e Autosole che si discostava molto dal precedete romanzo e poteva sembrare (e forse era) più un divertissement in forma di raccolta di racconti tra loro intrecciati. Ora Lucarelli torna all'antico amore del giallo, dell'indagine (svolta in modo impeccabile), della narrativa noir. Ma soprattutto con questo nuovo lavoro, troviamo un autore "maturo", consapevole del proprio talento e capace di offrircelo senza eccessi e senza mistificazioni.
A cura di Wuz.it
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