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Perché ci ammaliamo - Randolph M. Nesse,George C. Williams - copertina
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Perché ci ammaliamo
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Descrizione


Prima di prendere un farmaco è meglio pensarci due volte, e chiedersi se forse il nostro corpo non stia facendo esattamente quello che deve fare: seguendo il paradigma di Nesse e Williams, pionieri della nuova medicina darwiniana attenta più a capire le cause di una malattia che a debellarne i sintomi immediati, si scopre per esempio che i tumori non sono da considerare un'improvvisa follia del corpo ma il prezzo dell'evoluzione dei meccanismi che riparano le cellule. E se siamo così golosi è perché i nostri antenati avevano bisogno di immagazzinare più zuccheri per sopravvivere. Lo stesso vale per l'anemia mediterranea, un tempo utile per difendere il corpo dalla malaria, ora soltanto dannosa.
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Dettagli

1999
Tascabile
27 aprile 1999
302 p.
9788806150334

Voce della critica


recensioni di Bignami, G. L'Indice del 1999, n. 09

"Perché ci ammaliamo?" Questa è la prima di due domande contrapposte che da qualche tempo si vanno ponendo quei biologi e antropologi (parecchi) e quei medici (pochi) che si sono prefissi di rivedere in chiave evolutiva (darwiniana) i complessi problemi di salute e malattia. E ciò non solo a scopi conoscitivi, cioè per tentare di chiarire una moltitudine di fenomeni a prima vista incomprensibili, ma anche a scopi euristici, cioè per trovare indicazioni utili alla ottimizzazione della cura e soprattutto della prevenzione. Infatti una recensione dell'edizione originale di quest'opera, firmata dal noto antropologo Melvin Konner ("Nature", 22 giugno 1995, n. 375), si spingeva sino a dire che "se Paul Ehrlich, Robert Koch, Alexander Fleming e altri tra i primi esploratori nella giungla delle malattie infettive si fossero portati nel bagaglio una copia di Darwin, la loro lettura serale avrebbe potuto cambiare il corso della storia e prevenire molta sofferenza non necessaria".

La seconda domanda, che consente di comprendere meglio la prima, è "com'è che sopravviviamo, com'è che cresciamo e ci moltiplichiamo?". A Luigi XIV fanciullo, che lamentava la mancanza di vere amicizie, il cardinale Mazarino, in veste di pedagogo e di psicoterapeuta, rispondeva senza falsa pietà: "Sire, un vero re non può avere amici, ma solo cortigiani e nemici". E questa infatti è la condizione del re dell'universo, servito da un lato da un folto gruppo di cortigiani da lui sottomessi, assediato dall'altro da innumerevoli nemici. questi comprendono non solo il variegato esercito degli agenti infettivi, ma anche i meccanismi, interni, della macchina del corpo. Tali meccanismi impongono il pagamento di un prezzo non di rado elevato, soprattutto di fronte a condizioni ambientali e a stili di vita radicalmente mutati rispetto al periodo di "fissazione" delle caratteristiche umane (la lunga alba del Paleolitico), di fronte al fenomenale allungamento della vita ben oltre i limiti della riproduzione, che è quella che conta sotto il profilo della fitness biologica.

Gli autori - Nesse, medico-psichiatra; Williams, biologo-ecologo -, compiono uno sforzo a dir poco eroico per passare al filtro bioevolutivo praticamente tutte le aree della patologia: dalle interazioni patogeno-ospite nella folta giungla delle malattie trasmissibili alle malattie prodotte da specifici difetti genetici; dal prezzo di disfunzionalità e di dolore spesso pagato per la stazione eretta alle lesioni e intossicazioni e relativi meccanismi di difesa; dalle patologie alimentate dal "conflitto di interessi" tra la madre e il prodotto del concepimento alle malattie mentali che si presentano ora come ovvie "esagerazioni" di risposte chiaramente adattative (l'ansia patologica, le ossessioni, le fobie), ora invece come veri e propri terremoti più difficilmente spiegabili (gli stati psicotici più gravi). E come se ciò non bastasse, il discorso si estende a vari fenomeni che non costituiscono vere e proprie malattie (la menopausa, la senescenza) ma che pongono problemi non minori di interpretazione.

Il grado di comprensione dei vari fenomeni oggi raggiunto si distribuisce lungo un continuum
che va da pochi problemi quasi completamente risolti - come nel caso della falcemia e di altre anemie causate da geni mutati che conferiscono, allo stato eterozigote, una robusta protezione contro i parassiti della malattia - ai problemi più oscuri, come quello delle allergie e quello di almeno una parte dei disturbi psichici. Tra questi estremi il libro analizza innumerevoli ipotesi bioevolutive tra di loro in conflitto e che tuttavia si vanno gradualmente aprendo a verifiche ad hoc.

Primo. Gli autori mantengono un assiduo contatto con i processi bioevolutivi che poco o nulla hanno a che fare con la patologia, per mostrare la potenziale efficacia di un trasferimento di know-how da un'area all'altra. Per esempio, per spiegare la selezione cosiddetta normalizzante, ricordano il fatto che dopo le tempeste si trovano morti soprattutto gli uccelli con le ali più corte e con le ali più lunghe, mentre perlopiù scampano quelli con le ali di lunghezza intermedia. Analogamente, essi inquadrano bene nella cornice bioevolutiva le notevoli differenze tra meccanismi di difesa, fatti per funzionare ora come un "rivelatore di fumo" (cioè per scattare anche più spesso del necessario, onde evitare la mancata reazione a un pericolo reale) ora invece come "arresto di sicurezza multiplo" (cioè per evitare false partenze potenzialmente disastrose; si veda il capitolo sul cancro), con tutti gli immaginabili gradi intermedi.

Secondo. Gli autori continuamente richiamano con specifici esempi il fatto che i processi evolutivi non costituiscono pure e semplici ottimizzazioni delle soluzioni rispondenti a una pressione selettiva, ma da un lato sono spesso caratterizzati da difficili compromessi tra benefici e costi; dall'altro sono spesso condizionati dal bricolage (nel senso dato a questo termine da François Jacob) sulle soluzioni evolute in fasi precedenti nelle specie progenitrici più antiche.

Terzo. Gli autori illustrano ripetutamente i modi di interazione tra i meccanismi genetici foggiati dall'evoluzione e i fattori ambientali, sino ai casi-limite nei quali una stessa anomalia o patologia si può tranquillamente definire sia come interamente genetica, sia come interamente ambientale. La miopia, per esempio, che è chiaramente ereditaria, è comparsa e ha poi raggiunto frequenze elevate solo da quando l'uomo ha cominciato a fare lavori delicati - e poi a leggere - nei periodi più critici della crescita del bulbo oculare (e infatti in una tribù americana, gli Inuit, è comparsa quasi di botto con l'urbanizzazione). Ancora più vistoso è il caso dell'aumento recentissimo e vertiginoso delle varie allergie ereditarie, i cui geni sono rimasti silenti sino alle più recenti modificazioni dell'ambiente e degli stili di vita. Più in generale, i numerosi passaggi dedicati a patologie che verosimilmente hanno radici bioevolutive assai remote, ma che sono esplose solo in tempi recentissimi, forniscono una visione della medicina e dei suoi problemi assai diversa dai cliché prevalenti nei trattati e nelle opere di divulgazione, una visione assai più avvincente e potenzialmente assai più utile.

Quali avvertimenti si devono al potenziale lettore allettato da questo quadro positivo? Primo. La materia invecchia a velocità elettronica e tale invecchiamento è già visibile a cinque anni dall'edizione originale. Per esempio, le indagini genetico-molecolari hanno recentemente mostrato che in specie con legami monogamici di lunga durata, con apparente fedeltà totale (varie specie di uccelli) o un po' meno totale (la specie umana), è assai più elevata del previsto la frequenza di figli di padri altri (secondo alcuni questo spiegherebbe la lunga durata delle dinastie di faraoni in cui i matrimoni erano sempre tra fratello e sorella e che senza il contributo di estranei si sarebbero estinte rapidamente per i danni della omologazione genetica).

Secondo. La posizione degli autori è vicinissima a quella che afferma il primato assoluto, sotto il profilo selettivo-evolutivo, del "gene egoista" di Richard Dawkins, con qualche concessione alla selezione di parentela, praticamente nessuna concessione alla selezione di gruppo e accenni per lo più insufficienti al ruolo dei processi casuali, in particolare la deriva genetica nei periodi in cui gruppi umani poco numerosi hanno dovuto attraversare i cosiddetti "colli di bottiglia genetici". Non si dice, per esempio, che i discendenti delle popolazioni originarie (precolombiane) del vasto continente americano hanno un campionario relativamente ristretto dei geni delle popolazioni asiatiche discendenti dai loro predecessori rimasti a casa: infatti le migrazioni, i cui tempi e le cui modalità sono tuttora dibattutissimi, avvenivano per lo più a gruppi di minime dimensioni (sembra anche meno di dieci unità); e in tali situazioni è sostanzialmente il caso a decidere quali geni trovano posto nel limitato bagaglio e quali invece restano nelle stazioni di partenza. I riflessi sulla propensione maggiore o minore a sviluppare l'una o l'altra patologia sono ancora tutti da verificare. Tuttavia appare strano che si parli delle pressioni selettive che potrebbero aver determinato negli ebrei aschenaziti l'elevata frequenza del gene della malattia di Tay-Sachs, mentre si glissa sul problema del possibile ruolo dei processi casuali nel determinare differenze tra individui e popolazioni nei vari campi della patologia.

Terzo: gli autori abusano della tecnica (in sé e per sé legittima) del disclaimer, cioè dell'agganciare a una illustrazione seducente di ipotesi più o meno plausibili qualche specifica restrittiva: "non ci sono prove della loro validità ma noi sospettiamo che potrebbero rivelarsi corrette" (p. 242); "ci rendiamo conto che la nostra analisi è estremamente semplificata" (p. 264, laddove si parla delle malattie mentali, spesso andando pericolosamente vicino a quella concierge psychology, psicologia da portierato, con la quale un illustre professore inglese bollava le interpretazioni troppo semplicistiche dei vari disturbi psichici). Ora, in un testo scritto, a differenza di una discussione orale, l'alta frequenza di disclaimers danneggia l'autore, assumendo il colore e l'odore di una coda di paglia in via di combustione.

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La recensione di IBS

Perché esistono la tosse, il mal di stomaco o le allergie, perché ci piacciono i cibi che ci fanno male, perché invecchiamo, perché esiste il dolore e come si spiega l'attrazione sessuale? E ancora: perché l'infarto e perché le donne hanno la menopausa? Non tutto è spiegabile e giustificabile: quello che i due autori ci propongono in questo libro non sono istruzioni pronte all'uso, ma spunti e osservazioni, comunque alla portata di tutti, che consentono una conoscenza più completa del corpo umano e delle sue reazioni alle malattie.
I misteri della malattia, il perché delle funzioni di questo nostro corpo ben congegnato e nello stesso tempo goffo e difettoso, sono qui offerti a una nuova riflessione, utile non solo a far progredire la medicina ma anche a modificare una certa idea della condizione umana.

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