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Anno edizione: 2018
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Un bel fumetto di un maestro italiano...bella la storia,i disegni,i dialoghi e lo stile di raccontarlo come un romanzo illustrato. Lo consiglio.
Molto bello,commovente
Recensioni
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recensioni di Vinçon, P. L'Indice del 1999, n. 10
Nella serie "Stile Libero" dei "Tascabili Einaudi", fin dalle origini votata alla multimedialità, entrano finalmente anche i fumetti. Segno che l’ottava arte comincia, anche in Italia, a essere considerata sullo stesso piano delle altre forme espressive. Dopo gli inediti di Andrea Pazienza (Paz!; cfr. "L’Indice", 1998, n. 3) e la riedizione dello Sconosciuto di Roberto "Magnus" Raviola – maestro indiscusso, a partire dagli anni sessanta, del fumetto popolare e seriale – è ora la volta di Lorenzo Mattotti – nome classico, se ce n’è uno, del fumetto d’avanguardia degli ultimi due decenni (affiancato per l’occasione dal romanziere Claudio Piersanti). E questo a dimostrazione del fatto che la trasversalità di "Stile Libero" non è solo tra i media, ma anche tra ciò che (ormai con un certo imbarazzo) continuiamo a chiamare alto e basso.
Se è vero che ogni storia è la risposta a un’implicita domanda, quella da cui scaturisce la trama di Stigmate può essere riassunta così: che cosa succede se Dio, quello "dolce e terribile" che non si può nominare (e che infatti non viene nominato), anziché a un monaco o a un santo, decide di imprimere i segni delle ferite di Cristo crocifisso a un ubriacone (anonimo anche lui) dall’aspetto poco rassicurante?
Succede che i medici, in mancanza tanto di spiegazioni scientifiche quanto di spiegazioni religiose, lo trattano come un matto che si ferisce da solo; e che i clienti della birreria in cui lavora si schifano di essere serviti da un cameriere che perde sangue e magari è pure malato. Ma si dà anche il caso che i suoi vicini allestiscano altarini davanti alla sua porta e gli attribuiscano la miracolosa guarigione di un bambino muto, il che non può che scatenare la sua ribellione, perché non c’è cosa più difficile da accettare che quella di essere l’Unto del Signore (vedere, per credere, L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese).
Perso il lavoro, e persa la casa, per sfuggire alla strada non gli resta che il compromesso della vita nomade dei giostrai, presso i quali trova anche Lorena, l’unico amore della sua vita, che lo risana dalle sacre ferite. Ma il riaprirle con la lama di un coltello per continuare la lucrosa attività di santo da baraccone (appena prima che giunga la notizia di una nuova guarigione miracolosa) attira nuove e più grandi sventure, di cui – oltre agli uomini – si fa portatrice questa volta anche la natura, che sotto forma di burrasca lo priva nuovamente di tutto, anche di Lorena. Solo un lungo culto per i morti, allora, potrà riscattarlo alla vita, solo il sepolcro potrà restituirlo risorto.
Chi legasse il nome di Mattotti ai colorati pastelli a olio di Fuochi (1984), la più celebre delle sue opere, stenterebbe forse a riconoscere la sua mano nei nerissimi e irsuti scarabocchi di Stigmate. Ma dietro a entrambe le tecniche c’è la stessa – intensa – carica emotiva; e in queste tavole, in cui è impossibile vedere la cosa disegnata senza che tra essa e lo sguardo si interponga il disegno – con tutta la sua matericità e con l’impronta stessa del gesto che lo ha tracciato –, questa operazione antirealistica di "enunciazione enunciata" non è mai fine a se stessa, ma conserva dalla prima all’ultima vignetta il carattere inconfondibile dello stile, e non di rado assurge alla grazia.
Paolo Vinçon
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