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Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più... La discussione non decolla mai, e si arriva alla fine con un po' di amaro in bocca.
il libro non ha raggiunto lo scopo. Non vi è stato alcun dialogo effettivo fra Boncinelli e Galimberti. Ognuno ha mantenuto le proprie posizioni ed entrambi non si sono quasi mai curati di capire le radici dei loro dissensi. Il lettore non può che rimane con molti interrogativi
Recensioni
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recensioni di Jervis, G. L'Indice del 2000, n. 07
La tematica non potrebbe essere più impegnativa ma l'editore ha voluto mostrarsi coraggioso. Oltre a sottotitolare questo smilzo volumetto con una frase di apparenza massiccia e che si pone come un motto inciso nella storia dei secoli (La dimensione umana e le sfide della scienza) ha voluto corredarlo con una fascetta che aggiunge ulteriore carne di gravi argomenti offerti al fuoco del lettore: "La mente, l'anima, il corpo e le frontiere della scienza".
Può darsi che il lettore acquisti il libriccino con animo ingenuo: ma dal canto loro Boncinelli e Galimberti, che lo firmano, ingenui non sono. Fin dalle prime pagine mostrano di sapere benissimo che, collocati dal conduttore-intervistatore Giovanni Maria Pace davanti a un registratore per una chiacchierata, e con l'impegno evidente a non dire mai nulla che possa scoraggiare un lettore non particolarmente preparato a temi così seri, ciò che viene chiesto loro è di stare al gioco del dialogo di tipo giornalistico - e di un giornalismo incline alle larghe pennellate più che alle precisazioni.
I nostri due intellettuali risultano a loro agio, e sono vivaci e acuti. Galimberti intende volare alto, e preferisce le grandi sintesi (soprattutto ne predilige una, la sua, secondo la quale l'uomo è oggi asservito alla razionalità tecnica), mentre Boncinelli è più aderente a fatti documentabili - fra l'altro trovando l'occasione per polemizzare con buona pertinenza contro l'analfabetismo scientifico dominante in Italia. Boncinelli preferisce dunque le analisi alle sintesi, il che lo fa risultare più attendibile ma rende i suoi argomenti più dispersivi e meno accattivanti. Del resto la differenza era prevedibile: Galimberti è un filosofo-psicologo di tradizione metafisica che si pone esplicitamente nell'ombra di Heidegger, come si addice a un devoto allievo di Severino (quest'ultimo è da lui considerato pensatore "all'altezza di Hegel", p. 78); Boncinelli è invece un biologo, e più precisamente un ricercatore di genetica, anche se dimostra una vivace cultura filosofica e significativi interessi psicologici.
Il conduttore, Giovanni Maria Pace, non si trattiene dal porre loro domande che alcuni formulerebbero con mille cautele e un po' di pudore, e altri invece riterrebbero, a dirla in breve, semplicemente insensate. Per esempio: "Scopriremo da dove vengono le forme a priori care alla filosofia?" (p. 134); oppure: "Chi dobbiamo dunque ascoltare: la scienza, la psicologia, la chiesa?" (p. 154); o anche: "Einstein è rimesso periodicamente in discussione, l'età dell'universo viene allungata o accorciata, il darwinismo revocato in dubbio. A chi credere?" (p. 153). E naturalmente a quest'ultima domanda, che ricalca stereotipi relativistici, Boncinelli ha buon gioco nel rispondere che qui si spacciano per veri presupposti falsi, perché le scoperte di Einstein sono state confermate e mai smentite, la teoria di Darwin non è mai stata così robusta e vitale, e sull'età dell'universo non esiste alcuna particolare controversia.
Forse il conduttore credeva che bastasse evocare in tono dubbioso i massimi problemi, affinché un filosofo e un biologo ne cavassero subito, magari litigando fra loro, qualcosa di istruttivo. Ma è ovvio che non è così. Per ottenere risultati sensati da posizioni contrapposte occorrerebbe evitare le vaghezze e discutere su temi ben identificati: nulla a che fare con ciò che accade in queste pagine. Infatti il libretto diviene interessante solo quando i due autori scoprono un'area in cui hanno posizioni simili, e quindi mettono a fuoco un tema: ciò accade verso la fine, quando elaborano un intelligente discorso critico circa le posizioni della chiesa cattolica.
La loro conversazione verte spesso su argomenti di psicologia. Nulla di strano, a prima vista. Galimberti, pur essendo filosofo di formazione e mentalità, è infatti autore di un noto dizionario di psicologia, viene formalmente qualificato "psicologo" quando è intervistato al telegiornale Rai per spiegare un fatto di cronaca nera, e infine si pone più da psicologo che da filosofo ogni volta che, tutti i martedì, scrivendo sotto a una sua fotografia che opportunamente ne valorizza lo sguardo intenso, risponde alle lettrici in un noto rotocalco femminile. È però uno psicologo sui generis. Infatti egli non ama gli psicologi: e ritenendo - quando gli torna comodo - di non essere uno di loro, nei loro confronti ci va giù pesante. Così, per esempio, "la psiche è trattata dagli psicologi in modo patetico", "è meglio tenersi lontani da un sapere custodito da personaggi poveri culturalmente"; e addirittura "le loro competenze sono ridicole" (p. 72).
Qui si apprezza la situazione di grande vantaggio, per un intellettuale fiero delle sue idee, nel partecipare a una conversazione del genere: egli può dire tutto ciò che vuole perché nessuno gli chiederà mai di motivare né di precisare alcunché.
Dei due, Boncinelli è quello che meno si abbandona all'improvvisazione, e ciò va a suo merito: ma è anche il meno scusabile quando lo fa, considerando la sua formazione scientifica. Così, ci si chiede che bisogno abbia di sostenere che esiste una differenza non solo fra corpo e mente ma anche fra corpo, mente e psiche, secondo una tripartizione bislacca che ha qualche ascendenza aristotelica ma non ha alcun corso nel dibattito odierno (p. 98). (E l'anima allora? Già che ci siamo ci mettiamo anche quella e arriviamo alla quadripartizione della persona?) Oppure ci si chiede perché mai egli debba cedere a un vezzo inflazionato da intellettuali di minor statura, citando senza necessità i libri di Alice scritti da Lewis Carroll. Nulla di male, diamine, a citarli bene! ma il nostro poteva evitare di precisare (p. 132) che nel secondo Alice dialoga con la regina delle carte, quando invece tutta la storia è incentrata su una partita a scacchi.... O ancora, subito dopo Boncinelli avrebbe dovuto trattenersi dall'informarci che ha l'intenzione di scrivere un libro dal titolo Kant che ti passa: il lettore prega in cuor suo che si faccia venire in mente, per favore, un titolo diverso.
Nei confronti di Galimber-
ti sarebbe fin troppo facile essere assai più puntigliosi, se non altro perché egli ama procedere per generalizzazioni, moralismi e manifestazioni di rimpianto. Il suo sguardo è rivolto alla saggezza del passato, e un piccolo lapsus ne mostra in modo esemplare le nostalgie: a pagina 141, a proposito della fisica moderna, chiama la teoria atomica "teoria atomistica", usando un termine pertinente a Democrito ma certo non a Niels Bohr o Enrico Fermi. Così, il lettore frettoloso può anche prendere per buono un altro suo discorso, secondo cui si tratta di capire il nesso fra "due entità", che sarebbero la mente e il cervello (p. 41): ma Galimberti non può non sapere che il dibattito attuale riguarda precisamente il sospetto che la mente non sia affatto una "entità". È evidente, peraltro, che queste sottigliezze non lo interessano: i problemi, a suo parere, sono altri. Per lui, il Novecento è caratterizzato dal "desiderio di annichilimento" (p. 4), nel mondo in cui viviamo non ci sono ormai più, purtroppo, "un ordine etico, una politica che decide" (p. 26), oggi "la storia non è più fatta dall'uomo ma dalla razionalità tecnico-scientifica" (p. 71), "la democrazia è finita" (p. 120), e così via con grande velocità e altrettanto cipiglio.
Boncinelli e Galimberti sono persone colte e intelligentissime: e quindi dovrebbero sapere che i libri, anche piccoli, affinché abbiano un senso vanno pensati. C'è da chiedersi se il colloquio a cui si sono prestati abbia reso loro un buon servizio.
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