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I saggi qui raccolti, appartenenti agli ultimi anni della vita e dell'attività di Walter Benjamin, ci fanno conoscere un Benjamin piú legato all'attualità, alle prese con i problemi dell'arte di massa.
La Gioconda su un foulard o l’incisione di un concerto di Ravel diretto dall’autore stesso e ogni giorno riascoltabile sono due esemplificazioni di quel fenomeno che Benjamin definisce la «perdita dell’aura» nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, ossia la perdita del «qui e ora» magico e unico che si fonde con la creazione artistica e la contraddistingue. Nel chiuso di un’automobile, ad esempio, mediante un mangianastri si può ascoltare quel concerto di Ravel al di fuori della sua unicità spazio-temporale, oggettivandolo e spersonificandolo. Nondimeno, la perdita del carisma insito nell’opera d’arte, «unica» eppure riprodotta, non è deplorata da Benjamin con quell’atteggiamento aristocratico che contraddistingue alcuni esponenti della Scuola di Francoforte. Egli collega infatti la «perdita dell’aura» nella società contemporanea all’irruzione delle masse sulla scena e alla loro richiesta di beni culturali che è giocoforza diventino merce. La riproduzione dell’opera d’arte in «sede impropria» non ne comporta una perdita di qualità, ma piuttosto una desacralizzazione, il che favorisce un’esperienza laica della cultura e ne sostituisce il valore rituale con un valore espositivo antiestetizzante.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Arte e produzione possono stare insieme senza che quell'antico smalto, "quell'aura" che nei secoli ha impresso nell'opera la sua traccia, rimanga ancora viva, persistente? L'incontro fra il fruitore di un'opera e l'opera stessa è mutato nella civiltà di massa? Cosa genera la moltiplicazione del prodotto? Sono tre fra le domande centrali che agitano questo testo, impegnativo, profondo, pregno di rimandi e di incanti, di soluzioni aperte, ambigue, che Walter Benjamin sapeva maneggiare intuendone la forza e l'enigma, come sottolinea il curatore del libro nella postfazione: "Le opere di Benjamin sono in divenire. Nei suoi testi raramente le premesse vengono rispettate dalle conclusioni come dirette conseguenze logiche. Fra le prime e le seconde è intervenuta una scoperta del nuovo, una rivelazione dell'inedito, che produce un'imprevista curvatura del discorso. Raramente Benjamin rifiuta la scoperta intervenuta strada facendo". Aggiungendo poi che quest'aspetto è certo anche un riflesso del suo ebraismo, il perenne fuori luogo dell'identità, disancorato da un asse stabile, come la vita, come la scrittura. Meraviglioso! Dunque un passaggio di consegne fra il quadro e la fotografia, fra la fotografia e il cinema, dove cambiano del tutto le coordinate sensibili, le interazioni di studio, le indagini stesse, la promozione sociale, i contesti. Nuovi individui educati a queste novità. E' un torchio totalitario? Una realtà di maggior politica pressante dove le persone sono guidate con trame imposte? Più svilite del loro respiro autonomo? Se lo chiede l'autore, riflettendo poi anche sulla differenza (altro pilastro) fra teatro e cinema, esaltando Brecht e il "eroe bastonato" dai mali del capitalismo, e ancora esaminando le facce del materialismo storico, i suoi punti mancanti, le sue carenze, i suoi pregi. A tratti un bellissimo libro di poetica, per altri aspetti la confessione di un uomo smarrito, ma sempre acutissimo, vivace, attento.
Chi è interessato alla cultura artistica, all'estetica deve leggere questo libro. Le argomentazioni al suo interno sono a volte datate e certe ipotesi fanno perfino sorridere ma si tratta di un libro dell'inizio del secolo scorso! Ci sono però, intuizioni incredibili su sviluppi che oggi possiamo esaminare alla luce di quasi un secolo di nuove esperienze e acquisizioni. Queste intuizioni sono prodigiose se si considerano gli elementi che Benjamin aveva a sua disposizione.
La Gioconda su un foulard o l'incisione di un concerto di Ravel diretto dall'autore stesso e ogni giorno riascoltabile sono due esempi di quel fenomeno che Benjamin definisce "la perdita dell'aura" nell'epoca della riproducibilità tecnica dell'arte, ossia la perdita del "qui e ora" magico ed unico che si fonde con la creazione artistica e la contraddistingue. Nel chiuso di una automobile, ad esempio, mediante un mangianastri si può ascoltare quel concerto di Ravel al di fuori della sua unicità spazio-temporale, oggettivandolo e spersonificandolo. Nondimeno, la perdita del carisma insito nell'opera d'arte, "unica" eppure riprodotta, non è deplorata da Benjamin con quell'attegiamento aristocratico che contraddistingue alcuni esponenti della Scuola di Francoforte. Egli collega infatti la "perdita dell'aura" nella società contemporanea all'irruzione delle masse sulla scena e alla loro richiesta di cultura che è gioco forza diventi una merce. La riproduzione dell'opera d'arte in "sede impropria" non ne comporta una perdita di qualità, ma piuttosto una desacralizzazione, il che favorisce un'esperienza laica della cultura e ne sostituisce il valore rituale con un valore espositivo antiestetizzante.
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