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Anno edizione: 2000
Anno edizione: 2015
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recensioni di Cortellessa, A. L'Indice del 2000, n. 06
Quello di Tiziano Scarpa, il più brillante fra i narratori all'esordio negli anni novanta, è all'origine un formidabile talento mimetico. Il suo nuovo libro, caratterizzato da uno scoppiettio continuo di trovate, dissimula pure segmenti assai seri, che permettono di individuare quasi una poetica.Parlando dei monologhi di Thomas Bernhard, Scarpa sottolinea come essi non siano davvero in prima persona, bensì passino per la trascrizione di un narratore-portavoce, il quale non fa altro che "aprire le virgolette per far risuonare la voce dell'altro". Il talento dell'istrione (un libro di Bernhard si intitola L'imitatore di voci) si rivela così essere, anziché narcisistica egolatria, massima apertura a quella altrove definita la "parola radicalmente altrui della letteratura" - abdicazione di sé nei confronti dell'onda sonora e corporale dei rumori o voci altrui. Perché noi "siamo tessuti, impastati, fatti (drogati) di altri".
Nel saggetto sul Campiello goldoniano che intitola il libro (raccolta di scritti critici dal 1991 al 1999), lo scrittore si fa registratore umano del "verbodromo", "sociodromo", "somatodromo", insomma dell'arena popolare, ring tonante di strepiti e sussurri. Qui per Scarpa si inaugura "un rapporto fra artista e classi popolari" proseguito, nel Novecento italiano, dal solo Palazzeschi del Doge (un romanzo non a caso veneziano). Avrebbe potuto aggiungere il Gadda di Adalgisa e Pasticciaccio (quello che parla dell'"insinuazione del dialetto" come "forma di avvicinamento al pòppolo", alla sua "icastica di alto valore"); ma il punto non è certo nella precaria caratterizzazione sociale di questa istanza etno-linguistica (la quale infatti gli fa azzardare un termine screditato come "populismo"). A contare è invece la radicale dialogicità di questa poetica dell'incontro ("la letteratura è la scienza degli incontri"): l'Alatiel di Boccaccio o persino la Beatrice del sonetto Tanto gentile come figure di "incontro perfetto, conchiuso in se stesso, esaurito in una comparsata: ciao". È chiaro come la diversificata ebbrezza del numero degli "incontri" sia inversamente proporzionale alla loro profondità. Molteplicità, superficie: il pensiero non può che correre a Italo Calvino (sigla infatti la letteratura dell'incontro una specie di ricetta per Se una notte d'inverno un viaggiatore: "primi versi senza poema, incipit di romanzo incompiuto"). E infatti il primo, scoppiettante Scarpa - quello che nel 1996 trionfa nel romanzo-saggio Occhi sulla graticola (Einaudi; cfr. "L'Indice", 1996, n.4) ma anche quello, di due anni successivo, del bistrattato package di narrazioni brevi Amore® (Einaudi; cfr. "L'Indice", 1998, n.10) - è un prensile imitatore di voci, un acrobatico pasticheur in grado di fare con le parole (le "frasi-giocattolo", le chiama: alludendo agli speech acts di Austin, ai giochi linguistici di Wittgenstein e magari anche ai metafisici balocchi dell'amato Savinio) tutto ciò che vuole. La poetica dell'"apocrifo" fa anche qui le sue prove (per esempio nell'esilarante - e minacciosa - Fantacritica, che fa il verso a diciotto noti critici letterari, o nel - perfetto - tombeau per Giorgio Manganelli). Eppure qualcosa è cambiato in Scarpa: e infatti Cos'è questo fracasso non è una raccolta calviniana, una specie di nuova Collezione di sabbia.
Il suo baricentro è invece costituito dai pezzi facili usciti su "Alias", il supplemento del "manifesto", qui raccolti con il titolo 17 collaudi ( +1). Se il titolo rinvia alle prefazioni di Marinetti ai libri delle ultime leve futuriste, l'intento è quello di fuoriuscire fisicamente dallo studiolo del manierista, dalla Wunderkammer del collezionista malinconico ("l'utopia carceraria delle nostre biblioteche mentali"), per mettere in scena "un'esperienza suggerita da quelle pagine". Ed è significativo che tale anelito all'apertura coincida con l'incontro sulla via di Damasco con Il signore che apre: cioè con l'Antonio Moresco qui intervistato ("Anch'io, se avessi potuto leggere le tue cose quindici anni fa, non avrei perso tempo con questa ideologia terminale", così recita Scarpa il suo atto di contrizione). Il libro termina, conseguentemente, con l'abbandono del Novecento morente insieme alla nonna morta: "Di tutti e due - che pure ho amato tanto e che mi sono stati carissimi - delle loro tremende, tragiche carabattole, io non ne voglio più sapere".
Siamo insomma in piena transizione: tra il Signor Scarpa Uno, che conosciamo e amiamo, e un Signor Scarpa Due i cui lineamenti non riusciamo ancora a decifrare. Dovessi aggrapparmi a una sola delle travicelle qui galleggianti, nel "brusio mitologico" e nel "bagno d'immagini" che allaga questa fine di secolo, starei col brano più antico, l'inedita Teoria delle aureole, che illustra lo stilema col quale i fumetti rappresentano un oggetto scomparso (sottratto, volatilizzato, evaso): un prillare di raggi concentrici, "un'impercettibilità talmente flagrante, talmente clamorosa da manifestarsi con un visibilio". Questo libro viene da leggerlo, o guardarlo, come fosse una di quelle malinconiche aureole della perdita: in luogo di un Novecento estinto ma ben lungi dall'essere sostituito. O di una nonna che non c'è più.
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