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Notevole opera nel solco della più recente storiografia: l'utilizzo del sacramento della confessione allo scopo di modellare le coscienze costituisce per l'autore uno spunto di riflessione per definire, con l'aiuto di discipline sorelle come sociologia e antropologia, il microcosmo del Ducato di Milano tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo. Lo sguardo punta alla storia e alla sociologia della religione, alla teologia, alla politica e infine alla storia dei costumi e della mentalità, il tutto sorretto da una rigorosa base documentaria. Quasi 400 pagine capaci di ricreare un mondo affascinante.
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Einaudi pubblica ora, nell'accurata traduzione di Aldo Serafini, il saggio dell'olandese Wietse de Boer, già edito da Brill nel 2001 con il titolo The Conquest of the Soul. La conquista dell'anima è, secondo l'autore, la didascalia del programma che, nella Milano post-tridentina dal 1564 fino al 1631, impegnò le notevoli energie del vescovo controriformista per eccellenza, Carlo Borromeo, e dei suoi meno famosi ma non meno zelanti successori, il nobile milanese Gaspare Visconti e il cugino Federico Borromeo. Essa fu la via borromaica alla realizzazione di quella che san Carlo interpretò come la volontà dei padri conciliari e lo spirito dell'intero Concilio di Trento, alla cui conclusione, giovanissimo segretario pontificio, aveva assistito dalla Roma dello zio Pio IV.
Si trattava di penetrare nelle anime del gregge per correggerlo nella dottrina e indirizzarlo nei comportamenti verso un'auspicabile "santificazione della vita quotidiana", plasmata sui decreti tridentini, che potesse allontanare, alla bisogna, il giusto castigo di Dio (la peste); si trattava di drizzare, al contempo, le innumerevoli storture dei pastori, il clero secolare e quello regolare, che, tra dolo e ignoranza, avevano contribuito allo smarrimento dei fedeli, alle eresie, alla superstizione, alle bestemmie e alle pratiche magiche.
La parola chiave del libro è ancora il "disciplinamento": categoria di weberiana memoria, rispolverata da Gerhard Oestreich e sfruttata da più di un secolo di storiografia dell'età moderna - e non solo - per indicare la precisa volontà da parte delle istituzioni ecclesiastiche e laiche di controllare e guidare i comportamenti sociali, limitando e reprimendo ogni forma di dissenso. Secondo de Boer, strumento privilegiato del disciplinamento borromaico e, più in particolare, della sua marcia a tappe forzate verso la santificazione del popolo milanese, fu il sacramento della confessione, che aveva ricevuto nuova dignità dai provvedimenti del concilio contro l'attacco sferrato dalla Riforma e dai suoi teologi, ma che restava una pratica perlopiù estranea al popolo e dai confini giuridici incerti, zeppa di pericoli per il confidente e il confessore.
Contestando pacatamente l'analisi classica di John Bossy sulla progressiva intimizzazione delle pratiche religiose nella Controriforma, l'autore pone l'accento sul fatto che Carlo Borromeo - avvalendosi di una scrupolosa sinergia tra la precettistica, trascurata dalla storiografia, e una pratica di governo vescovile rigidamente verticistica, divenuta emblematica in breve tempo -- avesse costruito proprio sul carattere pubblico della confessione e della penitenza l'intero suo programma di disciplinamento sociale. Nel disegno del vescovo la conquista dell'anima doveva essere anzitutto un fenomeno di conversione del privato al pubblico: doveva partire dalle ineludibili disposizioni del vescovo e scendere la piramide gerarchica per un intrico di canali, regolati e burocratizzati dallo zelo di Borromeo, fino a raggiungere le più remote valli della diocesi, dove anche il più misero penitente sarebbe diventato agente di conformità e tassello di un mosaico complesso di obbedienza all'autorità ecclesiastica. Tale modello venne trasmesso a molte altre diocesi come uno dei prodotti migliori dell'intero edificio controriformistico: ma, avverte l'autore, "la crociata purista" nel milanese venne in buona parte disattesa per le reazioni del popolo, le resistenze delle autorità civili e dello stesso clero, in tutti quei numerosi casi in cui si rivelava troppo rigido e astratto o andava a ledere privilegi, giurisdizioni, antichi costumi e senso di appartenenza.
Il libro è diviso in due parti che rivelano una certa disomogeneità. La prima si propone di analizzare il programma di Carlo Borromeo attraverso la normativa, e soprattutto la precettistica sulla confessione (sintetizzata nel 1574 nelle Avvertenze a i Confessori): si presenta come un'esposizione di elementi già evidenziati in opere recenti e di teorie storiografiche desuete, che l'autore dichiara di non condividere del tutto, ma a cui, in effetti, si conforma in buona misura. La seconda parte, più originale, verifica attraverso fonti burocratiche - certificati di confessione, prediche, inchieste sinodali e inquisitoriali, visite pastorali, editti, annunci, carteggi tra clero minore e curia - la realizzazione pratica del modello borromaico e l'effettivo potere di disciplinamento sulla popolazione del milanese. Fu un relativo insuccesso, secondo l'autore, che negli anni di Carlo Borromeo venne in qualche modo mitigato dal suo carisma personale e dalle sue capacità organizzative, ma che nei vescovati successivi assunse in maniera sempre maggiore caratteri "di compromesso, di burocratizzazione e di trascuratezza" e si risolse in una lunga stagione di mediazioni continue e defatiganti fra chierici e laici, fra alto e basso clero, fra centro e periferia, nella cornice di un plumbeo tentativo di clericalizzazione del sacro e di capillare normatività dottrinale, liturgica e morale.
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