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Bel libro, scritto tra l'altro in maniera accattivante, anche se il finale è troppo affrettato. Ma la cosa che mi ha fatto imbestialire di più sono gli innumerevoli errori di battitura che il romanzo offre: non era meglio farlo rileggere?
Trovo che il libro non sia mal scritto ma l'intreccio in sè é piuttosto fragile. Il finale ti dà l'impressione che l'autrice, non sapendo bene come trarsi d'impaccio, abbia affrettato le cose senza peraltro creare il minimo pathos. Lo definirei un romanzo privo di smalto.
I minorenni vendono. Epperò Golding si rivolta nella tomba. Un romanzo inutile, e nemmeno ben scritto.
Recensioni
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Inizia con una sorta di incubo, sospeso tra il reale e l'immaginato, la vicenda di questo gruppo di ragazze adolescenti. Mentre sono in viaggio per raggiungere la località dove trascorreranno alcuni giorni di vacanza con le loro insegnanti, assistono a un incidente stradale. Una di loro, Hen, vede una donna ferita sotto choc che si muove "senza nessun senso o ragione", finché viene soccorsa da un agente. Hen è l'unica a vederla - le altre si sono concentrate sul "poliziotto figo" - e ne è sconvolta, le appare ripugnante, il sangue che cola sul volto e sulle gambe della donna si trasforma in una visione orrorifica, le provoca il tremito e il vomito, ma le fa anche dubitare di averla vista davvero, che non fosse invece "solo un parto malato della sua immaginazione". Un incubo che pare premonitore della tragedia finale, quando Jules, compagna di Hen, muore a seguito di una caduta dal tetto, in cui è stata la stessa Hen a spingerla involontariamente per evitare di scivolare a sua volta, un incidente che lascia strascichi di ambiguità: era forse evitabile se altre compagne, anche la stessa Hen, l'avessero sorretta. In una confusa e dolorosa incoscienza, di fronte alla madre che tenta goffamente di consolarla, per Hen la donna dell'incidente e Jules divengono "la stessa persona", mentre lei "non provò assolutamente niente".
È proprio l'acutezza lancinante di questo niente, l'inesorabilità del vuoto vissuto da queste tredicenni, il tasto su cui batte Bella Bathurst, trentacinquenne londinese, in questo suo romanzo d'esordio: l'insensatezza delle cose per come appaiono loro, la fatica di attraversare quell'età di mezzo in cui nulla del mondo che sta intorno appare comprensibile, meno che mai la sofferenza. Anche se ancora non delineate, ammantate di ingenuità, le aspettative di queste ragazze - che come tutte le loro coetanee si sentono "speciali" - sono tante e ispirano a tratti tenerezza, ma tutto pare risolversi in tradimenti, in crudeltà gratuita, in spietatezza. Gli adulti, genitori o insegnanti che siano, sono percepiti come assenti o come figure persecutorie, l'altro sesso è un universo agognato ma spesso deludente, espressione di una violenza diversa dalla propria e perciò inintelligibile, il gruppo in sé non genera solidarietà: anche le femmine fanno branco, con regole e codici di comportamento non meno rigidi e vincolanti di quelli dei maschi.
Il quadro in cui si svolge l'intera azione è il "Castello", un cupo edificio vittoriano, a suo tempo costruito come manicomio, poi trasformato in residenza multiuso. Le ragazzine frequentano un college, e le insegnanti le portano in quel luogo, simbolicamente e nei fatti molto esplicito, a trascorrere un ritiro estivo, all'insegna di un'esasperante attività sportiva: ci sono tutti gli ingredienti della scuola come istituzione totale. Le protagoniste non sono di estrazione proletaria, tutt'altro, provengono da famiglie della middle class, mediamente disastrate. Oltre a Hen, il personaggio più travagliato, anoressica e autolesionista, dal gruppo si stagliano alcuni altri caratteri: Caz, la più bella e invidiata, il personaggio più indecifrabile nel suo sadismo, Jules, disposta a tutto pur di farsi benvolere dalla capobranco Caz, Izzy, grassa e fragile di salute, oggetto di derisione e scherzi atroci, Ali, la più distaccata, che riesce nel finale in un'improbabile fuga, e altre figure di contorno. Il linguaggio di Bathurst entra nei personaggi senza manierismi mimetici né facili slang generazionali, restituisce i vissuti con un notevole equilibrio di asciuttezza e profondità.
Una storia durissima, non per la sua eccezionalità, ma per la sua universalità. Parafrasando il titolo di un romanzo di Simona Vinci, qui eccellente traduttrice, un'idea si coagula a lettura terminata: "delle adolescenti non si sa niente".
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