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Lezione uno
Il realismo
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se ha vinto il nobel un motivo ci sarà...
non ai livelli di "vergogna" ma pur sempre un riconoscibilissimo, e va da sé godibilissimo, Coetzee. non m'importa di che cosa scrive, sia il vietnam, siano gli animali, siano l'africa o l'università o la letteratura, quel che importa è la sua lingua. la migliore lingua scritta del pianeta. c'è la giusta dose di tutto: incisività e lirismo. duole doversi inchinare agli accademici svedesi, ma stavolta c'hanno proprio azzeccato.
C. MILLET, "La vita sessuale di Catherine M" (*), P. ROTH, "L'animale morente" (***), J.M.COETZEE, "Elizabeth Costello" (*****). --- Catherine Millet è diversa dalla Turandot che cantava: "sono fiera di rimanere intatta". Ella ha conosciuto orge, sesso indiscriminato di gruppo, ecc. Ma le memorie erotiche della Millet (una borghese-anti-borghese, si sarebbe detto negli anni sessanta) sono cose sue, non sono didattiche, sono monotone. D'altra parte ho trovato un notevole parallelismo tra Philip Roth e John M. Coetzee, sempre sul tema del sesso. In "L'animale morente" di Roth c'è quel personaggio, George, semi-paralizzato, moribondo, che attira la moglie e la bacia avidamente con la metà della bocca non paralizzata e cerca di spogliarla con la mano ancora sana. In "Elizabeth Costello" (5, IX) di Coetzee c'è qualcosa del genere: un vecchio, operato di cancro e moribondo, che, non potendo parlare (rantola attraverso un foro alla gola), comunica con la sua assistente scrivendo: "Mi piacerebbe vederti nuda..." e lei si denuda e lo compiace. In questo stesso romanzo (lezioni o saggi romanzati, dove protagonista è una scrittrice che fa delle conferenze su vari soggetti) c'è anche un capitolo intitolato "Eros", dove spregiudicatamente si mette la Madonna e lo Spirito Santo insieme ai miti greci dell'amore tra umani e dei, Psyche, Anchise, Afrodite, ecc. In questi tre scrittori vedo il tema dell'eros in relazione all'ethos nell'arte. Roth separa l'eros dall'ethos (basta con il sentimentalismo delle donne mamme...) e risulta impoverito, arido e monotono quasi quanto la Millet tutto-solo-fisico. Entrambi sono addirittura "convenzionali", ora che il sesso ci viene bombardato in ogni media. In Coetzee, invece, ci sono molte dimensioni di ordine intellettuale. Il suo episodio del moribondo erotico si inserisce nel contesto di una discussione tra un cristianesimo intransigente trascendente e la cultura ellenica di armonia e bellezza umanista. Riguardo al tema dell'eros in sé, conosciamo le scoperte rivoluzionarie che risalgono a
Recensioni
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Messa a confronto con la clamorosa, inarrestabile perdita di significato e di prestigio di cui è costretta a fare esperienza nella società contemporanea, la letteratura sembra volersi avvicinare di nuovo a una dimensione originaria da collocare sotto il segno dell'etica. Già varie volte, nel corso del Novecento, essa si era accostata alla filosofia: in particolare però aveva stabilito rapporti di solidarietà con la logica, la gnoseologia o la metafisica, cercando di definire quanto i limiti della razionalità umana lasciassero spazio a un modo di conoscere alternativo, che poteva prendere la forma dell'intuizione poetica nella prima metà del secolo (da Croce a Heidegger a Gadamer), oppure, nella seconda, della riformulabilità in termini di racconto o di narrazione di quanto la teoria della conoscenza non era in grado di definire con i suoi strumenti ipoteticamente più rigorosi; questo negli anni d'oro della ricerca strutturalista e poi narratologica, oltrepassando pure i limiti scientisti (o presunti tali) di queste ultime.
Oggi, all'inizio di un millennio nel quale la letteratura così come l'abbiamo conosciuta nel passato sembra dovere faticare molto più di prima per ritagliarsi un minimo di spazio e di senso all'interno di un sapere che tende a escluderla come qualcosa di anacronistico, cadute le sue speranze di proporsi come modalità di conoscenza diversa e in qualche misura più profonda della realtà, essa torna a rivendicare la propria decisiva competenza nella comprensione di quanto possiamo chiamare genericamente l'umano: quel nucleo costitutivo del discorso sull'essere, cioè, nel quale si trovano congiunti il tema dell'identità antropologica e culturale della specie, il rapporto con l'altro e il diverso, la riflessione sulla legge che ne fissa i diritti e i doveri reciproci in termini di giustizia e ingiustizia, di bene e di male, la dialettica fra dominio e solidarietà, tra sopraffazione e accoglienza.
Un nucleo di problemi che fonda allo stesso tempo il territorio dell'etica e quello, sembra oggi tornare a dire Coetzee insieme a molti altri scrittori di primo piano (ad esempio Yehoshua in Il potere terribile di una piccola colpa, Einaudi, 2000), della letteratura come centro degli studia humanitatis; per continuare a sopravvivere in una società che sempre più dimostra di volerle negare ogni diritto, essa dovrà tornare a interrogarsi, secondo le modalità che le sono proprie, su quanto ha rappresentato da sempre l'oggetto più autentico delle sue riflessioni: il fondamento morale dell'essere umano, cosa vogliano dire per lui parole come verità, giustizia o significato, in che rapporto si trovino il verbo, più laicamente la lingua, con le sue possibilità di salvezza e di redenzione.
Sono questi gli interrogativi che vengono posti nel corso delle indagini della anziana, celebre scrittrice di romanzi protagonista del più recente volume del premio Nobel J. M. Coetzee, Elizabeth Costello: una sorta di doppio femminile dell'autore che, comparso una prima volta nell'opera La vita degli animali (1999; Adelphi, 2000, cfr. "L'Indice", 2000, n. 11) per farsi carico di un'interrogazione anch'essa di natura etica sul rapporto di dominio che ha sempre legato, nel corso della storia, l'uomo alle altre specie viventi, ritorna adesso come personaggio centrale del volume che proprio da lei prende il nome per costringere di nuovo la letteratura a interrogarsi sulla consistenza del proprio fondamento morale. Coetzee scrive quello che un tempo si sarebbe chiamato un romanzo saggio, o un romanzo filosofico, garantendosi però un minimo di tenuta narrativa, di finzionalità, grazie alla costante presenza sulla scena di questo personaggio di invenzione che gli consente di non esporsi mai in prima persona né come autore né come narratore, rendendo dunque inefficaci domande troppo esplicite riguardo alla verità o falsità delle tesi proposte nel volume: anzi, di farsi dare spesso, quasi costantemente, torto, uscendo sconfitto dal confronto delle argomentazioni antagoniste, pretendendo sempre per sé il discorso di minoranza, come se la verità della letteratura contemporanea di cui Elizabeth Costello è portatrice e testimone non potesse venire fuori che da lì, lasciandosi schiacciare da un altro discorso che vuole avere dalla propria parte la ragione, emergendo dunque nel luogo del rimosso o del represso.
Dalla prima all'ultima delle sei lezioni di cui il volume si compone, che mettono in scena circostanze più o meno pubbliche nelle quali Elizabeth Costello, "vecchia, stanca foca da circo" è chiamata a prendere la parola, il testo di Coetzee fa in modo che la protagonista non abbia mai completamente la meglio, non risulti vittoriosa e neppure soddisfatta dall'esposizione delle proprie tesi. Non solo negli altri ma in lei stessa le sue parole provocano una sorta di fatale riserva, un sospetto, qualche volta un risentimento che la rendono giovane al successo con il volume The House on Eccles Street, rielaborazione dell'Ulysses di Joyce dal punto di vista straniante di Marion, moglie di Leopold Bloom, periferico quanto quello che lei stessa ha sulle cose del mondo e della letteratura, Elizabeth Costello continua a sentirsi parte dell'universo dei marginali, dei perplessi, degli sconfitti.
Davanti al nostro sguardo, Elizabeth si presenta quale una Sibilla in disarmo, un oracolo decaduto che molto spesso smarrisce le parole giuste, rispettato ma insieme tenuto a distanza, in qualche caso sotterraneamente schernito; fin dalla prima lezione sul "realismo", nella quale la narratrice si serve in modo esemplare (come già aveva fatto in La vita degli animali) del racconto di Kafka Relazione per un'accademia per spiegare la propria idea del rapporto fra letteratura e mimesi della realtà, suscitando un deciso malcontento negli ascoltatori ("Qui siamo in America, negli anni Novanta. La gente non ne può più di questa storia di Kafka"), ella sembra portare su di sé, proprio come il protagonista di Kafka, Pietro il Rosso, una sorta di marchio di esclusione, simbolo di quell'alterità e di quella ferita che si è stati costretti a superare per ritrovarsi lì quel giorno e in quel consesso, per esservi invitati a parlare: anche l'uditorio, gli uditori che Costello si trova davanti nelle diverse occasioni sono compiacenti ma non partecipi nei confronti delle sue parole, sembrano sempre sul punto di porle una domanda diretta e distruttiva, come la ragazza dell'Altona College nella prima conferenza, che ne potrebbe forse mandare in pezzi la facciata di rispettabilità e di decenza, e che proprio per questo viene costretta a tacere, con un riguardo che suona più doloroso di un'offesa.
In tutto il volume, Elizabeth Costello non riesce mai a essere davvero convincente, non arriva a spiegarsi fino in fondo, viene tenuta a distanza, fraintesa; come già accadeva nella Vita degli animali, le sue tesi spesso suscitano in qualcuno dei presenti un risentimento o una decisa opposizione, alle quali il lettore stesso può sentirsi portato a dare ragione. Anche quando la protagonista parla di un argomento su cui non può non essere particolarmente competente, come la natura stessa della sua vocazione di scrittrice, il suo sentirsi "segretaria dell'invisibile", testimone di qualcosa di appena decifrabile che prende forma attraverso di lei, impossibile da comporre in un credo che non appaia, una volta reso esplicito, generico e superficiale, anche allora Elizabeth Costello non arriva a mettersi al riparo dal ridacchiare, quindi da una "sonora risata" da parte del suo uditorio, trasformatosi in un'entità kafkiana, in una misteriosa giuria che deve accordarle il diritto di passare dall'altra parte di una porta chiusa, ma "fatta per lei e per lei sola".
Questo nell'ultima lezione del volume, la sesta, Davanti alla porta, forse la più bella, nella quale la trama di echi kafkiani che ha accompagnato fin dall'inizio il suo tentativo di dire una parola decisiva su di sé, una parola che la riscatti e la giustifichi, diventa talmente insistita da apparire anch'essa quasi parodica, derisoria. Persino Kafka fallisce. Oltre la letteratura rimane soltanto il mutismo, oltre le parole c'è la resa sconcertante al silenzio di Lord Chandos, anche lui evocato sulla scena narrativa da Coetzee nel Poscritto per mezzo della testimonianza indiretta dalla sua stessa tragica impossibilità di dire: le parole slittano una nell'altra, si fondono, si inabissano, sembrano assumere la forma oscena di ratti che popolano un universo divenuto oscuro e indecifrabile come un dedalo di cantine.
Per potere essere ancora utilizzata, ciascuna di esse andrà dunque messa alla prova pronunciandola ad alta voce nel buio per scoprire il suono che rimanda, per potere dire se "è incrinata o è sana": le lezioni di etica di Elizabeth Costello culminano nel più inattuale degli appelli alla responsabilità delle parole e della scrittura, il grande represso della nostra epoca e forse di quella a venire, proveniente paradossalmente proprio da lei, Elizabeth, una alla quale non riesce mai, quale che sia il tema delle sue conferenze, di trovare le parole giuste.
"Sua madre non è di pasta greco-romana. Il Tibet o l'India le si addicono di più: un dio incarnato in una bambina, portata da un villaggio all'altro, per essere applaudita, venerata."
Perché viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura a un determinato autore? Domanda stupida, se volete, ma ecco la risposta: Elizabeth Costello. Non perché lei sia una grande scrittrice (anche se di fatto lo è) e non perché sappia affrontare bene gli impegni letterari e mondani (e lo fa), ma perché è un personaggio inventato da Coetzee: a lui è andato il Premio nel 2003 e ancora una volta, se ce n'era bisogno, sappiamo il motivo. Sia che racconti la guerra del Vietnam, o che parli del Sudafrica, disquisisca sulla vita degli animali o, come in questo caso, costruisca dal nulla una protagonista del mondo letterario, Coetzee è sempre un maestro. Conosciamo Elizabeth Costello attraverso gli occhi del figlio e il suo continuo interrogarsi sulla natura della madre: "che razza di creatura è, lei, in realtà? Non una foca: non è abbastanza simpatica per somigliare a una foca. Ma neppure uno squalo. Un felino. Uno di quei grandi felini che fanno una pausa mentre sventrano la vittima, e lanciano una fredda occhiata gialla sopra la pancia squartata". "Qual è la verità su sua madre? Lui non la conosce, e in fondo al cuore non la vuole conoscere. È qui solo per proteggerla, per sbarrare la strada ai cacciatori di reliquie, ai lanciatori di ingiurie, ai pellegrini sentimentali", anche se non sempre sarà accanto a lei nelle pagine del libro. A scandire i tempi del romanzo sono gli impegni "mondani" di Elizabeth, le occasioni in cui, in varie situazioni che vanno dalla conferenza alla crociera o alla missione in Sudafrica, lei deve affrontare un dibattito sul suo lavoro e, facendolo, esprimere opinioni personali su altri temi, accendendo discussioni attorno ad argomenti come il realismo in letteratura, la storia del romanzo in Africa, il senso del male nel mondo... È proprio Elizabeth Costello a parlare o la sua voce è solo il megafono attraverso cui ascoltiamo quella del suo creatore? E nei dibattiti che si sviluppano, quale posizione assumerebbe Coetzee? sarebbe più propenso a concordare con la sua creatura o con i suoi interlocutori? E, ancora, la maschera che la donna indossa di fronte ai giornalisti e ai critici, quel ruolo che recita senza sentire, come un testo predeterminato e sempre uguale da sciorinare in pubblico, quanto rappresenta il pensiero autentico dello scrittore sudafricano? "Ogni creatura è la chiave per tutte le altre creature", scrive una ipotetica Elizabeth C. (Lady Chandos) nell'originale lettera che chiude il volume, datata 1603 e indirizzata a Francis Bacon. Elizabeth Costello è dunque la chiave per tutti gli altri personaggi di Coetzee, è brillante e spesso imprevedibile, è ormai anziana e talvolta stanca, ma quasi sempre determinata: è viva, ma soprattutto è letteratura.
A cura di Wuz.it
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