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Dire l'indicibile, rappresentare l'irrappresentabile, saper cogliere e trasmettere il segno incancellabile che la storia, quella che si studia sui libri, imprime a fuoco sulle vite dei "prescelti" che hanno la ventura di incrociarla e toccarla. Art Spiegelmann, di professione illustratore e disegnatore di fumetti, ha incontrato la storia per due volte e per due volte ha cercato di raccontarla e rappresentarla attraverso il mezzo di comunicazione che gli è proprio.
Vladek e Anja Spiegelmann, i suoi genitori, sono sopravvissuti alla Shoa, ma Anja nel 1968 non ha retto e si è uccisa, lasciando alla conflittuale coppia padre/figlio il compito di testimoniare e rappresentare. Per poter dire l'indicibile era però necessario un linguaggio nuovo, comprensibile a tutti, ma al tempo stesso innocente, intatto, mai toccato dall'orrore dello sterminio. Un linguaggio attraverso il quale un figlio cresciuto con i rutilanti miti dell'intrattenimento americano potesse visualizzare ed esprimere graficamente la voce narrante di un vecchio ebreo polacco, indelebilmente segnato dal suo incontro con la storia. Così è nato Maus, un fumetto in cui gli ebrei sono topi e i nazisti gatti, in cui l'innocenza del manicheismo disneyano diventa una cifra interpretativa, un filtro, che permette a due generazioni infinitamente lontane di sfiorarsi dolorosamente sul confine della memoria.
L'11 settembre 2001, la storia la storia ha di nuovo toccato, sia pure con mano molto più leggera, la famiglia Spiegelmann. Il disegnatore e sua moglie quel mattino erano corsi a recuperare la figlia che frequentava una scuola proprio accanto a quello che stava per diventare ground zero; hanno così visto "lo scheletro della torre brillare e tremare nel cielo. Poi, lentamente, ricadere su se stesso".
Anche per l'11 settembre, come già per la Shoa, intere falangi di romanzieri, storici e saggisti si sono chiesti se, perché e come fosse possibile e lecito raccontare l'orrore, quale linguaggio potesse scontrarsi con la storia senza rimanerne incenerito. E anche in questo caso Spiegelmann ha scansato con eleganza forum e discussioni rifugiandosi nel suo mezzo espressivo e adattando fatti, riflessioni e commenti in tavole, vignette e balloons. L'ombra delle torri non è però un graphic novel come Maus, ma un testo misto che fonde tavole a fumetti grottescamente autobiografiche, pagine scritte di sapore saggistico e una serie di magnifici paginoni a fumetti dei primi del Novecento. Bibì e Bibò, Fortunello, Little Nemo, Yellow kid sono per il disegnatore l'unica protezione valida che gli permette di istituire un legame tra passato e presente, tra realtà e finzione: "Le vecchie strisce a fumetti, così vitali e modeste, stampate all'alba ottimista del XX secolo, erano gli unici manufatti culturali che riuscissero a superare le mie difese per riempirmi gli occhi e il cervello con immagini che non fossero quelle delle torri in fiamme". Ed è proprio la scelta ironica e pungente delle tavole originarie il vero capolavoro contenuto in questo libro: Yellow kid, circondato da bandiere a stelle e strisce manifesta a favore della guerra ispanoamericana del 1899, Bibì e Bibò, il 4 luglio, fanno saltare per aria la tribuna d'onore mentre viene letta la dichiarazione d'indipendenza, Fortunello si traveste da capo arabo e Arcibaldo cerca di far tornare dritta la torre di Pisa. Gli attentati, le guerre, e la parodia del patriottismo condotta da Bush in questi ultimi anni vengono così visti attraverso un filtro inedito, permeato di tragica ironia, che ci permette di riviverli in una luce nuova.
Chiara Bongiovanni
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