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La letteratura vista da lontano
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La letteratura vista da lontano - Franco Moretti - copertina
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letteratura vista da lontano

Descrizione


Docente all'Università di Stanford dove dirige il "Centro di studi sul romanzo", Franco Moretti propone un nuovo modo di leggere (e scrivere) la storia letteraria. In un fitto dialogo tra parole e immagini, e usando strumenti e modelli presi a prestito dall'ambito scientifico, l'autore dell'Atlante del romanzo europeo mostra come ci sia ancora tanto da scoprire se solo si cambia il modo di guardare le cose.
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Dettagli

2005
1 febbraio 2005
X-146 p., Brossura
9788806172893

Voce della critica

Nei tre studi che compongono il suo nuovo volume, Franco Moretti propone esempi concreti di analisi che applicano alla letteratura metodi ricavati dalle scienze naturali, in particolare dalla storia quantitativa, dalla geografia e dalla teoria dell'evoluzione. Pur nella loro specificità, questi esempi ambiscono a configurare una prospettiva diversa negli studi letterari, che superi sia l'antica preminenza delle ricerche dedicate ai singoli testi, e in particolare ai capolavori, sia l'attuale tendenza a fondere l'esame della letteratura con quello della cultura in genere, ben evidente nel New Historicism, almeno nelle sue forme più recenti, e nei Cultural studies. Moretti, insomma, proseguendo e modificando idee già espresse in saggi precedenti (specialmente in Atlante del romanzo europeo, 1997), e forte del vasto panorama offerto dalla grande impresa da lui diretta su Il romanzo (2001-2003), da cui non a caso vengono ricavati numerosissimi dati, vuole ora delineare percorsi inediti per una rinnovata lettura materialistica del campo letterario, grazie alla quale la forma, intesa come sintesi di forze diverse, e la storia tornino a intrecciarsi, senza bisogno di una griglia interpretativa unica e rigida.

Il primo studio offre un'applicazione dei grafici quantitativi per rappresentare l'evoluzione del romanzo tra Sette e Ottocento. Utilizzando i dati forniti da numerosi studi specialistici, Moretti fa notare che la produzione di romanzi avviene sulla base di ritmi piuttosto regolari. Innanzitutto, nei paesi in cui prende piede la narrazione di tipo romanzesco, si verifica sempre una sua rapida ascesa (The rise of the novel, per concretizzare il celebre titolo del saggio di Ian Watt), cui può corrispondere un declino, spesso dovuto a motivi storico-politici: per esempio, pochi sono i romanzi pubblicati in Francia durante la Rivoluzione. In secondo luogo, se si analizza l'intera produzione romanzesca e non solo pochi vertici, si nota che ogni tipo individuabile, per esempio dal courtship novel al Kailyard school nella Gran Bretagna tra il 1740 al 1900, dura in media dai venti ai trent'anni. Una ciclicità molto evidente, dunque, che Moretti tenta di spiegare collegando il cambiamento dei generi (o sottogeneri) romanzeschi con quelli generazionali, anche se "il processo di formazione delle generazioni resta tuttora alquanto oscuro". Comunque sia, questo studio, che mette pure in rilievo un'oscillazione costante fra preminenza di uomini o di donne fra gli scrittori di narrativa nel periodo in esame, fa comprendere che le teorie basate su un'idea astratta e monolitica di romanzo costringono di fatto ad accantonare i nove decimi della produzione di un periodo, impedendo di cogliere i macro movimenti e le regolarità evolutive.

Lo studio successivo è dedicato all'uso delle carte geografiche in letteratura, e in parte corregge o specifica meglio quanto già tentato da Moretti nel suo già citato Atlante. In effetti, esaminando vari esempi di narrativa "di villaggio" – da Our village (1824-32) di Mary Mitford, a Gli annali della parrocchia (1821) di John Galt, alle Storie di villaggio della Foresta Nera (1843-53) di Berthold Auerbach – si nota una progressiva complicazione della distribuzione spaziale che, partendo da una concentricità perfetta e tipica di una situazione idillica, si apre a dimensioni geografiche sempre più lontane, in connessione con gli sviluppi storico-economici. Le carte di Moretti visualizzano bene questi aspetti, benché, come egli stesso ammette, siano soprattutto diagrammi nei quali la geometria prevale sulla geografia, ma grazie ai quali risultano più evidenti le grandi forze storiche che agiscono sulla (o addirittura dentro la) forma dei testi: non a caso, il genere "narrativa di villaggio" o si sgretola per l'urto dello sviluppo storico, o decade e scompare, non essendo più in grado di rappresentarlo.

L'ultimo e forse più suggestivo saggio è dedicato agli alberi evolutivi, il cui capostipite può essere considerato quello inserito da Darwin nell'Origine della specie, che aveva lo scopo principale di far comprendere come progressivamente le specie divergono, e solo alcune rappresentano l'intera evoluzione. Applicando i principi della selezione naturale e della divergenza, Moretti mostra in che modo il modello del poliziesco "a paradigma indiziario" proposto da Conan Doyle in alcuni dei suoi gialli risulta vincente nella pletora di fine Ottocento. Più avanti, dopo aver sottolineato l'importanza anche della convergenza di caratteri diversi per creare novità nell'evoluzione, Moretti applica un'idea di Ernst Mayr per sottolineare che alcuni caratteri si modificano morfologicamente sulla base di un allontanamento spaziale: così avviene per il discorso indiretto libero, che prende connotazioni diverse a seconda che venga applicato nei romanzi dell'Inghilterra borghese di Jane Austen o in quelli dell'arcaica Sicilia di Verga o in Joyce o in Vargas Llosa. Molto acute le singole analisi di questo aspetto, che ne riprendono alcune simili sul flusso di coscienza presenti in un altro lavoro di Moretti, Opere mondo (1994).

Dato conto sin qui dei caratteri fondamentali del volume, occorre mettere in rilievo alcuni elementi discutibili (tralasciando aspetti marginali ma fastidiosi, come quello dell'alto numero di refusi, purtroppo quasi costante nella produzione saggistica recente dell'Einaudi). Innanzitutto, il modello generale del procedimento, quello appunto di guardare "da lontano" i fenomeni letterari, sembra portare vantaggi soprattutto sul versante dell'allargamento dei materiali letterari da esaminare, restituendo valore proprio ai tanti aspetti della letteratura che la "selezione innaturale", ovvero il giudizio espresso dalla critica (benché ormai combinato con numerosissimi altri parametri), portava a misconoscere o a cancellare. Ciò non toglie che l'interesse del metodo risulterà più alto quando verrà sperimentato su opere intere, come fanno le tradizionali letture "da vicino" ossia stilistiche, anziché soltanto su alcuni loro elementi, come fa qui Moretti.

Quanto poi alla possibilità di applicare questo metodo all'intero campo letterario è lecito restare dubbiosi. Per esempio, come si potrebbero individuare nell'ambito della poesia generi o sottogeneri paragonabili a quelli (addirittura quarantaquattro!) riguardanti il romanzo inglese del Sette e Ottocento? Moretti non definisce in dettaglio la sua idea di genere (però si vedano le importanti osservazioni alle pp. 95-96), che è notoriamente molto discussa e sfuggente, ma implicitamente, nel primo studio, sembra accettare che il contenuto dei romanzi sia di per sé sufficiente a distinguerne tipi differenti. Ben difficile operare analogamente nell'ambito della lirica, ma in ogni caso resta da dimostrare che non continui a essere indispensabile un'idea della forma-romanzo per poter stabilire rapporti fra testi palesemente collocabili su piani distinti, come il picaresco o il gotico o il fantasy (forme durature e stratificate), e il jacobin novel o lo sporting novel, molto più settoriali.

Ciò comporta un ulteriore problema proprio dal punto di vista di Moretti, e cioè l'intersezione sempre più complessa di caratteri diversi, a partire soprattutto dal romanzo sperimentale del Novecento, che non a caso costituisce in molti casi uno spartiacque per le analisi qui presentate. Chi oserebbe per esempio collocare unicamente nell'ambito del genere poliziesco opere come quelle di Borges o di Gadda o di Eco, e nello stesso tempo chi potrebbe negare che gli elementi costitutivi del genere non agiscano in esse? Di fatto, il problema non sembra quello di tradurre in diagrammi l'evoluzione del genere-principe dell'ultimo secolo, bensì quello di capire se il suo senso è ancora ricavabile dall'uso o meno del paradigma indiziario ecc. Insomma, in questo caso specifico i diagrammi di Moretti dovrebbero essere intrecciati con una reinterpretazione del grande saggio di Kracauer, oltre che con altre osservazioni di Moretti stesso nel suo Segni e stili del moderno (1987). E in generale, non pare che il passaggio dall'analisi materiale al livello interpretativo possa escludere il ricorso a categorie ermeneutiche più astratte, sebbene da rimotivare e riqualificare sulla base concreta delle opere, per esempio quella di realismo o antirealismo, che, in letteratura, spesso va valutata con modalità distinte da quelle offerte dai paradigmi scientifici (mentre invece Moretti sembra in genere soddisfatto di trovare nei testi ulteriori certificazioni di quanto già noto attraverso gli studi delle varie scienze).

Infine, mentre si deve rinunciare per ragioni di spazio a discutere molti problemi specifici, come quello del rapporto generi/generazioni, che resta insoluto anche perché parrebbe presupporre cambiamenti continui nel tipo di pubblico oltre che nella sua età (e allora i dati quantitativi presi in esame da Moretti dovrebbero essere intersecati con quelli derivati da un'analisi sociologica dei lettori, e magari con quelli delle vendite); un'osservazione va riservata al saggio conclusivo di Alberto Piazza, che insegna genetica umana all'Università di Torino. In esso, nonostante il sincero apprezzamento delle idee di Moretti, emergono varie differenze tra evoluzione genetica ed evoluzione letteraria, quanto all'applicazione dei concetti e dei metodi. In particolare, Piazza è consapevole che la rappresentazione ad albero e a biforcazioni dei processi evolutivi è incompleta: molto migliore sarebbe una a rete, per ora tuttavia impossibile da realizzare per la sua complessità. Probabilmente anche con la letteratura, qualora si provasse a esaminare tutte le componenti di opere di grande valore, accadrebbe qualcosa di simile: e il tentativo di andare verso una storia letteraria "più razionale", coraggioso e stimolante, forse per ora è prematuro. Ma i lavori di Moretti, come sempre, pongono domande a cui non si è in grado di dare risposte definitive: sulla base di quanto lui stesso afferma, può essere questo un ottimo riconoscimento della sua inventiva.

                                                                                                          Alberto Casadei

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Conosci l'autore

Franco Moretti

(Sondrio 1950) saggista italiano. Docente di Letteratura comparata presso la Columbia University di New York, raccoglie e orchestra nei suoi studi interessi e suggestioni interdisciplinari, che vanno dalla musica all’economia, dalla scienza alla retorica. Ha pubblicato: Letteratura e ideologie negli anni Trenta inglesi (1976), la raccolta di saggi L’anima e l’arpia (1986), Il romanzo di formazione (1986), Segni e stili del moderno (1987), Opere mondo (1994), Atlante del romanzo europeo 1800-1900 (1997), La letteratura vista da lontano (2005). Ha inoltre curato un vasto studio critico in cinque volumi: Il romanzo. i-v (2001-03).

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