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Un sofisticato ‘divertissement’ linguistico l’avventura di Zazie a Parigi, ospite dello zio Gabriel: invero più adulto e responsabile, ma di dubbia moralità e del tutto impreparato ad arginare sia l’esplosiva voglia di vivere, la joie de vivre, sia la curiosità di farsi finalmente un giro sul metrò, bloccato però da un lungo sciopero, della giovane dall’aria sbarazzina venuta dalla provincia; che in qualche modo, visto il calibro del traduttore, viene ricreato anche in italiano dall’inventività prismatica di Franco Fortini, in linea con l’originale, e con un attento lavoro di abbassamento dodecafonico del linguaggio, la cui rispettabilità è svilita dal basso cifrato del turpiloquio. Il desiderio non esaudito, diventerà sùbito per Zazie fonte di risentimento verso lo zio e sua moglie, e determina le di lei scorribande per le vie parigine, nel ventre maleodorante della città, che sarà occasione di incontri con persone poco raccomandabili. Non solo quella di Zazie, ma la stessa mente degli adulti che la circondano, non è mai libera da mostri irreali; si pensi al destino difficile di Gabriel, cui piacerebbe di vivere in una città che sapesse valorizzare e celebrare degnamente le sue inclinazioni, ma deve ogni giorno attraversare la prova della realtà, a partire dal latente conflitto con la moglie. Per cui ogni scambio di parole, ogni dialogo prende una piega di stranezza, quasi di necessario e surreale estraniamento: Zazie ha la violenza indomabile e la ‘grâce’ dell’innocenza, ha un’aria interrogativa, per verificare l’effetto sugl’altri delle sue parole e delle sue reticenze; ma è una grazia nella sua acerba polivalenza da interpretare. Il suo essere leggera e frivola proietta su di lei anche un velo di indeterminatezza e, di rimbalzo, sul linguaggio usato da Q. per rappresentarla; concorre come una naturale devianza ad alleggerire la pesante condizione esistenziale di Gabriel, scardinando la sua opacità borghese che col tempo si era trasformata in un cupo sortilegio.
Era il mio primo Queneau e ne sono rimasto delusissimo. Null'altro che un esercizio di stile colloquiale con l'obiettivo di "distruggere l'apparenza civile del linguaggio", come spiega il traduttore in una nota finale. Un fumettone colmo di personaggi e situazioni caricaturali che avrebbero forse fatto un romanzo grafico sufficientemente divertente, ma che non reggono la metà di queste 230 pagine. Sopportabili le prime 50; noiosette le seguenti fino all'entrata in scena dell'autobus di turisti stranieri; poi pesante ed indigesto sino alla fine. Proprio all'entrata in scena di quell'autobus, del resto, a metà libro circa, l'autore ammette esplicitamente trattarsi di "poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota" (declamazione del personaggio Gabriel, cap. 8). Capisco la lettrice Cristina che secondo quanto commentato il 12-04-2010 smise di leggerlo più o meno a quel punto. Vero che la traduzione probabilmente, inevitabilmente, lo penalizza: ma anche perché non si comprendono certe scelte del traduttore. Per esempio quella di lasciare così com'è il termine "flic" (poliziotto), senza neanche renderlo in corsivo, traducendo invece il termine "loufiat" (modesto cameriere di bar) in "piedipiatti". Bella confusione per un lettore italiano.
Raymond Queneau aveva confessato la sua sorpresa del successo strepitoso ottenuto da «Zazie dans le métro» come «uno choc che mi é stato difficile da sopportare», come lui disse. Le avventure della piccola provinciale venuta a passare qualche giorno a Parigi a casa di suo zio e che lascerà senza aver potuto realizzare il suo sogno nel cassetto di viaggiare nel métro (in sciopero!) ci seducono, dall'apparizione del libro, ben al di là della sua esperienza. Un capolavoro surrealista, non c' è dubbio, che ho apprezzato particolarmente nell'edizione originale in francese rispetto alla sua traduzione in italiano- la quale secondo me- perde un pò della sua freschezza ed originalità.
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