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L' animale morente
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L' animale morente - Philip Roth - copertina
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animale morente

Descrizione


Da trent'anni, da quando la rivoluzione sessuale ha bussato alla sua porta, il professor David Kepesh tiene fede al suo giuramento: non avere mai una relazione stabile con una donna. Ma un giorno, nell'aula del suo corso di critica letteraria all'università, entra Consuela Castillo, ventiquattrenne di una bellezza conturbante, una ragazza cubana alta e affascinante che scatena il desiderio e la gelosia del maturo professore.
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Dettagli

2005
Tascabile
113 p., Brossura
9788806174149
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Indice


Le prime frasi

L'ho conosciuta otto anni fa. Frequentava il mio corso. Io non insegno più a tempo pieno, e se volessi essere preciso dovrei dire che non insegno letteratura: già da molti anni tengo un solo corso, un grande seminario di critica letteraria, per i laureandi, che ho chiamato Practical Criticism. Le mie lezioni attirano un mucchio di studentesse. Per due ragioni. Perché l'argomento presenta un'allettante combinazione di glamour intellettuale e glamour giornalistico; e perché le ragazze mi hanno sentito recensire libri alla radio o visto parlare di cultura alla televisione. Negli ultimi quindici anni fare il critico culturale in un programma televisivo mi ha reso piuttosto popolare, localmente, e per questo il mio corso attira le ragazze. Nei primi tempi non mi ero reso conto che parlare alla Tv per dieci minuti una volta la settimana potesse fare l'effetto che fa a queste studentesse. Ma le ragazze sono irrimediabilmente attratte dalla celebrità, per insignificante che possa essere la mia.
Ora, come sai, io sono molto sensibile alla bellezza femminile. Tutti hanno qualcosa davanti a cui si sentono disarmati, e io ho la bellezza. La vedo e mi acceca, impedendomi di scorgere ogni altra cosa. Queste ragazze vengono al mio corso, e io capisco quasi subito qual è quella che fa per me. C'è un racconto di Mark Twain dove lui scappa, inseguito da un toro, e quando si rifugia sopra un albero il toro alza gli occhi e pensa: "Voi siete la mia preda, signore". Be', quando le vedo in aula quel "signore" si trasforma in "signorina". Sono passati otto anni, dunque: io ne avevo già sessantadue e la ragazza, che si chiama Consuela Castillo, ne aveva ventiquattro. Consuela non è come le altre. Non ha l'aria di una studentessa, non di una comune studentessa, per lo meno. Non è una mezza adolescente, non è una ragazza sbracata, sciatta, pullulante di "cioè". È raffinata nel parlare, misurata, e il suo portamento è perfetto: sembra che sappia qualcosa della vita degli adulti, oltre a stare seduta, stare in piedi e camminare. Come entri nell'aula, capisci che questa ragazza o la sa più lunga delle altre o a questo aspira. Il modo in cui si veste, per esempio. Non è proprio quella che chiameremmo eleganza, la sua, e non ha sicuramente nulla di vistoso, ma, tanto per cominciare, Consuela non è mai in jeans, stirati o gualciti che siano. Veste con cura, sobrietà e buon gusto, gonne, abiti e calzoni su misura. Non per desensualizzarsi, si direbbe, ma per professionalizzarsi, veste come l'attraente segretaria di un prestigioso studio legale. Come la segretaria del presidente di una banca. Ha una camicetta di seta color panna sotto un blazer di buon taglio blu con i bottoni d'oro, una borsetta marrone con la patina della pelle più costosa e un paio di stivaletti alla caviglia intonati alla borsetta, e porta una sottana di maglia grigia un po' elastica che rivela le linee del suo corpo con tutta la malizia che può metterci una sottana come quella. I capelli sono acconciati con naturalezza, ma con cura. Il colorito è pallido, la bocca arcuata, anche se le labbra sono piene, e la fronte è tondeggiante, una fronte levigata di un'eleganza brancusiana. È cubana. I suoi sono prosperi cubani che stanno nel New Jersey, oltre il fiume, nella Bergen County. Ha capelli nerissimi, lustri, ma un po' grossi. Ed è grande. È una ragazzona. La camicetta di seta è slacciata fino al terzo bottone, e questo ti permette di vedere che Consuela ha due seni prepotenti, bellissimi. Noti subito il solco tra i seni. E vedi che lei lo sa. Vedi che, nonostante la compostezza, la meticolosità, lo stile cautamente soigné (o forse proprio per questo), Consuela è cosciente del proprio fascino. Viene alla prima lezione con la giacca abbottonata sopra la camicetta, ma cinque minuti dopo se l'è già tolta. Quando guardo di nuovo dalla sua parte, vedo che se l'è rimessa. In questo modo capisci che è cosciente del suo potere, ma che ancora non sa come usarlo, non sa cosa farne, non sa nemmeno quanto lo desidera. Quel corpo le riesce ancora nuovo, deve ancora metterlo alla prova, ci sta ragionando su, un po' come un ragazzo che cammina per la strada con una pistola carica e deve ancora decidere se andare in giro armato per difendersi o per iniziare una vita di delitti.
Ed è cosciente anche di un'altra cosa, una cosa che non potevo dedurre da quel primo incontro in aula: la cultura è importante, per lei, anche se in un modo antiquato e deferente. Non che sia una cosa da cui voglia trarre il suo sostentamento. Non vuole e non potrebbe — è stata allevata troppo bene e in un modo troppo conforme alla tradizione, per questo —, ma la cultura è importante e meravigliosa come nessun'altra delle cose che conosce. Consuela è la ragazza che trova affascinanti gli impressionisti, ma il Picasso cubista deve guardarlo bene, aguzzando gli occhi (sempre con un senso di fastidiosa perplessità) e mettendocela tutta per cogliere l'idea. Lei sta li, in attesa della nuova e sorprendente sensazione, del nuovo concetto, della nuova emozione, e quando non viene (non viene mai), si accusa di essere inadeguata e priva di... cosa? Si accusa di non riuscire a capire nemmeno che cosa le manca. L'arte che puzza di modernità non la lascia soltanto perplessa, ma anche delusa di sé. Vorrebbe che Picasso contasse di più, che operasse in lei qualche trasformazione, magari, ma teso sulla ribalta del genio c'è un telo trasparente che le offusca la vista e tiene un po' a distanza la sua venerazione. Consuela dà all'arte, a tutte le arti, assai più di quanto ne riceva, una specie di zelo che non manca di un suo fascino struggente.

Valutazioni e recensioni

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Ire
Recensioni: 5/5

Roth racconta la storia di David, un professore universitario over sessanta, che decide di vivere la vita in piena "libertà" separandosi dalla moglie e rispondendo positivamente alle ondate rivoluzionarie e libertine del '68. Ad un certo punto però si trova attanagliato e questa libertà gli si rivolge improvvisamente contro: si innamora di Consuela, la studentessa cubana con il corpo perfetto che frequenta il suo corso. Lei lo stravolge completamente. Lui non riesce a sfuggirle, è ingabbiato senza volerlo tramite una forza ingovernabile che mai prima d'allora aveva sentito. Un romanzo crudo, l'amore visto dagli occhi di un maschio, pervaso costantemente dal desiderio sessuale, che si discosta dai normali racconti dove l'intellettualità femminile domina. Qui la legge è quella dell'animale che non riesce a controllare le proprie pulsioni. Insomma, un Roth da leggere tutto d'un fiato!

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Recensioni: 5/5

L'animale morente esemplifica bene la poetica di Roth, in particolare della sua ultima fase, il senso del grottesto cede il posto alla malinconica riflessione sulla condizione umana, sulla miseria delle esistenze. Sesso e morte si incontrano ancora e sembrano le chiavi di lettura delle quali la voce del grande scrittore si serve per provare a decifrare il mistero della vita.

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Raffaele
Recensioni: 4/5

Anche se, forse, non stiamo parlando di uno dei soliti indimenticabili romanzi cui Roth ci ha abituato, a mio avviso questo racconto non delude poiché è scritto magnificamente e ci spiega come David Kepesh, quindi non un uomo qualunque, affronta una giovane bella donna e come ne viene travolto. L'ideale sarebbe leggere, prima di questo, "Il Professore di desiderio".

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Voce della critica

Dopo i tre massicci e diseguali affreschi sociali degli anni novanta (fra cui Pastorale americana, Einaudi, 1998; cfr. "L'Indice", 1998, n. 11), Philip Roth celebra la falsa nascita del millennio (31 dicembre 1999) e l'approssimarsi dei suoi settant'anni (è del 1933) risuscitando un personaggio di professore erotomane, David Kepesh, che tanto tempo fa per troppe letture di Kafka e Gogol si trasformò in gigantesca mammella (nella novella Il seno, 1973), quindi riapparve nei panni di Professore di desiderio (1977; Bompiani, 1978), romanzo di formazione sentimentale, con David diviso fra la normalità dell'affettuosa compagna Claire e la trasgressione rappresentata da alcune figure perverse tra cui la prima moglie vampiresca, che non per nulla si chiama Helen e ha un passato di droga e mafia cinese. E fra tutti questi grattacapi riusciva anche a scrivere un libro sull'amato Cechov (e dettare le pagine più belle di Professore di desiderio intorno al rapporto col padre, alberghiere ebreo, rozzo ingenuo e amatissimo).

Dico dettare perché l'impianto è sempre quello del narratore in prima persona, che fa di nuovo buon servizio nel conciso L'animale morente, accolto con freddezza in America, in realtà più efficace della conclamata trilogia precedente. Il bel titolo è tratto da Byzantium di Yeats: "Consumate via il mio cuore: malato di desiderio / e legato a un animale morente / non sa più cos'è, e accoglietemi / nell'artificio dell'eternità". A Yeats settantenne non andava giù che il cuore fosse destinato a seguire la sorte mortale dell'animale in cui batteva e dunque si augurava paradossalmente l'eternità algida dell'arte. Il professore di Roth, intanto diventato viso noto dei programmi culturali della televisione, sullo scorcio dei sessant'anni esorcizza la mortalità portandosi a letto le studentesse, rigorosamente solo dopo la fine del corso... Il suo passato sia di mammella che di studente Fulbright orgiasta a Londra è scomparso, come l'ombra vampiresca di Helen, in compenso ha acquistato un figlio ormai maturo che non gli conoscevamo, Kenny, che serve un po' meccanicamente da contraltare alla sua scelta di libertà e libertinaggio: Kenny infatti ha moglie e amante, ma questi sono rapporti definitivi, entrambi matrimoniali e opprimenti, e redarguisce il padre per il suo egoismo mostruoso, così anticipando le obiezioni del lettore: "Quando incomincerai ad imbellettarti le guance, Herr Von Aschenbach?".

Come già con Professore di desiderio, cominciamo a leggere annoiati dalle solite cavalcate erotiche del narratore rothiano, ma poi il racconto riesce ad afferrarci e lasciarci qualcosa. Novello Morte a Venezia, L'animale morente è appunto la storia di un amore di anziano intellettuale per una ventenne che è quasi solo corpo e bellezza, che comincia a ossessionarlo più del dovuto, sia durante che dopo la relazione. La narrazione diventa così analisi di un tormento, che non lascia in pace il nostro vecchiardo (il quale dà il buon esempio ai maschi coetanei dividendosi fra l'irresistibile giovane Consuela e la più matura amante in carriera, e masturbandosi nei giorni liberi...). In Roth c'è sempre l'aspetto urologico, le minute evocazioni di organi e pratiche sessuali, che stenta a essere controbilanciato dagli eventi ai piani superiori, tanto più che David ci regala divagazioni sociologiche (ad esempio sulla presunta liberazione sessuale degli anni sessanta) che convincono poco. Qui però fa buon gioco il fatto che le digressioni possono essere del narratore più che dell'autore, e per chi ha stomaco per reggere le soste in urologia L'animale morente finisce col ripagare la lettura con un colpo di scena finale (notte di Capodanno 2000) che sarebbe cattivo definire da soap opera.

Si noterà infatti con quale abilità Roth giochi su anticipazioni e ricapitolazioni nel suo discorrere, sinuoso come il respiro. Tutto il libro si presenta come una confessione a un ascoltatore di cui non sappiamo nulla, e che dice solo una battuta alla fine, con un passaggio dalla narrazione di una storia passata a un momento di scelta presente e aperta. Insomma, la costruzione è magistrale, la traduzione di Mantovani è al solito eccellente, e lo spettacolo di un altro scrittore di talento alle prese con la vecchiaia e la morte vale il biglietto. Forse il limite di Philip-David è indicato dal fatto che l'animale morente del titolo non è dopo tutto lui, ma proprio Tadzo-Consuela. David conserva intatta o quasi l'illusione dell'immortalità, e il romanzo ha pagine in cui apprezziamo (nella mimesi perfetta della vita) l'"artificio dell'eternità".

 

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La recensione di IBS


«Riesci a immaginarla, la vecchiaia? Naturalmente no. Io no. Non ci riuscivo. Non avevo idea di che cosa fosse. Non ne avevo neanche un'immagine falsata: non ne avevo alcuna immagine. E non c'è nessuno che abbia voglia di fare previsioni. Nessuno desidera affrontare queste cose prima che venga il momento. Come andrà a finire, tutto? È di rigore l'ottusità.»

Cosa può accadere a un uomo che supera la sessantina, che ha sempre vissuto intensamente e liberamente anche nel privato, e che si trova ad affrontare il declino, la vecchiaia imminente? A David Kepesh avviene un fatto straordinario: scopre la gelosia. Dopo decenni di amore libero, sessualità vissuta senza legami e senza problemi, ecco arrivare sulla sua strada la ventiquattrenne cubana Consuela Castillo. Non che per David sia una novità straordinaria avere una relazione con una donna tanto più giovane di lui: il professore, con il carisma dato dal suo ruolo e dalla partecipazione a trasmissioni televisive di successo, è riuscito a conquistare molte ragazze nei tanti anni d'insegnamento. Ma Consuela ha qualcosa di straordinario che attira morbosamente questo uomo ormai avviato verso la vecchiaia. Una sensualità nascosta dal perbenismo, una femminilità dirompente di cui è consapevole anche se appare ingenuamente indifferente. Consuela è anche il pretesto per ricostruire un'esistenza, per rivedere il proprio passato, dove hanno dominato la sessualità e il rapporto con le donne. La memoria di una vita ricca ma non sempre felice, talvolta insoddisfacente, fatta di menzogne e di qualche meschinità, in cui la sua forza di uomo, la potenza e la voglia di esprimerla verso (contro?) le donne ha preso spesso il sopravvento. E ora? Consuela conduce il gioco, per la prima volta in tutta la sua vita non è più padrone totale dei sentimenti, delle passioni e degli impulsi. Ma dalla semplice storia di un amore nasce il dramma, dalla normalità la tragedia. La vecchiaia incrocia imprevedibilmente la malattia di un corpo giovane, di una donna solare e vitale. L'animale morente, che pensavamo fosse il professore, diventa la sua giovane amante nel gioco crudele e straordinario dell'esistenza. Roth narra magistralmente lo svolgersi degli eventi, la personalità dei protagonisti (anche delle donne che hanno attraversato il passato di David) divertendosi a scoprire le qualità erotiche del suo professore, ma senza dimenticare mai che l'uomo, ormai in declino, vede l'esistenza più come passato che in rapporto a un incerto futuro. Un romanzo tragico che racchiude in un centinaio di pagine tutta l'opera letteraria di Roth, la sua essenza.

A cura di Wuz.it

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Philip Roth

1933, Newark, New Jersey

Philip Roth (Newark 1933 - Manhattan 2018) è stato uno scrittore statunitense. Figlio di ebrei piccolo-borghesi rigorosamente osservanti, ha fatto oggetto della sua narrativa la condizione ebraica, proiettata nel contesto urbano dell’America dell’opulenza. I suoi personaggi appaiono vanamente tesi a liberarsi delle memorie etniche e familiari per immergersi nell’oblio dell’attualità americana: di qui la violenta carica comica, ironica o grottesca, che investe anche le loro angosce. Dopo un primo, felice romanzo breve, Addio, Columbus (1959), e i meno incisivi Lasciarsi andare (1962) e Quando Lucy era buona (1967), Roth ha ottenuto la celebrità con Lamento di Portnoy (1969).Dopo Il grande romanzo americano (1973, riedito in Italia da Einaudi nel...

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