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Anno edizione: 2015
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TROPPI PARADISI di SITI WALTER
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bella la sezione su "Io sono l'Occidente..."il libro si compone di una prosa limpida, tersa. Alcuni momenti risultano, a mio parere, troppo forti.
1)E' il miglior romanzo che sia mai circolato in Italia per raccontare l'Italia berlusconiana, poichè tutti parlano di berlusconismo ma nessuno non solo sa proporre l'alternativa politica ma raccontarne le sue devastanti innovazioni socioculturali. Walter Siti lo fa. Aggiungiamo in maniera stupefacente. In una maniera tagliente. 2)E' il miglior romanzo di letteratura gay italiana mai scritto dopo Busi, Tondelli e Arbasino, Pasolini, Saba, B.Bianchi. Walter Siti sebbene non apprezzi la prospettiva di critica letteraria anglosassone tematizzante, lo è in ogni suo sketch qui raccontato. In lui camp sontagiano e pop warholiano dimostrano di non essere non solo mai morti, ma di essere i migliori linguaggi artistici per raccontare la saga berlusconiana. 3)E' il miglior omaggio culturale che possa essere mai stato fatto a Pasolini e Davoli, ma anche il miglior romanzo d'amore che un uomo omosessuale Siti possa esprimere verso un altro uomo omosessuale Pasolini 4) E' il miglior romanzo che racconti l'immortalità del valore artistico della letteratura nell'era in cui il realismo ottocentesco e il neorealismo novecentesco ne han dimostrato di aver fallito
Non è davvero facile recensire un libro del genere. Di sicuro c'è qualche sprazzo di originalità, ma più che sovente offuscato da pagine e pagine di banalità, scritte, suppongo, al fine di stupire. E che non ottengono lo scopo. In pratica la vita si riduce al sesso: sesso frenetico, compulsivo, ripetitivo, onnipresente, vuoto e, francamente, dopo più di 400 pagine di scene sempre uguali a se stesse, assolutamente ed irrecuperabilmente noioso. Abbastanza interessante l'analisi del mondo che si muove dietro i programmi televisivi, anche se i programmi presi in considerazioni sono i peggiori possibile: dal Grande Fratello in giù. Avrei abbandonato il libro prima di averne letto cento pagine se non fosse che, per abitudine, concedo sempre allo scrittore la possibilità di riscattarsi: e lo avrei abbandonato, per la precisione, quando il Signor Siti si arrischia a fare un neanche troppo velato elogio della pedofilia sostenendo, in primis, di avere un amico dichiaratemente pedofilo, sfruttatore della povertà, della sottocultura e del degrado, senza chiedersi come sia possibile, per una persona sana, avere un "amico" così, e, in secondo luogo, sostenendo, in buona sostanza, che se si ritiene legittimo costringere un bambino a mangiare gli spinaci, di fronte alla sua manifesta non volontà di farlo, con la giustificazione che "gli fanno bene", non si vede perché non si possa ritenere legittimo costringerlo ad un atto sessuale che, secondo lui gli farebbe bene quanto e più degli spinaci. Chi scrive cose del genere o è malato o è perverso. Opto per la seconda ipotesi, del resto ampiamente dimostrata nelle pagine che seguono. La sola cosa che si salva è la lingua: bella, articolata, ricca e variegata. Perlomeno, visto che per 425 pagine dice semptre la stessa cosa, l'uso sapiente della lingua italiana gli consente di dirla diversificando un po' il linguaggio. Supponente, mistificatore, poco onesto e assolutamente noioso.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Je m'appelle Erik Satie, comme tout le monde" (Eirk Satie, Écrits réunis, 1981) è, con il solo nome proprio di persona cambiato, l'incipit del terzo romanzo di Walter Siti: "Mi chiamo Walter Siti, come tutti". Dal curatore dell'opera omnia di Pasolini, oltre che dal raffinato studioso della lingua italiana, ci si aspetterebbe una citazione meno usata. È invece l'introibo adeguato all'opera narrativa più complessa e articolata fra quelle finora prodotte da Siti, ripensamento molto più pratico che teorico degli anteriori Scuola di nudo (cfr. "L'Indice", 1995, n. 3) e Un dolore normale (cfr. "L'Indice", 1999, n. 5). Nel mezzo, ma in realtà solo due anni fa, Siti aveva pubblicato La magnifica merce (cfr. "L'Indice", 2004, n. 12), testo che comprendeva quattro racconti in bilico fra la diction di Kate Hamburger e Gerard Genette e la fictionvera e propria.
Di certo, nei quasi tre lustri da narratore, non ha abbandonato la sigla che accompagna questa parte della sua produzione: autobiografia di fatti non accaduti. Se in Francia tanto gli è valso il plauso dei fautori dell'autofiction (qualunque cosa ciò identifichi, se pure identifica qualcosa), in Italia l'uso ricorrente di autobiografismi, con annessi nomi e cognomi di persone conosciute e, in questo libro, anche famose, gli hanno procurato pagine di rotocalchi e interesse da settimanale di pettegolezzi. Nella società dello spettacolo, teorizzata dai situazionisti francesi e appena intravista dal suo mentore Pasolini, questo è l'ordine delle cose; e Siti, teorico del romanzo e critico della realtà, ne è al corrente. Come dato di fatto, Siti è al corrente di tutto; non soltanto ha letto tutti i libri, ma anche compulsato tutti i quotidiani, sfogliato tutte le riviste e dato almeno un'occhiata a tutti i programmi tivù. La misura che sola gli si confà e il grande, anzi, l'extralarge: il suo è un pensiero che ostenta i modi e il frasario del cinismo più consumato, ma volentieri lo mescola con la commedia e il dramma. Il destino di questo romanzo, e del romanzo da sempre ma ai nostri giorni ancora di più e più scopertamente, è questo: contenere tutto, racchiudere ora svelando, ora dicendo con paradossi la realtà. Per questo, come già evidente in Scuola di nudo, la misura di Siti non può se non essere grande o, come dicono gli americani con espressione intraducibile in italiano, larger than life. In questo senso, ha buon gioco il generoso risvolto di copertina, parlando di "opera mondo" e con ciò apparentando il romanzo del professore romano ai lavori studiati da Franco Moretti nel saggio eponimo (cfr. "L'Indice", 1995, n. 3) e soprattutto all'Ulisse.
L'ambizione di Siti è, se possibile, anche più alta di quella del romanziere irlandese. Qui non si vuole rappresentare in un libro la vita in una metropoli moderna ma, e ancora con l'ormai antico strumento del romanzo, tutta la contemporaneità. Gli strumenti a disposizione del romanziere sono i consueti: intertestualità spinta, discorso indiretto libero, citazionismo (controllato fin che si vuole, ma presente fin dall'incipit) e altro del genere. Siccome poi Siti non dimentica mai che il romanzo è il suo mestiere e il primo è quello di professore, non manca ed è anzi qui portata a limiti parossistici la sua riflessione sulla molto vexata quaestio dell'autore. Quali siano i rapporti fra l'uomo Walter Siti, l'attante che in questo libro ha lo stesso nome e gli altri due Walter Siti presenti nei romanzi anteriori è questione forse oziosa, che lo scrittore del romanzo fa d'altronde abbastanza per non mettere al centro dell'attenzione. Più interessanti, invece, i riferimenti espliciti a Pasolini, cui questo lavoro è dedicato sine nomine.
La sterminata raccolta di materiale usata per compilare e mai terminare Petrolio è tra le fonti di Altri paradisi: così come da quel testo con buona probabilità nato per non essere mai compiuto deriva lo sguardo non già morale, ma senz'altro moralistico che Siti dà sul reale che lo attornia. Le due vicende d'amore omosessuale che costituiscono il nucleo narrativo forte del romanzo (il circa matrimonio con Sergio, la storia torbida con l'ex culturista cocainomane Marcello) sono raccontate con sarcasmo tragico e partecipe. Se questo libro, più dei due che l'hanno preceduto, ha fatto rumore e suscitato attenzione è perché vi si parla non solo di omosessualità, ma anche di televisione. Gli attori in scena portano nomi assai conosciuti al grande pubblico (su tutti domina curiosamente Raffaella Carrà, campionessa di paleo-tv oggi assai meno in voga di un tempo) e potrebbe sembrare che Siti rediga qui un atto d'accusa contro il continuo peggiorare del maggior mezzo di comunicazione di massa.
Non è così, né può esserlo. La televisione, non meno dell'omoerotismo ostentato di questi anni, sono epifenomeni di una questione più rilevanti ai suoi occhi. La maggiore, e quella cui forse si deve il titolo, è quella della non rappresentabilità del reale attraverso il romanzo. I Troppi paradisi sono quelli che neppure una "straordinaria macchina conoscitiva" come il romanzo (sono parole di Siti stesso, cfr. "L'Indice", 1996, n. 7) riesce più a contenere. Il tentativo di rendere epica una contemporaneità che, con il passare non già degli anni ma delle settimane e dei giorni, si frastaglia e si fa indistinguibile, nasce fallito: in questo senso, l'opera terza del professore romano è la dichiarazione di un fallimento non evitabile. Dalla non rappresentabilità del contemporaneo nasce, per paradosso, la brama di possederlo. Siti ne fa cenno in modo esplicito in clausola di narrazione: "Il possesso, ho l'impressione che gran parte dei pesi della contemporaneità gravi su questo punto dolente; la fiducia che si possano realizzare i sogni possedendo gli oggetti (ma soprattutto le persone) che ossessionavano i sogni stessi". Accentuando come in falsetto la contorsione sintattica che ogni tanto l'autore adopera nel libro, ecco il punto dolente, cioè il rub, l'intoppo di Amleto. Non più essere o non essere, ma dire e dire tutto o no?
La risposta è negativa. Il mondo non è può contenersi in un'opera, e di sicuro non in un romanzo: non può più darsi nessuna epica del presente. Walter Siti racconta, nel suo libro più ambizioso, una scommessa che sa in partenza di aver perso. Anche solo per questo, per il suo desiderio di combattere una battaglia tutto fuor che soltanto letteraria, vale la pena di seguirlo.
Giovanni Chouckadarian
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