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Gilead - Marilynne Robinson - copertina
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Gilead

Descrizione


Il reverendo John Ames non potrà crescere il figlio di soli sette anni, né educarlo, né offrirgli testimonianza di sé. Sceglie così di affidarsi a una lettera-diario, un po' confessione un po' omelia, che dica un giorno al bambino ormai adulto ciò che di suo padre è importante sapere.

«Un trionfo di stile e immaginazione, un viaggio spirituale che nessun lettore degno di questo nome può perdersi.» - The Washington Post

«La cultura americana è più ricca grazie al corpus delle opere di Marilynne Robinson. Teniamo a mente l'insegnamento di John Ames: che alla grazia si deve rispondere con la gratitudine.» - The Boston Globe

Il pastore John Ames sarà morto quando suo figlio aprirà la lettera che gli sta scrivendo. Siamo nel 1956, John ha 76 anni e sente che la fine è prossima. Dieci anni prima ha incontrato l'attuale signora Ames, molto piú giovane di lui. La donna aveva sofferto molto: il pastore se ne innamorò e in lui la ragazza ha trovato conforto e assistenza. Ora sembra proprio che siano felici, sotto ogni punto di vista. Il vecchio padre sente che il figlio di sei anni non potrà mai veramente conoscere la sua storia. A Gilead, Iowa, la città che non ha mai lasciato, Ames inizia cosí a scrivere una specie di testamento, la storia della sua famiglia. Racconta di suo nonno, un uomo impegnato nelle lotte contro la schiavitù, del padre pacifista durante la guerra di Secessione. E poi si chiede: cosa ho imparato io da tutti voi?
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Dettagli

2008
1 aprile 2008
256 p., Rilegato
9788806179991
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Indice


Le prime frasi del romanzo

Ieri sera ti ho detto che forse un giorno me ne andrò, e tu mi hai detto: – Dove? – E io: – A stare con il Buon Dio –. E tu: – Perché? – E io: – Perché sono vecchio –. E tu mi hai detto: – Secondo me non sei vecchio –. Hai infilato la tua mano nella mia e hai detto: – Non sei tanto vecchio, – quasi che questo sistemasse la questione. Ti ho detto che forse avrai una vita assai diversa dalla mia e da quella che hai avuto insieme a me, e sarebbe meraviglioso, perché si può vivere bene in tanti modi. E tu mi hai detto: – Questo me lo ha già spiegato mamma –. E poi mi hai detto: – Non ridere! – Perché credevi che stessi ridendo di te. Hai teso la mano coprendomi le labbra con le dita e mi hai rivolto quello sguardo che in tutta la mia vita ho visto solo sul viso di tua madre e di nessun altro. È una sorta di orgoglio furioso, assai intenso e severo. Mi stupisco sempre un po' di non avere le sopracciglia strinate dopo essere stato esposto a uno di quegli sguardi. Mi mancheranno.
Sembra assurdo pensare che i morti soffrano di nostalgia. Se sarai un uomo fatto quando leggerai questa lettera – è mia intenzione che tu la legga solo allora – me ne sarò andato da un bel po'. Saprò tutto quel che c'è da sapere sulla morte, o quasi, ma con ogni probabilità me lo terrò per me. Cosí stanno le cose, a quanto pare.

Valutazioni e recensioni

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Zobie
Recensioni: 4/5

Una lunga riflessione sulla vita, sulla fede, sulle opportunità e le scelte. Una scrittura magistrale che, come poche volte accade, è stata accompagnata da una traduzione assolutamente all'altezza. Non ho l'abitudine di sottolineare i libri ma in questo caso ho dovuto fare un'eccezione e leggere con la matita di fianco. Un libro che non dimenticherò facilmente..

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madeddusantina@tiscali.it
Recensioni: 5/5

Sono insegnante di lingua: come si può definire sempliciotta questa prosa?

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luciano
Recensioni: 5/5

C'è una cittadina, Gilead, che è " un gruppo di case raccolte lungo poche strade" e c'è il vecchio reverendo Ames che nella sua vecchiaia ha generato, con Lila, molto più giovane di lui, un figlio. Ames è malato di cuore e sentendo che il giorno della sua vita declina verso il tramonto decide di lasciare al figlio una lunga lettera, in cui parla di sé, della sua infanzia, di religione, di principi morali... Poi c'è anche Jack, che è sempre stato la pecora nera della numerosa famiglia del reverendo Boughton, amico e alter ego di Ames. Jack, figura tormentata e psicologicamente sofferente, è ritornato a Gilead dopo vent'anni di assenza e non è ben visto da Ames. La Bibbia, però, invita alla misericordia e al perdono e Ames lo benedirà con la benedizione dei Numeri: " Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace".

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Recensioni

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Voce della critica

"Non c'è un balsamo in Gilead?" domandava il profeta Geremia. "Non c'è proprio un balsamo in Gilead?" insisteva l'anonima voce in The Raven di Edgar Allan Poe, e il malefico corvo naturalmente rispondeva: "Nevermore". Di quel balsamo che guarisce le ferite sono invece cosparse le pagine di Gilead di Marilynne Robinson, uno di quei rari libri capaci di sorprendere il lettore, mosche bianche in un panorama editoriale non troppo variegato.
Gilead, che nelle Bibbie italiane appare solitamente come Galaad, e che alla lettera in ebraico significa "mucchio della testimonianza", è una regione della Transgiordania, ma qui è il nome della piccola cittadina dell'Iowa in cui vive il protagonista, il reverendo John Ames, predicatore congregazionista, figlio e nipote di predicatori e padre in tarda età di un figlio giunto in extremis. Proprio al figlio, che ha sette anni, il reverendo ormai alle soglie della morte (siamo nel 1956) indirizza un diario – questo libro – che è insieme memoria famigliare, giornale quotidiano, zibaldone spirituale, lascito teologico e summa di un'esistenza.
Un'esistenza appartata, silenziosa (se si escludono i tanti sermoni domenicali) e quasi priva di avvenimenti, ben diversa da quella del nonno, profeta visionario, agguerrito abolizionista, sostenitore della lotta armata contro la schiavitù, e diversa anche da quella del padre, convinto pacifista di tendenze quacchere, in conflitto tanto con la generazione precedente quanto con quella successiva influenzata dalla speculazione filosofica europea e ormai a disagio con i dogmi indiscussi. Un'esistenza trascorsa nella solitudine e nella preghiera, fra letture di "vecchi libri" e partite di baseball ascoltate alla radio. Un'esistenza solo in tarda età illuminata dall'amore di una donna, una donna "intensa e severa", apparsa dal nulla come un angelo, o come una donna di Betania, con il suo vaso d'alabastro pieno d'olio profumato, pieno di balsamo.
La gratitudine verso Dio per questa tardiva inattesa consolazione è il tratto dominante del protagonista, il chiavistello che gli permette di posare su tutto ciò che lo circonda uno sguardo purificato, di riconciliarsi con le figure ostiche del nonno e del padre, di abbracciare nel ricordo il lontano fratello Edward (studioso di quel Feuerbach che, se per Edward è stata la via maestra all'ateismo, per John Ames è un imbattibile cantore degli "aspetti gioiosi della religione") e, infine, di accogliere e perdonare e benedire il giovane Jack Boughton, figlio scapestrato e impenitente del suo più caro amico, e per lui fonte di ansietà e gelosie senili.
Senza quasi che il lettore se ne accorga, Marilynne Robinson racconta in questo libro niente meno che la storia di un santo, un santo che non si fa annunciare da roboanti miracoli e che mai oserebbe proclamarsi tale, e l'inconsueto fascino del libro sta proprio in questo dire tutto dando l'impressione di non dire niente, con uno stile profondo e umile (molto ben reso in traduzione) che è l'esatto contrario del vuoto virtuosismo di tanti scrittori che vanno per la maggiore.
Non a caso la carriera letteraria dell'autrice è decisamente parca e anticonvenzionale: un romanzo di buon successo uscito quasi trent'anni fa, Housekeeping (1980, tradotto da Serra e Riva nel 1988 con il titolo Padrona di casa); un'accurata indagine sull'inquinamento nucleare in Gran Bretagna, Mother Country (1988); infine una raccolta di saggi, The Death of Adam (1998), in cui già compaiono molti dei temi di Gilead: il calvinismo, la tradizione puritana, la teologia protestante, l'abolizionismo. In mezzo, evidentemente, molto studio e molto pensiero, a raffinare, con la cauta cadenza di un libro al decennio, una scrittura di una densità straordinariamente lieve.
Dietro John Ames c'è il curato di campagna di Bernanos, con il suo estremo "che importa, tutto è grazia", ci sono le austere canoniche dei film di Dreyer e Bergman, magari anche le "scene di vita clericale" dei, disgraziati, pastori di George Eliot (non a caso traduttrice inglese dell'Essenza del cristianesimo di Feuerbach). Ma questo romanzo si distingue da quei precedenti per una tonalità inconfondibilmente americana. Le "rovine di un antico coraggio", la "tradizione di antiche prodezze e speranze" che il reverendo conta di trasmettere al figlio fanno pensare a una delle più grandi scrittrici religiose del Novecento, la cattolica Flannery O'Connor. Se non fosse che a Gilead il cielo non è dei violenti, e se non fosse che, a differenza di John Ames, nessuno dei febbricitanti personaggi di O'Connor ballerebbe mai un valzer stringendo fra le braccia la Lettera ai Romani di Karl Barth. Norman Gobetti

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Conosci l'autore

Marilynne Robinson

1943, Sandpoint

Marilynne Robinson è docente all'Iowa Writers' Workshop e scrive sulle più importanti riviste letterarie. Il suo primo romanzo, Housekeeping (1980; Le cure domestiche, Einaudi 2016) ha vinto il PEN/Hemingway Award per la miglior opera prima e ha creato un enorme seguito di critica e pubblico. Successivamente Robinson ha pubblicato due raccolte di saggi: Mother Country (1989) e The Death of Adam (1998). L'acclamatissimo Gilead (Einaudi, 2008) ha vinto il National Book Critics Circle Award for Fiction 2004 e il Pulitzer Prize for Fiction 2005. Einaudi ha pubblicato nel 2011 Casa e nel 2015 Lila.Nel 2016 vince il premio Letterario Internazionale Mondello per la sezione autore straniero.

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