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Un libro cervellotico, non so quanto in linea col resto dell’opera di Vargas, che non conosco. La storia è quella di un autore di romanzi radiofonici, Pedro Camacho, tutto preso dalla sua arte alla quale si dedica anima e corpo, fino a perdere la brocca e a sfornare racconti sempre più squinternati. Ma è anche la storia (autobiografica) di un giovane giornalista che sogna di diventare scrittore e che a un certo punto si innamora di una zia acquisita (Julia) che sconvolge la sua esistenza. Il romanzo si svolge a capitoli alternati: in uno si racconta la vicenda del giornalista, che diventa peraltro amico di Camacho, e in quello successivo si riporta l’ultima opera radiofonica del romanziere. Questa struttura binaria dovrebbe servire, nelle intenzioni (non esplicitate) dell’autore, a rappresentare le due facce di se stesso, quella (reale) dello scrittore votato alla creatività del proprio mestiere, ma ancora con i piedi per terra, e quella (virtuale) dello scrittore completamente sopraffatto da un’arte che perde ogni contatto con la realtà e con ciò ogni coerenza interna, ogni plausibilità e ogni capacità fascinatrice. Il problema, a parte la complessità dell’argomento, sta proprio nella scelta di non descriverlo dall’esterno, ma riportando direttamente uno dietro l’altro i romanzi radiofonici di Pedro Camacho, che, nel corso del libro diventano sempre più confusi, barocchi e fondamentalmente indigesti. Ora, d’accordo che la pessima qualità di questi testi è funzionale al progetto dell’autore, ma per il lettore restano in ogni caso improponibili e la lettura resta (almeno per i capitoli che essi occupano) una brutta lettura.
Un libro cervellotico, non so quanto in linea col resto dell’opera di Vargas, che non conosco. La storia è quella di un autore di romanzi radiofonici, Pedro Camacho, tutto preso dalla sua arte alla quale si dedica anima e corpo, fino a perdere la brocca e a sfornare racconti sempre più squinternati. Ma è anche la storia (autobiografica) di un giovane giornalista che sogna di diventare scrittore e che a un certo punto si innamora di una zia acquisita (Julia) che sconvolge la sua esistenza. Il romanzo si svolge a capitoli alternati: in uno si racconta la vicenda del giornalista, che diventa peraltro amico di Camacho, e in quello successivo si riporta l’ultima opera radiofonica del romanziere. Questa struttura binaria dovrebbe servire, nelle intenzioni (non esplicitate) dell’autore, a rappresentare le due facce di se stesso, quella (reale) dello scrittore votato alla creatività del proprio mestiere, ma ancora con i piedi per terra, e quella (virtuale) dello scrittore completamente sopraffatto da un’arte che perde ogni contatto con la realtà e con ciò ogni coerenza interna, ogni plausibilità e ogni capacità fascinatrice. Il problema, a parte la complessità dell’argomento, sta proprio nella scelta di non descriverlo dall’esterno, ma riportando direttamente uno dietro l’altro i romanzi radiofonici di Pedro Camacho, che, nel corso del libro diventano sempre più confusi, barocchi e fondamentalmente indigesti. Ora, d’accordo che la pessima qualità di questi testi è funzionale al progetto dell’autore, ma per il lettore restano in ogni caso improponibili e la lettura resta (almeno per i capitoli che essi occupano) una brutta lettura.
In una Lima degli anni ‘50, il giovane Mario, studente di legge che arrotonda facendo il redattore alla Radio ma sognando di voler fare lo scrittore a Parigi, si innamora della zia Julia, una zia acquisita divorziata e più grande di lui di 14 anni. A questa storia d’amore clandestina, si alterna un curioso personaggio, Pedro Camacho, scrittore di romanzi radiofonici, ingaggiato dalla Radio dove lavora Mario.
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