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Titolo: La persecuzione del rigoristaAutore: Ricci LucaEditore: EinaudiData: 2008 Einaudi (L'Arcipelago Einaudi 133.); 2008; 9788806182373 ; Copertina flessibile con risvolti; 18 x 12,5 cm; pp. 110; Prima edizione nella collana. ; Presenta minimi segni d'uso ai bordi (senza mancanze nè lacerazioni), interno senza scritte; Molto buono, (come da foto). ; Un giovane prete viene mandato - forse per scontare una colpa - a trascorrere i mesi invernali in un paese sperduto sull'Appennino. Lo attende una manciata di case sprofondate nel gelo, dove una piccola comunità contadina trascorre le giornate tra il lavoro nei campi e qualche svogliata partita a poker. Le visite ai malati e le confessioni dei fedeli si susseguono monotone, solo una cosa riesce ad appassionare un po' alla volta il prete: la squadra di calcio del paese. Ma un evento drammatico è destinato a scuotere la sonnolenta vita della comunità: la morte - apparentemente accidentale - di un bambino che faceva il chierichetto. "Impossibile non commettere errori quando tutti si aspettano che li commetterai", dice con superbia il protagonista del romanzo. Ed è impossibile per il lettore non verificare, quasi con ammirazione, quanto la forza della meschinità riesca a sradicare ogni certezza. Con uno stile asciutto, che procede per continui affondi, Luca Ricci ci mostra come l'ambizione muova il mondo, e come la cattiveria possa diventare un'arte. ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'ho comprato, in versione ePub, intrigata dalla trama. 6,99 per 72 pagine, sinceramente sono troppi. Oltretutto, la trama in copertina non c'entra nulla col racconto (perché 70 pagine è un racconto, dai, non un romanzo). La sinossi faceva pensare a un noir, un giallo. Invece l'omicidio del chierichetto occupa una parte marginale dell'intreccio, tutto incentrato sull'invidia del giovane e ambizioso prete e sulla sua ossessione per il "rigorista". È la cattiveria spesso fine a se stessa la vera protagonista del libro, composto da tante piccole storie di ordinaria meschinità che si intrecciano tra loro. Bello, ma andava venduto per quello che è realmente. Voto 2,5. Cinque all'autore (bravo e sofisticato nello scrivere), zero all'editore.
E' come se la storia non avesse mai inizio. Ma è scritto troppo bene, deve esserci dell'altro. Forse il senso è che tanto in una grande metropoli quanto in un remoto paese di montagna le "bassezze alle quali non si riesce a tenere testa" sono sempre le stesse. Ma, in provincia, il torbido ha un sapore più intenso e la trama ci guadagna. Chi invece ci perde è il rigorista. Ha una visione troppo limitata (solo undici metri per sette). Ignora che neanche in una società che non ammette errori, ci si può permettere di essere infallibili. L'errore è l'atto di sottomissione per l'investitura, l'ingiusto prezzo per "attraversare il ponte", la prova indispensabile dell'essere umano, corruttibile, ... del non essere Dio.
Troppo cattivo nella sua verità. Insopportabile.
Recensioni
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Il protagonista del romanzo, un giovane sacerdote di buona famiglia e salde ambizioni inviato a trascorrere un breve periodo in un paese di montagna, è quanto di più lontano si possa immaginare dallo stereotipo del prete: uomo di mondo in ogni senso, completamente privo di dimensione spirituale, incarna una sorta di nobiltà decadente che si esprime nell'esercizio, sovente fine a se stesso, della capacità di imporsi, di negoziare, di esercitare pressioni ai limiti dell'estorsione; attorno a lui gli esponenti dell'altra parte dell'umanità partecipano all'azione nel ruolo di consapevoli pedine, cercando di guadagnarci ognuno il suo misero tornaconto. Del resto, questa è l'unica differenza sostanziale tra due forme di vita che si legittimano vicendevolmente, un dislivello minuscolo, tutto sommato, tra persone che sono tutte ugualmente colpevoli, in un mondo dove l'unica pietas sembra consistere nel riconoscere al prossimo prete o contadino, donna o uomo che sia il diritto a inseguire la sua personale meschinità, oltre la quale pare non esserci nulla che valga la pena di essere ricercato.
Ciò che più sconforta e disorienta in questo libro è che non si nega la possibilità e il valore dell'innocenza, del bene, di un atto disinteressato, perché non ve n'è alcun bisogno: sono cose al di là dell'orizzonte e delle aspettative di chiunque, caso mai è la loro esistenza a dover essere dimostrata in un mondo dove la bassezza è il fondamento sostanziale di ogni elemento. Il protagonista è il signore di questa realtà: il suo mestiere sembra esser stato scelto perché un abito bisognerà pure indossarlo, la sua qualità è essere più bravo degli altri nello strappare risultati, il suo piacere è costringere il prossimo all'obbedienza, dedicarsi a una passione fredda, "il gusto d'incedere impettiti"; persino Dio, nella sua immaginazione, è solo l'ennesimo vecchio, non diverso da quelli che affollano le chiese, da sopportare con fastidio per ottenere qualcosa. Il suo unico motivo di frustrazione, la più temibile contestazione al suo mondo, è il contadino che non sa giocare a calcio, in nessun ruolo, e che tuttavia, sferrando dozzinali rigori rasoterra, segna sistematicamente; una grazia portata senza coscienza, un talento del tutto inutile, irragionevole, una manifestazione di gratuità che insopportabilmente pretende di esistere. Jacopo Nacci
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