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Atlante della letteratura italiana. Vol. 1: Dalle origini al Rinascimento.
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Descrizione


La mappa dei territori, le traiettorie di lunga durata e l'importanza dei momenti di svolta. Una dimensione completamente inedita della nostra storia letteraria. I protagonisti di una civiltà letteraria, anche i più originali, non vivono mai isolati. Sono maestri o allievi, sono intellettuali in competizione fra loro o solidali nella lotta per una certa idea di letteratura e, magari, di società. Nessuna isola è un'isola, ogni scrittore è riconducibile a un mondo. Le mappe, i grafici e i racconti che compongono questo Atlante della letteratura italiana individuano, attraverso la geografia, le trame della nostra cultura letteraria, e strada per strada, città dopo città, collocano nel posto preciso del tempo e dello spazio tutto quanto contava nel paesaggio sociale e mentale di scrittori e intellettuali.
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Dettagli

2010
19 ottobre 2010
XXV-860 p., ill. , Rilegato
9788806185251

Voce della critica

Hegel è morto e lo "spirito del tempo" non esiste più. La storia fatta per grandi centri contro le periferie deve essere rimpiazzata da una geografia policentrica che lasci spazio alla pluralità di correnti letterarie del nostro passato culturale. Questa condivisibile opzione di metodo anima l'Atlante della letteratura italiana a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà. La novità non è solo l'impianto geografico dell'opera, presente anche in precedenti storie letterarie, quanto la rappresentazione cartografica dei fenomeni letterari ricostruiti secondo dinamiche nuove, diverse dai canoni correnti nella manualistica. Altro elemento di originalità è l'apporto determinante degli storici, che hanno il compito, insieme ai "letterati", di ricostruire per "eventi" gli snodi del processo di creazione letteraria fra Due e Quattrocento.
Questa impostazione flessibile e dinamica si trova tuttavia ingabbiata in una struttura generale rigida e a volte poco chiara. Il "policentrismo" delle regioni viene schiacciato da una scansione per "capitali" che crea nuove gerarchie spazio-temporali (le età di Padova, Avignone, Firenze e Venezia). Anche l'opzione iniziale di Gabriele Pedullà in favore dell'umanesimo come vero motore della letteratura rischia di rendere troppo rigidi i criteri di analisi dei fenomeni letterari che non rientrano in questa linea evolutiva (giusto il recupero del latino, ma forse è esagerato ridurre la lirica dello stilnuovo a fenomeno "regionale"). Padova, scelta come capitale della prima "età" (dal Duecento a inizio Trecento), ha il solo merito di essere "culla" dell'umanesimo, cioè di un fenomeno destinato a cambiare (al futuro) le sorti dell'Occidente, secondo un'impostazione involontariamente teleologica. Va benissimo l'entusiasmo per un dato contesto culturale (l'umanesimo, ereditato da uno studio di Roland Witt su Padova), ma perché erigerlo a criterio di tutta la storia letteraria medievale? Tanto più che Padova negli "eventi" ha un ruolo marginale (anzi, nella carta relativa, prevale Bologna). Anche l'età di Avignone sembra un po' artefatta: tralasciando il fatto che il primo evento è l'incoronazione di Albertino Mussato a Padova (perché non stia sotto l'età di Padova ma sotto Avignone non è chiaro per il lettore medio), la scheda introduttiva alla sezione sottolinea l'importanza (incontestata) di Avignone, ma non giustifica la centralità della corte papale nei processi letterari italiani. Basta il lungo soggiorno di Petrarca presso la curia a creare un'età, quando gli eventi di questa sezione riguardano in maniera più o meno diretta anche Boccaccio e Dante?
D'altra parte, la selezione degli "eventi" non sembra rispondere a criteri predefiniti, e le carte rappresentano di fatto solo le scelte dei curatori e degli autori in modo tutto sommato tautologico. Le mappe più funzionali sono invece quelle di "sistema", dove il contributo degli storici è più rilevante: la carta degli statuti in volgare di Andrea Zorzi, o la carta degli esili dei letterati banditi di Sandro Carocci sono esempi di integrazione riuscita fra storia e letteratura. Semmai stupisce il silenzio sui risultati di alcune ricerche medievistiche recenti che hanno apportato novità importanti alla storia culturale del basso medioevo.
Manca completamente un cenno agli studi dei flussi di interscambio dei magistrati forestieri, i podestà eletti dai comuni come guida politica per un anno, con al seguito giudici e notai: forse il più rilevante fenomeno di circolazione di un'élite politico-culturale che ha intessuto con la produzione letteraria rapporti strettissimi (inutilizzabile, in tal senso, il saggio sui giuristi di Jérémie Barthas, pieno di strafalcioni a partire dalla riduzione a due dei famosi "quattro dottori" bolognesi, grazie all'invenzione di un misterioso "Iacopo Bulgaro", invece di Iacopo e Bulgaro). Come manca un contributo sulla cronachistica cittadina e non, che ha rappresentato la più diffusa forma di uso di una lingua narrativa volgare e latina; e sarebbe stata opportuna anche una trattazione meno occasionale della letteratura didattica-retorica espressamente indirizzata alla formazione del cittadino. Fenomeni che avrebbero messo in luce una dimensione importante della cultura medievale e nello specifico comunale: la circolazione dei modelli e dei linguaggi e la naturale propensione alla commistione di generi e saperi diversi in una cultura urbana stratificata, come vanno mostrando in maniera convergente storici e letterati. Si può discutere sulla rilevanza "letteraria" di questi insiemi di testi così diversi, ma è indubbio che siamo davanti al più clamoroso processo di acculturazione laica dall'antichità all'età moderna, totalmente ignorato dall'Atlante. Forse una visione meno legata alla prospettiva teleologica dell'umanesimo – che per altro ha una selezione di eventi molto più pertinente e immagini più congrue – avrebbe dato maggiore dinamismo alle decine di pallogrammi isolati che costellano le carte delle prime due sezioni dell'Atlante.
Massimo Vallerani

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