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Una Silvana Grasso in gran forma. I racconti sono bellissimi, i personaggi indimenticabili. Lo sto consigliando a tutti i miei amici, magari in alternativa al solito Camilleri, che negli ultimi tempi delude ad ogni nuova uscita.
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Sono dieci le storie che Silvana Grasso sceglie di raccontare, in una forma breve che le è particolarmente congeniale. Attraverso la lingua fortemente espressiva della scrittrice, che ormai abbiamo imparato ad apprezzare, con le sue sfumature ironiche e fulminanti, ci vengono presentati con crudezza corpi su cui la natura o il tempo si sono accaniti: quello di Angiolina, la cappellaia, con la sua mano artificiale, di ferro, "ritta e minacciosa nel guanto nero", quello dell'impotente Alfredo, il corpo di Nicolino malato di criptoidismo e agitato da ambizioni intellettuali, il fisico invecchiato di Agatina ("aveva gli occhi spirdàti, il rossetto di un colore bordò si spacculiàva nella fisarmonica di rughe che le crapuliavano le labbra secche, labbra da vecchia").
Su queste descrizioni fisiche e sul racconto delle manie, delle ossessioni, dei sentimenti dei personaggi si esercita il doppio registro della scrittura di Silvana Grasso: quello del realismo scarnificante e crudo e quello della deriva visionaria e horror. Dovremmo anzi dire, con maggiore esattezza, che l'effetto onirico e spesso mostruoso è il risultato di un uso eccessivo del bisturi del realismo, come se la lente del medico legale cogliesse troppo da vicino i segni della consunzione e della debolezza. Ma la pietas che è nell'occhio della scrittrice non è condivisa dagli altri personaggi forti, sani, astuti, violenti, determinati al crimine da un rigido sistema sociale. C'è sempre un lupo che è pronto a divorare l'agnello, per avidità o interesse, usando tutti i mezzi della persuasione, dell'inganno, magari della seduzione, come nel racconto Signorina Agatina, in cui un trentenne raggira, con un abile corteggiamento, un'ultrasettantenne che s'innamora e finisce bruciata viva nella vasca di casa. Ma il sistema sociale misura la sua efficacia non tanto nella caccia del forte a danno del debole (di fronte a cui nessun dispositivo di giustizia o di risarcimento viene attivato), ma nella determinazione con cui l'individuo riesce ad aderire volontariamente al modello dominante, anche a costo della propria infelicità.
È il caso della donna abbandonata dal proprio uomo che, per acquisire il proprio status di vedova, nell'assoluta mancanza di notizie della sussistenza in vita del coniuge, visita per l'intera settimana i cimiteri dei paesi vicini, adottando come mariti defunti quelli che le sembrano più degni ("Il giovedì, nel cimitero di Piedimonte Etneo, fu la vedova di Mariano Coppola di anni 45. Il venerdì a Linguaglossa di Peppuccio Schifanò di anni 43, il sabato a Randazzo fu la vedova di Carmelina Lo Monaco"). Ed è il caso, per esempio, di Spitaleri che, avendo perso l'unica figlia, è disposto a qualunque umiliazione per essere riconosciuto come padre da Angelino che, essendo stato sempre maltrattato e rifiutato, coglie ora l'occasione per consumare la sua terribile vendetta: "-'-Tu Angelino. tu sei mio figlio-' gridò mentre già Angelino gli dava le spalle, remando con la furia delle braccia dentro il lago. -No, Spitaleri, vi sbagliate. io sono figlio della Madonna-". E quando la testa non viene messa volontariamente nel sacco di un destino davvero crudele, ci pensa il caso a beffarsi dei sogni, delle aspettative, come quando la signorina Anselma che ha preso in casa il disgraziato bambino Nicolino ora diventato un colto poeta per difetto di vista sistema nella gabbia del canarino il contratto "con struzzo in fronte" che arriva da Torino e che finisce così ricoperto di escrementi. Pensare che Nicolino aveva rifiutato di pubblicare i suoi versi presso una tipografia di Agrigento: "Ma lui no! Non ci cascava lui, lui leggeva 'Paragone', 'Tuttolibri', 'L'Indice' Sapeva la differenza tra Editore e tipografo!". Talvolta, sembra dirci Silvana Grasso, leggere la nostra rivista può non essere di buon auspicio.
Monica Bardi
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