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Anno edizione: 2007
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Anno edizione: 2018
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A livello di racconti, credo di non avere mai letto niente di meglio (se non forse qualcuno di Bilenchi) da uno scrittore italiano. Un grande scrittore.
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In apertura una considerazione sui lettori di Fenoglio: questo scrittore ha dalla sua un'agguerrita e tenace pattuglia di studiosi che hanno prodotto lavori eccellenti (e Bufano è uno di questi) e un numero di lettori altrettanto appassionati ma finora troppo ristretto per quello che si meriterebbe. Un'edizione come questa, che raccoglie Tutti i racconti, è un bel regalo che l'editoria fa sia allo specialista che al lettore comune ma accorto.
Se Fenoglio è uno scrittore "difficile" nel Partigiano Johnny, lo è molto meno nei racconti. Semmai le difficoltà, in questo caso, non sono pertinenti alla lettura del testo, ma alla sua organizzazione e strutturazione in un insieme. Infatti: che vuol dire "tutti" i racconti? Già questo costituisce un bel problema, perché raccoglierli è operazione complicata, trattandosi di una materia alla quale Fenoglio in vita ha lavorato molto, ma ha potuto assistere all'edizione di un volume soltanto (I ventitre giorni della città di Alba, 1952). Morto lui (1963), ecco Garzanti che pubblica Un giorno di fuoco, quindi altri racconti escono da Einaudi nel 1973 a cura di Gino Rizzo, poi viene l'edizione delle Opere a cura di Maria Corti e della sua équipe (1978), quindi ancora Rizzo (1982), e Dante Isella (Opere 1992, aggiornata nel 2001) e poi Bufano (2003). Ognuno di questi studiosi aggiungeva qualcosa, o anche molto, a quanto si conosceva già, recuperando chi più chi meno testi inediti o le pubblicazioni in rivista fatte da Fenoglio in vita, e quelle sporadicamente e casualmente edite qua e là lui morto.
Questa storia accidentata non è dovuta però solo alla fine precoce dello scrittore, ma anche ai rapporti conflittuali fra Einaudi e Garzanti dopo il cambio di editore voluto dallo stesso Fenoglio. Infatti, il 27 febbraio 1961 (come si ricava dalle Lettere di Fenoglio curate dallo stesso Bufano nel 2002) Calvino gli propose un'edizione con tutti i suoi racconti da far uscire lo stesso anno; ma il 21 novembre Bertolucci gli propose per Garzanti la stessa cosa. Andò a finire che quel libro non lo pubblicarono né l'uno né l'altro, né in vita né in morte dell'autore. Insomma, c'era necessità che il materiale fosse raccolto finalmente tutto insieme e a parte.
Operazione non facile anche per una questione che, nel caso specifico di Fenoglio, non è oziosa, e cioè: che vuol dire "racconti"? Infatti si sa che Fenoglio procedette a un lavoro incessante su diverse materie, ora scrivendo un testo lungo e lavorandone a parte dei frammenti in modo che fossero cose autonome (racconti, appunto), ora direttamente selezionando un "fatto straordinario" mai scritto e lavorandolo subito come racconto; ora addirittura scartando di binario e aprendo finestre sul già scritto per puntare in direzioni diverse. E poiché non venne sempre a capo delle sue scelte, il curatore si trova di fronte a materiale in assestamento, a abbozzi di racconto, a stesure non definitive, e mai come per Fenoglio la discussione su cosa sia un romanzo breve o un racconto lungo, spesso condotta oziosamente, ha invece un senso. Insomma: una materia in movimento dalla quale Bufano, ben orientandosi, accoglie cinquantadue racconti, escludendone La malora (che però Fenoglio chiamava "racconto lungo"). Inoltre, riproduce in appendice il testo integrale del Diario, recuperando tre frammenti fra i più lunghi che i primi editori non erano stati autorizzati a pubblicare; e un breve racconto. Bufano si è trovato anche di fronte a un problema non da poco: come raggruppare questi racconti? Ce li dà in quattro sezioni: "racconti della guerra civile", "del parentado e del paese", "del dopoguerra" e "fantastici". È un'articolazione che per le prime tre trova riscontro esplicito nella citata lettera a Bertolucci, per la quarta in una lettera a Einaudi del 1959. È invece andato perduto il biglietto che Fenoglio, quando ormai comunicava solo per iscritto, dette a Chiodi, e che conteneva l'ordine in cui voleva fossero editi i racconti.
È noto che Fenoglio non ha mai scritto nulla di teoria letteraria: tutto quanto ci resta è frutto di pratica artigianale e null'altro. Quindi quanto pertiene alle sue idee sull'epica, sulla resa letteraria dei "fatti straordinari", su "per chi" e "a causa di chi e di cosa" scriviamo è ricavabile da qualche affermazione extravagante (in inchieste, per esempio) o dai suoi testi letterari. Un racconto anepigrafo, non più ristampato finora dopo l'edizione di Corti, e intitolato da Bufano significativamente War can't be put into a book, ci dà conto per esempio del problema che aveva attanagliato anche Calvino al momento di scrivere il Sentiero ("La mia storia mi pareva umile, meschina" di fronte a quella collettiva), e che Fenoglio enuncia appena, citando a memoria, e dunque con una leggera modifica, Whitman. Questi allude alla "sua" guerra di Secessione, ma il senso del limite si pone per gli scrittori di tutte le guerre.
E Bufano nell'introduzione, saltando a piè pari la bibliografia teorica di narratologia, sceglie una strada molto più concreta, introducendo la voce di Fenoglio in un dialogare fitto e continuo con altri scrittori. Prima di tutto proprio quelli di guerra. Oltre a Whitman anche Maupassant. Raffronti testuali prodotti per la prima volta dal curatore, già nel suo libro fenogliano del 1999, mostrano chiaramente che il racconto eponimo di I ventitre giorni, proprio in quei punti sbrigliati e dissacranti che suscitarono scandalo nei critici-funzionari di allora (1952), tiene ben presente Boule de suif dello scrittore francese: il passaggio dei soldati francesi in rotta attraverso Rouen nel 1870, l'incalzare dei prussiani e il comportamento dei borghesi sono vistosamente la fonte di alcuni passi di Fenoglio. Così Poe gli dà "suggerimenti tecnici", ma anche veri e proprie soluzioni testuali, come nel racconto fantastico Una crociera agli antipodi, dove Bufano individua qualcosa di A Descent into the Maelström oltre, direi, a Conrad, imprescindibile modello di ogni racconto di mare; e ancora gli offre il tema del "seppellimento anticipato". Lo stesso accade, com'è noto, con Hemingway per più di un racconto e, in generale, per la tecnica di quello, asciutto e tutto fatti. E veramente i racconti a chiusura con botta secca raffica, singolo colpo di pistola o incidente sono molto diffusi negli scrittori dell'immediato dopoguerra: fra i coetanei certamente Fenoglio guardava a Calvino, e ne utilizza l'espediente per chiudere alcuni racconti, o romanzi altrimenti non finiti.
Prendendo spunto dalla bella introduzione al volume (e dalle documentate schede ai singoli pezzi), per altro scritta in un italiano "civile", cioè non accademico, per il quale Bufano è forse aiutato dalla sua ottima conoscenza dell'inglese, isolerò due problemi che mi stanno a cuore e che vanno oltre l'introduzione e vogliono essere elementi di discussione. Il primo con i racconti c'entra poco: che fine avrebbe fatto Il partigiano Johnny, che leggiamo ora con le due redazioni intersecate, se Fenoglio l'avesse terminato? Primavera di bellezza, da lui stampato in vita (1959) e quindi da considerare un testo in veste definitiva non è un gran libro; e delle due redazioni del Partigiano la più bella è la prima (è d'obbligo sulla lingua di Fenoglio citare Gian Luigi Beccaria). L'operazione di prosciugamento, di contrazione ecc. può rendere in un racconto, ma non nel grande romanzo. Inoltre, qual è il rapporto fra racconti e romanzo? Tecnicamente alcuni dei primi sembrano derivare dall'altro, ma esiste anche l'inverso: che i racconti sono già forme acquisite di un'epopea da scrivere (da I ventitre giorni a Johnny). E c'è anche il caso in cui si vada da romanzo a romanzo, come quando, nel più fitto del lavoro sulla storia di Johnny, viene fuori quella di Milton.
Credo che questo inestricabile nodo ci costringa a individuare il terreno morale storico geografico e fisico precedente alla scrittura, e all'organizzazione in racconti e romanzi, e quindi loro momento genetico. Che vuol dire? Che l'epica è una condizione esistenziale e morale, e quindi Fenoglio non può che scrivere una lunga storia su Johnny perché è quella che conosce meglio (e interromperla perché è tipico della scrittura epica potersi cominciare a scrivere da quando si vuole e il lettore a leggerla da dove vuole). Siamo tutti postromantici, non è più possibile l'epica dettata dagli dei o come canti anonimi raccolti da un Omero non presente alla guerra di Troia, e certamente non compagno di Ulisse. Per lo scrittore moderno è diverso. Il documentarsi di Fenoglio sui parenti e sui fatti straordinari non ha nulla di ottocentesco (ecco l'errore di Vittorini lettore della Malora), ma è ancora una ricerca su Johnny, sul suo proprio sangue (nel Diario: "Io li sento tremendamente i vecchi Fenoglio" ecc.) e sui suoi/loro luoghi. L'input iniziale della scrittura è anche il punto d'arrivo: bisogna ammettere una Beatrice, una Laura, una Mimma-Fulvia motore di tutta la scrittura, la quale si rivela come un atto dovuto perché atto d'amore. Si veda il racconto L'incontro, qui in appendice, proprio sul primo incontro con Fulvia. Funziona come il capitolo I della Vita Nova e come il sonetto III del Canzoniere.
Questa collana "ET Biblioteca" sta diventando di punta nelle edizioni einaudiane, dopo i racconti di Pavese, Primo Levi, Rigoni Stern e questo volume. Si aspetta per il prossimo anno Il teatro di Fenoglio a cura di Elisabetta Brozzi.
Giovanni Falaschi
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