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Un autore variegato De Amicis, ben prima di Cuore, e molto diverso da quest'ultimo, scrive le sue opere di carattere odeporico. Opere di viaggio che includono il reportage a Costantinopoli. Testo descrittivo fino al minimo dettaglio di qualunque popolo, luogo, esperienza si trovi ad incontrare. Una penna che in questo contesto stupisce per la sua capacità argomentativa anche sugli aspetti storici raccontati, frutto indubbiamente di una lunga preparazione al viaggio compiuto dall'autore.
De Amicis sembra uno scrittore dolciastro perché ha scritto Cuore. Questo Costantinopoli ci rivela uno scrittore attento, scrupoloso, piacevolissimo, lucido, molto acuto psicologicamente. Da leggere.
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"L'emozione che provai entrando in Costantinopoli mi fece quasi dimenticare tutto quello che vidi in dieci giorni di navigazione dallo stretto di Messina all'imboccatura del Bosforo". Così Edmondo De Amicis nell'incipit di Costantinopoli, il resoconto di viaggio che ora possiamo leggere (con uno scritto di Umberto Eco) nell'edizione a cura di Luca Scarlini per i "Tascabili" Einaudi. Non un'edizione integrale, ma un'ampia antologica che trae da sei dei diciassette capitoli originali. Scelta che si può largamente condividere, perché una prosa così larga e forzosamente colorita paga il prezzo della sua ridondanza. Senza per questo nulla togliere agli odierni elogi che vanno da Goodwin a Pamuk, cui possono fare per altro da contrappeso le coeve insofferenze di un Ghisleri e di uno Zena.
Resta il fatto che De Amicis non si limita a un'effusa descrizione di luoghi, di paesaggi, di monumenti, di persone e di costumi, ma sa anche cogliere gli elementi di novità che avverte negli umori di una Turchia in via di mutamenti, che ad altri (da Borgese a Baldini ad Alvaro) toccherà poi in pieno Novecento annotare dopo la rivoluzione di Mustafa Kemal (Atatürk).
Nato nel 1847, quando pubblica Costantinopoli (da Treves nel 1878) De Amicis ha trentun anni e al tempo del viaggio parla di sé come "d'un cattivo poeta di vent'otto". Ha già al suo attivo i bozzetti di vita militare, i Ricordi del 1870-'71, le collaborazioni alla "Gazzetta d'Italia" e alla "Nuova Antologia", la frequentazione del salotto di Emilia Peruzzi, alcuni libri di viaggio (Spagna per tutti). È diventato il beniamino di un pubblico che "L'Illustrazione Italiana" può imbonire annunciando: ogni mese un suo articolo. Fa dunque un po' specie che Costantinopoli possa chiudersi con l'annotazione, pur giocosa, di un autore che si dice "vecchio". A meno di credere, come credo, a una forma (abbastanza innocente) di civetteria. Senza naturalmente dimenticare che trentun anni sullo scorcio dell'Ottocento potessero essere considerati un tempo di maturità rotonda.
Il libro si può leggere ancora con gusto, ma, giustappunto, per pagine scelte. L'emozione prima perplessa e poi iperbolica dell'arrivo dal mare ("non avrei venduto un mio sguardo per un impero"), la vista da terra, la vista dall'alto, la varietà, l'eterogeneità, la commistione ("un musaico cangiante"), l'accumulo di suoni, voci, rumori, la fiera "universale e perpetua", il Grande Bazar, il tabacco, le spezie, il vestiario, le pipe, i profumi, i gioielli, le stoffe, i mercanti, le calzature, le armi, gli abiti vecchi, la prima consapevolezza di una verità condivisa: che il viaggiare dice De Amicis citando Madame de Staël possa convertire il più allegro dei desideri nel "più triste dei piaceri".
E ancora: i cani, gli eunuchi, l'ozio e il diverso modo di vivere il tempo ("Per noi la vita è un torrente che precipita; per loro è un'acqua che dorme"), gli italiani (poveretti), la loro lingua (sciagurata e barbara), la cucina turca, l'esperienza sado-umoristica del bagno, la lunghissima descrizione di Santa Sofia e un capitolo finale (ricco di osservazioni anche illuminate) sulle donne turche. Nell'insieme l'impressione di un libro datato, che si può ancora leggere come il documento di un'epoca. Nulla che vi si tralasci. Nulla che venga risparmiato al buon lettore borghese in vena di esotismo, viaggiatore da salotto, amante dei surrogati. Giovanni Tesio
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