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Il libro come il film mi è piaciuto tantissimo. Ben scritto, descrizioni di luoghi o persone bellissimi della realtà odierna indiana. Il cambio delle grandi città , gli emigranti dalle campagne come abitanti di squallidi putridi slums: il prezzo per il grande sviluppo del paese. Associare un nome di animale ai personaggi è molto interessante. Mi ha colpito la Mangusta... il cattivo dei cattivi. Le sue caratteristiche rispecchiano quelle dell'animale e così è anche per Balram la tigre bianca. Letto in 12 ore tanto mi è piaciuto.
Viaggio al termine della notte Terribile e potente viaggio nell'orrore e nel cinismo dei nostri tempi. Disturbante e caustico. Ho conosciuto l'autore ad un incontro letterario: mai avrei pensato che un ragazzo così mite potesse scrivere un romanzo del genere. Volutamente e funzionalmente sgrammaticata è una lettura appena un po' pesante, ma vale la pena di farla!
Forse 5 è troppo ma 4 mi sembrava poco. Bella storia, lettura scorrevole e una descrizione dell'India che, vera o non vera, colpisce. Consigliato.
Recensioni
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Romanzo d'esordio di Aravind Adiga, La tigre bianca ricostruisce la storia di un imprenditore di Bangalore, che scorre agilissima nelle sette lunghe lettere indirizzate dal protagonista al primo ministro cinese in occasione di una sua visita in India. Quella di Balram Halwai è l'ironica e atroce success story del figlio di un conducente di risciò, morto di tubercolosi in un lurido ospedale di un poverissimo villaggio del Bihar, che diventa un ricco e apprezzato uomo d'affari, percorrendo tutte le tappe tipiche di ogni storia di affermazione personale e allo stesso tempo ribaltandole con feroce cinismo.
Balram è strappato dalla scuola e costretto a lavorare per un possidente locale, in seguito ai debiti contratti dalla sua famiglia in occasione delle nozze di una cugina. Interrotta la formazione scolastica regolare, impara ogni cosa dalla strada, origliando le conversazioni degli altri o apprendendo nozioni sparse di storia e cultura del suo paese dai fogli di vecchi libri usati per incartare le vivande. Da qui inizia la sua scalata, che lo porterà in un primo momento a diventare autista di un imprenditore locale. La realtà del Bihar, uno degli stati più poveri dell'India, è descritta attraverso le immagini scarne della vita del villaggio, fatta di familiari oppressivi e avidi, maestri di scuola ubriachi, possidenti famelici e crudeli. Una realtà intimamente legata al territorio, alla sua asprezza e alle sue bellezze, e alle risorse da esso offerte (il carbone o le bufale), che, nella dimensione indiana attuale, vengono progressivamente abbandonate e sostituite dal sistema virtuale dell'outsourcing. È questo lo scarto tra i vecchi e i nuovi imprenditori: non sono più le risorse del territorio, ma la forza lavoro a basso costo, la nuova ricchezza dell'economia indiana, in uno spostamento verso un sistema che ha trasformato la semplice manodopera in capitale umano dal quale trarre profitto.
Balram ha uno scrupoloso senso del dovere e impone a se stesso un ferreo regime di autodisciplina. Con il rigore di un Benjamin Franklin postcoloniale, animato da propositi più egoistici e meno filantropici, evita il più possibile la compagnia dei suoi simili, gli abitanti del villaggio prima, gli altri autisti in seguito: e proprio la solitudine, la scrupolosa dedizione alle proprie mansioni e un senso maniacale del lavoro alimentano quel rancore verso il mondo che gli permetterà di emergere su chiunque altro, anche a costo di diventare un assassino, e senza il più piccolo rimorso o la minima traccia di pietà.
L'abisso che divide i ricchi dai poveri in una società complessa come quella indiana, tipico di tutti i paesi in via di sviluppo, è tale che le diverse classi sociali possono arrivare a un livello di mutua intelligibilità solo attraverso un meccanismo reciproco di semplificazioni, stereotipi e proiezioni. Quando diventa consapevole della corruzione che alimenta la ricchezza della borghesia indiana, Balram comincia ad attuare una strategia mimetica: rispettare fino al dettaglio l'immagine del servo fedele e devoto, che è quella che i padroni gli hanno cucito addosso, così da accattivarsi completamente e senza riserve la loro fiducia. Solo allora sarà possibile vendicarsi e prendere il loro posto, agendo con lo stesso cinismo spietato del quale loro si sono serviti, sicuri che le classi subalterne, ingenuamente devote, avrebbero risposto con l'asservimento più incondizionato.
La vita di Balram rilegge la storia dell'India e il suo passato recente, spogliando di ogni retorica il nazionalismo e i miti dell'indipendenza, e sottolineandone i contraccolpi negativi sul piano sociale. Il cinismo della nuova India passa intatto attraverso la retorica interclassista della non violenza gandhiana fino ad arrivare al recente trionfalismo della nuova economia indiana, senza che i soprusi e le lacerazioni sociali profonde vengano mai alla luce. Ecco perché Balram decide presto di voler diventare una "tigre bianca", un'eccezione rispetto al destino di "ragno umano" che lo attendeva: una vita di sottomissione, regolata dalle ferree leggi delle caste e mitigata dalle blandizie di un potere che cerca di addomesticare gli schiavi con la retorica della tolleranza.
L'unico modo per raggiungere uno status privilegiato è l'omicidio. È così che Balram riesce a impadronirsi dei soldi con i quali il suo padrone avrebbe dovuto corrompere i politici del governo centrale di Delhi, e a dare una svolta alla sua vita. Mr Ashok, il padrone con cui Balram ha avuto un'intesa quasi immediata, è una vittima emblematica: buono, generoso e comprensivo, può perfino permettersi un atteggiamento magnanimo e compassionevole con i servi, certo che la rigida divisione in caste sia una barriera sufficientemente potente da tenere chi comanda al riparo dal rischio di qualsiasi forma di ribellione. Quella di Balram non è una semplice reazione all'acquisita coscienza di un regime di ingiustizie sociali al quale opporsi. È, al contrario, la fatalistica accettazione dell'ineluttabilità degli eventi, con la consapevolezza, però, che la realtà sociale non dipende dalle leggi karmiche dell'induismo, ma da un più prosaico principio di prevaricazione dei forti e dei furbi. Non si tratta, quindi, di sovvertire le regole inique che disciplinano il sistema, ma semplicemente di trovarsi dalla parte giusta: un abominio fortuito che dipende dal caso, dalla sorte o dall'astuzia. Non a caso, dopo essersi stabilito a Bangalore, e aver avviato la sua attività con l'aiuto della corrotta polizia locale, Balram decide di cambiare nome e diventare egli stesso Mr Ashok. Una semplice sostituzione di ruoli, un cambiamento radicale (nome, identità, ruolo sociale) con l'unico scopo che tutto resti, gattopardescamente, immutato.
È forse questa la sensazione più amara che resta dalla lettura del romanzo, feroce distopia postmoderna; solo che, a differenza degli scenari orwelliani, le circostanze descritte da Adiga sono una riproduzione fedele della realtà, rispetto alla quale nessun incubo sembra più terrorizzante.
Fiorenzo Iuliano
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